Stefano Tinti, ordinario di geofisica al Dipartimento di fisica dell’Università di Bologna, parla ai microfoni di MeteoWeb di maremoti e in particolare della possibilità che uno tsunami si verifichi in Italia. “Storicamente se ne sono verificati diversi. Almeno 300 eventi registrati nel Mediterraneo, di cui una ventina nell’Adriatico, se aggiungiamo anche la parte sottostante il Canale d’Otranto. Di questi – spiega l’esperto – molti sono stati determinati anche da terremoti di magnitudo modesta, spesso al di sotto di 6. Nel 1627 si è verificato il grande maremoto sul Gargano, ma non si sono mai registrati altri grossi eventi. Sulle coste romagnole e marchigiane vi sono stati episodi di piccoli maremoti causati da terremoti, ma le onde non sono mai state di grandi dimensioni, sebbene con le spiagge basse dell’Adriatico anche onde di un metro e mezzo possono fare danni e vittime“.
“Dal punto di vista delle possibile vittime, invece, la questione è ancora diversa. Una grossa mareggiata, ad esempio, fa quasi sicuramente molti più danni di un maremoto con onde alte un metro, ma ha meno possibilità di fare vittime, dato che arriva con il brutto tempo e quasi sicuramente non ci sono bagnanti in spiaggia. Il maremoto può capitare invece anche con molta gente in spiaggia, in qualsiasi momento, dato che spesso è causato da un terremoto o da una frana”, spiega Tinti. “Se un terremoto non viene avvertito e causa uno tsunami, anche con onde non spaventose, può fare vittime visto che si genera praticamente nello stesso istante del sisma. Il sistema di allarme attualmente attivo si basa sui dati dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), installato in Italia in coordinamento con altre regioni europee e gestito dalla Protezione Civile, ma potrebbe non essere sufficiente“.
“Un terremoto come quello accaduto nel 1908 nello Stretto di Messina, per esempio, può generare un forte tsunami proprio vicino alle coste: in quel caso il mare si è ritirato e dopo dieci minuti c’è stata la grande invasione di acqua sulle coste. Il problema – precisa l’esperto – è che è molto difficile che la Protezione Civile riesca a raggiungere la popolazione in meno di mezz’ora, in caso di allerta. Dunque per mettersi al sicuro è importante reagire immediatamente alla scossa e questo si può fare solo grazie ad esercitazioni preventive, soprattutto nelle aree a rischio“. Ma ancora prima di questi eventi l’area dello Stretto era stata interessata da terremoti con conseguenti maremoti. Tra il 1783 ed il 1785 la Calabria meridionale venne interessata da quella che i sismologi hanno identificato come una vera e propria “crisi sismica”, caratterizzata da una terribile serie di terremoti, ravvicinati nel tempo e spesso disastrosi al punto da cambiare radicalmente la morfologia del territorio. In quel contesto, a Scilla, nel reggino, avvenne quello che è ad oggi lo tsunami italiano che ha causato il maggiore numero di vittime: ben 1500 persone persero la vita.
Tinti sottolinea infine una nota importante, da un punto di vista della terminologia, che in caso di errore può creare confusione e diventare deleteria: “Onde anomale e maremoti sono due cose diverse, mentre Tsunami e maremoto sono la stessa cosa: nella nostra lingua era già presente il termine maremoto, cosa che invece gli anglosassoni non avevano e dunque hanno mutuato il termine giapponese di tsunami. La confusione con ‘Onda anomala’, invece, è nata nel 2004 con il grande maremoto dell’Oceano Indiano e della placca indo-asiatica. Uno dei primi esperti intervistati dell’epoca parlò erroneamente di onda anomala, che in realtà è ben diversa dal maremoto e si genera soprattutto al largo, arrivando a riva solo in casi eccezionali. Il termine corretto in inglese è Freakwafes, che è ben diverso dal maremoto e che in genere causa danni solo nei casi in cui colpisce navi o piattaforme petrolifere” conclude Stefano Tinti.