In Italia si stimano circa 480 mila persone con epilessia e sono attesi ogni anno circa 36 mila nuovi casi, 20-25 mila casi con crisi isolate, e 12-18 mila con crisi sintomatiche acute. Di questi sono 90 mila i bambini (0-15 anni) colpiti. Ma se le cause all’origine della malattia e gli eventi patologici stessi possono essere differenti, un aspetto accomuna i pazienti: “la non conoscenza della malattia e dei problemi che ne possono scaturire nella vita familiare e sociale – spiega Giuseppe Zaccaria, presidente dell’Associazione Fuori dall’Ombra Insieme per l’Epilessia – Prevale un’idea primitiva del problema, retaggio del passato”.
Così, per paura dello stigma, spesso la malattia viene nascosta a scuola e al lavoro, dice l’esperto alla vigilia della Giornata internazionale dell’epilessia, che si celebra il 10 febbraio. “Obiettivo dell’associazione è quello di squarciare i pregiudizi all’origine di molte discriminazioni, stigmatizzazioni e incomprensioni che ancora operano in diversi contesti a danno dei pazienti adulti ma soprattutto dei bambini”, aggiunge Zaccaria. Il primo luogo in cui ci si scontra con il problema è il mondo della scuola.
“Una delle criticità più rilevanti è la mancanza di preparazione degli insegnanti e degli operatori scolastici, quindi la paura per il possibile manifestarsi di crisi durante l’orario scolastico o l’incapacità di fronteggiarle”, spiega Zaccaria la cui associazione ha promosso a Padova, anche con Epitech, il convegno internazionale Update in Epilettologia (7/8 febbraio).
“Da qui si innesca un circuito negativo per cui le famiglie tendono a tacere per evitare discriminazioni, con conseguenze anche rischiose per la salute dei bambini. Inoltre, ad oggi nessuna legge obbliga gli insegnanti a somministrare i farmaci a scuola. E’ possibile però realizzare dei corsi di formazione per operatori scolastici, come stiamo facendo in Veneto, mettendo in luce le caratteristiche della malattia, le differenze tra caso e caso e individuando insieme ai genitori soluzioni personalizzate per i singoli ragazzi”, continua. Un secondo fronte riguarda l’attività fisica.
“Esistono attività sportive sconsigliate o non compatibili ma si tratta di casi molto particolari – prosegue Zaccaria – In tutti i casi di malattia lieve o di media gravita l’attività sportiva è compatibile, parliamo di atletica leggera, tennis, sport non agonistici o traumatici che possono invece essere acceleratori di crisi. Anche in questo ambito in cui spesso richiedono certificati specifici non dovuti si deve diffondere una cultura adeguata per evitare il rischio che la persona taccia sul proprio stato. C’è un grande lavoro da fare su palestre e circoli sportivi, per aiutare le persone affette da epilessia ad affrontare serenamente e apertamente il proprio stato, confidando nel fatto che la relazionalità, se informata e qualificata, contribuisce a rimuovere le discriminazioni e a vincere i pregiudizi”.
Ma non sono solo i bambini le vittime di emarginazione: “Anche per gli adulti non è semplice perché nel mondo del lavoro tuttora vi è una scarsa conoscenza del problema, soprattutto in ambito privato – osserva il presidente dell’Associazione Fuori dall’Ombra Insieme per l’Epilessia – Si innesca dunque il solito circuito negativo: nel caso in cui si comunica la malattia si rischia di non ottenere il lavoro o di essere considerati lavoratori ‘particolari’, e ciò porta a tacere e negare il proprio problema, contribuendo al processo di separazione o di non piena integrazione che poi ha riverberi anche psicologici sulla personalità di chi è affetto da epilessia. Dunque sono due gli obiettivi da raggiungere: far breccia nel muro di ignoranza che circonda l’epilessia e – conclude – aiutare le famiglie dei bambini e gli adulti a vincere la reticenza e la paura di raccontarla”.