L’allarme è scattato nell’ultimo fine settimana, confermato dai numeri del contagio, in forte crescita, e dai provvedimenti dei singoli governanti. Il nuovo coronavirus Covid-19 è arrivato anche in America Latina e minaccia disastri nel continente sudamericano.
Quasi tutti gli Stati hanno già annunciato i primi pesanti provvedimenti, nonostante il numero dei morti sia al momento fermo a cinque: restrizioni alle libertà personali, soprattutto quelle di movimento, chiusure delle frontiere, sospensione delle lezioni in scuole e università e delle funzioni religiose.
Rallentare il contagio è, da oggi, la parola d’ordine, nella consapevolezza che il bilancio delle vittime è destinato tragicamente a salire nelle prossime ore. C’è preoccupazione soprattutto in Brasile e in Argentina, al momento i due Paesi più colpiti. Una tensione accusata anche dalla Borsa di San Paolo, la più importante dlel’intera America Latina, che all’apertura di oggi ha fatto registrare un crollo del 12,53%. Solo due sono i Paesi ancora liberi da casi di infezione: il Nicaragua ed El Salvador. In Brasile il numero dei contagiati è salito a 200 in due giorni. Tra questi figurano anche 11 membri della delegazione che ha accompagnato il presidente Javier Bolsonaro in Florida, la settimana scorsa. Il dato, ancora esiguo in rapporto alla popolazione, nasconde però una crescita di oltre il 70%. Gli Stati di San Paolo e Rio de Janeiro sono i più colpiti, con quasi 2.000 casi sospetti. Quanto basta per convincere i governatori locali a disporre la chiusura graduale delle scuole pubbliche.
Il ministro della Sanità, Luiz Henrique Mandetta, ha annunciato che il parlamento è comuqnue pronto a stanziare fino a cinque miliardi di real (circa un miliardo di euro) per iniziative contro il coronavirus. In Argentina, Paese in cui lo scorso 7 marzo è stato confermato il primo decesso da Covid-19 in America Latina, il governo ha deciso di chiudere le frontiere, un provvedimento che al momento resterà in vigore fino al 31 marzo.
Misure e limitazioni che sono state imposte anche in Cile e in Colombia, dove al momento i contagi risultano essere rispettivamente 75 e 34. Il governo di Santiago, tra l’altro, ha previsto la creazione di “dogane sanitarie” alle frontiere, con il compito di negare eventualmente l’ingresso nel Paese per ridurre il rischio contagio. Da part sua, il presidente colombiano Ivan Duque ha vietato l’ingresso a stranieri e non residenti, imposto 14 giorni di quarantena ai connazionali di rientro dall’estero, deciso una serie di misure economiche per le classi più in difficoltà. Uno stato di “emergenza permanente” è stato dichiarato invece in Venezuela, che al momento conta 17 casi di contagio.
Tutti i voli da e per l’Europa, la Colombia, la Repubblica Dominicana e Panama sono stati sospesi per un mese. Il presidente Nicolas Maduro ha annunciato “una quarantena sociale” a partire da quaesta mattina alle 5, per evitare che la pandemia possa “brutalmente e tragicamente travolgere il Paese”. Inoltre ha disposto il divieto di assembramento in strada, la sospensione di tutte le attività lavorative, ad eccezione di quelle legate all’erogazione dei servizi sociali e alla filiera alimentare, ed ha chiesto all’amministrazione di Washington di revocare o allentare le sanzioni economiche imposte contro il Paese, già pesantemente toccato da una lunga crisi politica, economica e sociale.
In Messico si contano ad oggi 53 casi di contagio. Il presidente Andres Manuel Lopez Obrador, ancora nelle ultime ore, si è mostrato spavaldo, lanciando messaggi rassicuranti ai suoi concittadini: “Gli infortuni e le pandemie non ci faranno nulla”, ha detto, secondo quanto riferito dalla stampa messicana. Porteremo avanti il Paese, perché quando non esiste corruzione, il bilancio pubblico è sufficiente” a sostenere lo Stato, ha aggiunto. Una posizione, quella del capo dello Stato, che ha spinto il governo a limitare le misure contro il pericolo di contagio del coronavirus all’anticipo delle ferie pasquali al 20 marzo, con il loor prolungamento di 14 giorni.
Non meno preoccupazione desta la situazione in Perù e in Ecuador. Le autorità di Lima hanno annunciato 71 casi di contagio del Covid-19, ma temono fortemente una crisi nele prossime ore. Per questo, il presidente Martin Vizcarra ha annunciato la quarantena obbligatoria e la chiusura delle frontiere per i prossimi 15 giorni. Le forze armate e di polizia sorveglieranno sul rispetto delle regole che limitano le libertà individuali: “non risparmieremo alcuno sforzo perché la salute è il bene più prezioso che abbiamo”, ha detto il capo dello Stato in conferenza stampa, nelle stesse ore in cui il suo collega ecuadoriano, Lenin Moreno, decideva di chiudere il Paese a tutti i voli internazionali e agli arrivi via terra e via mare.
Tanto più che in Ecuador, dove si registra un bilancio di 37 contagi e due vittime, la crisi sanitaria si aggiunge alle tensioni legate al prezzo del petrolio, che hanno già spinto Moreno a varare una serie di misure di austerity: secondo quanto si legge sulla stampa locale, si tratta in particolare del taglio alla spesa di circa 1 miliardo e 400 milioni di dollari, dello scioglimento di alcune società pubbliche e dell’accorpamento di alcuni ministeri. In Paraguay, invece, al momento si registrano solo sei casi. Ma le autorità locali hanno già preso provvedimenti analoghi a quelli assunti da molte amministrazioni del continente sudamericano e del resto del mondo: chiusura di scuole e università e divieto di assembramenti in locali pubblici e privati, al chiuso e all’aperto, per i prossimi 15 giorni. Misure adottate anche in Costarica (35 casi confermati), in Guatemala, Paese che per ora registra un solo caso di contagio, e a Panama (43 persone contagiate), dove il presidente Laurentino Cortizo ha presentato un piano di sostegno all’economia da 1,2 milioni di dollari tramite gli istituti bancari.