Coronavirus, la scienza spiega perché l’Italia ha il record di mortalità: inquinamento padano, scarso sistema sanitario e pochi tamponi [DETTAGLI]
Coronavirus, sono tanti i fattori chiamati in causa per tentare di spiegare l'alta mortalità in Italia, ma la risposta principale rimane una: i tamponi effettuati sono troppo pochi rispetto alla popolazione
In Italia, l’epidemia di coronavirus ha colpito con una forza devastante, provocando più di 143.000 casi confermati e oltre 18.000 vittime accertate fino al pomeriggio di ieri. I numeri continueranno ad aumentare drammaticamente ancora a lungo. Il nostro Paese detiene il primato per il maggior numero di decessi a causa dell’epidemia, seppur incalzato nella triste classifica dagli Stati Uniti (oltre 16.000 morti su oltre 462.000 casi) e Spagna (oltre 15.000 morti su oltre 152.000 casi). Il tasso di letalità dell’Italia è uno spaventoso 13%, rispetto al 2,2% degli USA e della Germania o al 3% della Svizzera. Un tasso del genere non trova riscontro in nessun altro Paese e ha spinto molti ricercatori ad analizzare la situazione dell’Italia per fornire un quadro generale più attendibile.
Questo è stato l’obiettivo di uno studio condotto da 12 ricercatori italiani1, dal titolo “L’infezione da Covid-19 in Italia: uno studio statistico di una malattia eccezionalmente grave”. In estrema sintesi, i ricercatori hanno dimostrato che l’alto tasso di letalità (CFR), ossia la proporzione di decessi sul totale dei casi confermati, osservato in Italia è “probabilmente influenzato da una forte sottovalutazione dei casi infettati”. “Per fornire una stima più realistica della mortalità da Covid-19”, gli esperti hanno utilizzato anche il caso della Diamond Princess, “una buona rappresentazione di un caso di studio di un sistema isolato in cui sono state testate tutte le persone”. “Le stime di mortalità (IFR) ottenute all’interno della Diamond Princess sono un valore obiettivo, non influenzato dalla sottovalutazione del numero di persone infette”, scrivono i ricercatori.
Innanzitutto, gli esperti specificano che il numero di contagiati in Italia “non ha mai seguito una distribuzione esponenziale, ad eccezione dei primissimi giorni”. “Nonostante il numero delle persone infette sia il principale parametro preso in considerazione dalle autorità e il più sottolineato dai media, il suo reale valore è ampiamente incerto e certamente sottostimato. Infatti, dipende in modo cruciale dal numero di test di laboratorio eseguiti sulle persone per accertare l’infezione, che è tuttavia limitato e molto piccolo rispetto al numero di abitanti. Inoltre, le procedure per testare le persone sono altamente variabili all’interno delle diverse regioni d’Italia e sono cambiate nel corso delle ultime settimane; a causa di questa discordanza, questo numero è statisticamente molto disomogeneo e non adatto ad interpretare la reale evoluzione dell’infezione”, scrivono i ricercatori. “Il numero di test in Italia è andato dai circa 2.427 (27 febbraio) a 26336 (21 marzo) ed è calato nuovamente a 25180 (22 marzo) e 17066 (23 marzo). Recentemente, ha raggiunto un valore di 36615 il 26 marzo”. Negli ultimi giorni finalmente anche in Italia è aumentato il numero di tamponi, siamo arrivati a 850 mila test effettuati, ma rimangono molti meno di USA, Russia e Germania e, in rapporto alla popolazione, inferiori anche a Svizzera, Austria, Portogallo, Islanda, Estonia, Lussemburgo, Israele, Australia, Emirati Arabi Uniti, Bahrein).
