Tecnicamente le foibe sono delle cavità naturali presenti sul Carso. Il nome deriva da un termine dialettale giuliano, che a sua volta deriva dal latino fovea, ovvero fossa o cava. Storicamente, però, il nome foiba fa tornare alla mente qualcosa di orribile, che per anni è stato seppellito nella memoria di pochi e che solo da poco è stato ‘sdoganato’ anche nei libri di scuola, oltre che dai media. Furono due i momenti in cui, durante la Seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra, le foibe divennero teatro di vere e proprie esecuzioni di massa: i partigiani comunisti del maresciallo Tito vi gettarono migliaia di persone, colpevoli ai loro occhi di un grave reato, ovvero quello di essere italiani, fascisti e contrari al regime comunista. La crudeltà con la quale queste uccisioni avvenivano è paragonabile soltanto allo scempio perpetrato dai nazisti sugli ebrei e su tutte le vittime dei campi di sterminio. I condannati a morte venivano legati l’uno all’altro con un lungo fil di ferro stretto intorno ai polsi. Una volta schierati sugli argini delle foibe, veniva aperto il fuoco su di loro: i colpi partiti dai mitra li trapassavano da parte a parte. La crudeltà dell’esecuzione era terribile: non si sparava su tutto il gruppo, ma soltanto sui primi tre o quattro della catena; questi, precipitando ormai senza vita nelle foibe, trascinavano con sé gli altri condannati ai quali erano stati legati. Alcuni sopravvivevano per giorni, tra atroci sofferenze e con accanto i cadaveri degli altri sventurati.
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Giorno del ricordo, le foibe: quello che i libri di scuola finalmente iniziano a raccontare
I partigiani comunisti del maresciallo Tito gettarono nelle foto migliaia di persone: Carabinieri, poliziotti e militari della guardia di finanza furono tra i primi ad essere infoibati
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