“Non esistono evidenze che associano l’ipertensione alla malattia COVID-19: se l’ipertensione fosse un fattore predisponente all’infezione da coronavirus dovrebbero esserci più pazienti ipertesi tra i malati COVID-19 rispetto a quanto osservato nella popolazione generale. Ad oggi, non ci sono prove che le persone con ipertensione siano sovrarappresentate tra quelle gravemente infette da COVID-19. Pertanto, i pazienti devono continuare a seguire le terapie antiipertensive come raccomandato dalle linee guida internazionali”. È chiara e ferma la posizione della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa/Lega Italiana contro l’Ipertensione Arteriosa (SIIA), in relazione a recenti notizie pubblicate sulla stampa laica su una presunta relazione tra ipertensione e COVID-19 nonché tra l’assunzione della terapia antiipertensiva [ACE-inibitori e antagonisti del recettore dell’angiotensina II (ARB)] e rischio di infezione da coronavirus, che stanno contribuendo a destabilizzare le certezze acquisite da anni di studi ed evidenze sperimentali.
La SIIA riprende e elabora quanto già precedentemente esposto da altre Società scientifiche internazionali (International Society of Hypertension, European Society of Hypertension, Council of Hypertension of the European Society of Cardiology, Canadian Cardiovascular Society and the Canadian Heart Failure Society). “Non esistono evidenze cliniche nell’uomo che associno l’assunzione di ACE-inibitori o ARB alla malattia COVID-19 – spiega il prof. Guido Grassi, presidente SIIA –. Allo stato attuale, non possiamo dire che queste terapie migliorino né che peggiorino la suscettibilità all’infezione da coronavirus. Non esistono dati clinici in pazienti che possano confermare l’effetto dannoso o protettivo di ACE-inibitori e ARB nel contesto dell’epidemia di pandemia COVID-19”.
“Ribadiamo che, in pazienti ipertesi stabili con infezioni COVID-19 o a rischio di infezioni COVID-19, il trattamento con ACEI e ARB deve essere eseguito secondo le raccomandazioni contenute nelle linee guida della Società Europea di Cardiologia (ESC) e della Società Europea dell’Ipertensione (ESH) del 2018 – sottolinea il prof. Grassi -. Anche l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha raccomandato di non modificare la terapia in atto con antiipertensivi nei pazienti ipertesi ben controllati, perché esporre pazienti fragili a potenziali nuovi effetti collaterali o a un aumento di rischio di eventi avversi cardiovascolari non appare giustificato”.
“Analogamente – continua il prof. Grassi -, in tutti i pazienti attualmente in terapia con ACE inibitori, ARB e, nel caso delle persone con scompenso cardiaco, anche con gli ARNI, questi farmaci non devono essere sospesi. Nei pazienti con COVID-19 con sintomi gravi o sepsi, ACE inibitori e ARB, alla stregua di tutti gli altri farmaci antipertensivi, devono essere usati o sospesi caso per caso, tenendo conto delle linee guida attuali”.
“Auspichiamo e promuoviamo ulteriori ricerche che analizzino i dati in costante aumento sull’impatto dell’ipertensione e dei farmaci antiipertensivi, in particolare ACE inibitori e ARB, sul decorso clinico delle infezioni da COVID-19 – conclude il prof. Grassi -, in modo da poter aggiornare le posizioni della società scientifica, man mano che nuove evidenze si rendano disponibili”.