Consumare frutta e verdura è la prima raccomandazione dei nutrizionisti: mentre, però, per la verdura “non esistono limiti raccomandati, quando si parla di frutta bisogna ricordare che la quantità di zuccheri in essa contenuta, in alcuni casi, potrebbe essere particolarmente alta. Ciò significa che per i pazienti diabetici e per chi sta seguendo particolari diete, consumare grandi quantità di frutta potrebbe non essere consigliabile“, spiega in un approfondimento Humanitas Salute – edito dall’Humanitas Research Hospital, e dedicato ai temi della salute, della sanità e del benessere – che ha chiesto un parere alla dottoressa Manuela Pastore, dietista di Humanitas.
“La risposta dell’organismo al consumo di carboidrati (CHO) dipende da molti fattori, forma chimica, tipo di amido, presenza di fibre e di antinutrienti o fruttoligosaccaridi, presenza di grassi, grado di maturazione della frutta, la cottura determinano una velocità di digestione e di assorbimento diversa. Inoltre è determinante la quantità consumata giornalmente.
Soprattutto per i pazienti con diabete tipo 1 o che hanno necessità di evitare picchi glicemici post prandiali è importante considerare due parametri: indice glicemico e carico glicemico.
L’indice glicemico – si spiega – è definito il rapporto percentuale tra la risposta glicemica a un determinato alimento e la risposta glicemica della stessa quantità di CHO contenuti in un alimento di riferimento (pane o glucosio). L’indice glicemico di un alimento non fa riferimento alla quantità di carboidrati contenuti nell’alimento stesso, ma si basa esclusivamente sulla velocità con cui i carboidrati contenuti in quell’alimento possono essere digeriti e assorbiti.”
Quando si parla di CHO della frutta non si tratta solo di valutare il contenuto di carboidrati ma anche la presenza di fibre, il grado di maturazione e la quantità consumata, in che forma assumiamo lo assumiamo e quali sono gli alimenti con cui lo associamo. Più è alto il contenuto di fibra più basso sarà il picco iperglicemico post prandiale. Ecco perché 200 g di succo di arancia o di succo di uva o di mele, che non contengono fibra, producono un rialzo glicemico più alto rispetto alla stessa quantità di frutta fresca.”
La quantità di frutta più del tipo di frutto “fa la differenza sul picco glicemico rilevato a 1-2 ore. Frutta come uva, banane, cachi, fichi possono, se consumati nella porzione giusta, avere lo stesso carico glicemico di mela, arancia, pera, ananas.
Un esempio: una mela media ha un peso di 170 g con un carico glicemico di 10, un valore molto simile a 100 g di banana o uva che hanno rispettivamente un CG di 9 e 8. Un’arancia media di 170 g ha un carico glicemico di 6.8.”
“Sono generalmente sconsigliati i succhi di frutta se non in particolari condizioni,” si legge nell’approfondimento degli esperti Humanitas.
“L’avocado è un frutto con caratteristiche del tutto differenti rispetto agli altri frutti, ha infatti un contenuto di CHO molto basso a fronte di una percentuale molto alta di grassi e un buon apporto di proteine vegetali. Se inserito in un piano dietetico ipocalorico che essere valutata l’adeguata sostituzione con i grassi contenuti in un pasto. Il maracuja o frutto della passione ha un elevato contenuto di CHO e di fibra, quasi doppi rispetto ai più comuni frutti coltivati nelle nostre campagne pertanto occasionalmente può essere inserito nella dieta nelle debite porzioni. Il mango si colloca alla pari di uva, mandarini, fichi, banane pertanto vale il discorso fatto in precedenza. La papaya può essere paragonata all’arancia come valori nutrizionali.”
“I succhi di frutta anche quelli prodotti con polpa di frutta fresca e senza zuccheri aggiunti hanno una composizione nutrizionale differente rispetto al frutto fresco soprattutto in termini di fibre alimentari che si trovano in quantità trascurabili. Non sono mai validi sostituti se non in caso in cui il paziente diabetico si trovi in ipoglicemia,” concludono gli esperti.