Per combattere il tumore del colon-retto, tra le “armi” a disposizione degli oncologi si aggiungono gli inibitori dell’enzima Parp, la proteina che ripara il Dna delle cellule tumorali, già approvati per il cancro dell’ovaio e per la prima volta studiati e utilizzati anche per il tumore del colon-retto: lo ha scoperto una ricerca pubblicata su ‘Clinical Cancer Research’, condotta dai ricercatori dell’Istituto di Candiolo Irccs e dall’università di Torino. I ricercatori del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino che lavorano all’Istituto di Candiolo, guidati dalla dottoressa Sabrina Arena e dai professori Federica Di Nicolantonio e Alberto Bardelli, hanno infatti osservato che gli inibitori di Parp arrestano la crescita anche di un sottogruppo di tumori del colon–retto.
Si è anche scoperto che le cellule tumorali intestinali colpite dagli inibitori di Parp, pur avendo caratteristiche molecolari diverse, sono accomunate dalla sensibilità alla chemioterapia con oxaliplatino: tali farmaci potrebbero essere testati come terapia di mantenimento per quei pazienti con carcinoma al colon-retto che in precedenza hanno risposto bene e a lungo alla chemioterapia a base di oxaliplatino, e potrebbero inoltre sostituire così la chemio, permettendo la cronicizzazione del tumore.
“I Parp-inibitori potrebbero segnare la svolta nella terapia di molti tumori. Tra questi oggi potrebbero esserci anche quelli del colon-retto. La chemioterapia a base di oxaliplatino danneggia il Dna delle cellule dei tumori e spesso riesce a bloccare la crescita delle forme più avanzate di cancro al colon-retto. Tuttavia, i pazienti devono interrompere i cicli di trattamento per l’alta tossicità, anche quando la terapia è ancora efficace. Per questo occorre trovare nuovi farmaci in grado di tenere sotto controllo la malattia alla fine dei cicli di chemioterapia,” spiega Arena. E’ qui che “entrano in gioco i Parp-inibitori che impediscono a questa proteina ‘officina’ di riparare la rottura del Dna derivata dalla chemioterapia e quindi di replicare il proprio Dna per crescere e svilupparsi. Siamo solo all’inizio di un lungo e complesso percorso e al momento stiamo studiando l’intero genoma per identificare se e quali caratteristiche molecolari del tumore consentano di selezionare i pazienti che potranno beneficiare di questo tipo di terapia“.
“Per arrivare a questa scoperta abbiamo utilizzato una nuova strategia che sfrutta i cosiddetti organoidi: si tratta di colture in vitro di tessuti dei pazienti che ci consentono di testare rapidamente nuovi farmaci e di personalizzare le terapie. La squadra di biologi molecolari, medici, ingegneri matematici e bioinformatici che ha partecipato a questo studio è già tornata al lavoro per analizzare altri farmaci innovativi in grado di inibire le proteine coinvolte nella riparazione del danno al Dna e nel controllo del ciclo cellulare. Il prossimo passo sarà trasferire le osservazioni fatte in laboratorio in un trial clinico che metta a disposizione dei pazienti con cancro del colon-retto questi agenti antitumorali,” ha concluso Bardelli.