I ricercatori sottolineano poi come il tasso di letalità sia dell’11% circa in Italia, “estremamente alto”. “Questo valore così alto è dominato dalla mortalità in Lombardia, dove è stato registrato circa il 50% di tutte le infezioni italiane, con un CFR di circa il 16%. Il CFR è un valore generalmente sovrastimato della vera mortalità (IFR), considerata la probabile sottovalutazione del numero reale di casi di infezione. L’IFR è il parametro che misura la percentuale dei decessi sulla popolazione totale infetta (incluso il numero sconosciuto di casi non registrati)”. Il CFR in Italia “è oltre il doppio di quello della Cina, dove l’epidemia è apparsa per prima”, sottolineano nello studio.
“Poiché l’IFR è il rapporto tra il numero di deceduti a causa della malattia e il numero totale degli infetti, il CFR, che è calcolato sul numero di contagiati “noti” è un limite superiore dell’IFR. Normalmente, il CFR (e quindi l’IFR) dovrebbero essere determinati alla fine dell’epidemia, perché il decesso si verifica alla fine del ciclo epidemico, in ritardo rispetto all’infezione”. Lo studio sottolinea anche: “I test di massa a Vo’ Euganeo hanno suggerito che il numero di persone asintomatiche infettate dal Covid-19 è almeno del 50%”. “Il CFR italiano è molto simile a quello osservato nella casistica ospedaliera, che attesta l’attitudine a testare soprattutto i casi gravi e ospedalieri, non essendo a conoscenza dei pazienti lievi e asintomatici”.
“Per l’epidemia di Covid-19, inoltre, c’è un modo indipendente di ottenere una stima piuttosto obiettiva dell’IFR utilizzando l’unico caso studio “in stile laboratorio”: la Diamond Princess, la nave da crociera ancorata nel porto di Yokohama dal 4 febbraio al 2 marzo. Qui, tutti i 3711 passeggeri ed equipaggio sono stati testati e 712 persone (19,2%) hanno avuto risultati positivi al test. Di questi, 331 (46,5%) erano asintomatici al momento del test, un valore simile a quello ottenuto a Vo’ Euganeo. Tra i 381 pazienti sintomatici, 37 (9,7%) ha richiesto la terapia intensiva, e 9 sono morti. Poiché la Diamond Princess è un caso perfettamente isolato, in cui sono state testate tutte le persone, il numero totale di infetti è perfettamente noto e possiamo ritenere che IFR=CFR. L’IFR calcolato per la Diamond Princess è quindi 1,3%. Poiché questo numero è statisticamente influenzato da una grande incertezza dovuta al piccolo numero di deceduti, possiamo ritenere che l’IFR del Covid-19 è meno di 1,3%; infatti, l’osservazione di un CFR notevolmente più piccolo dell’1% in alcuni Paesi (per esempio Australia, Norvegia e Israele) indica che valori minori sono più probabili rispetto a quelli maggiori”, continua lo studio.
“Alla luce di un simile range di mortalità, il CFR osservato in Italia appare molto anomalo e ancora di più il CFR in Lombardia (16,1%). La prima ragione più ovvia per spiegare una mortalità così alta è ipotizzare che il numero di casi infetti sia sostanzialmente sottostimato. Un chiaro segnale di questo è il fatto che la mortalità aumenta nel tempo, da circa il 2% all’inizio (20 febbraio) all’11% del 30 marzo. Durante questo periodo, il numero di casi infetti è aumentato da poche unità a circa 100.000, mentre il numero giornaliero dei test di laboratorio è cambiato da poche centinaia a circa 30.000. Non essendoci prove dell’esistenza di un ceppo differente del virus, più aggressivo e letale in Italia, riteniamo che l’IFR sia lo stesso che in altre località e un tratto distintivo di questa epidemia. Potremmo allora scegliere tra la stima di IFR=0,2% dell’Università di Oxford o la stima di IFR=1,3% della Diamond Princess. Se l’estrema mortalità osservata fosse solo dovuta ad una sottovalutazione del numero di persone infettate, considerando un “vero” IFR compreso tra 0,2% e 1,3%, dovremmo moltiplicare, rispettivamente, per 56,5 o 8,7 il numero ufficiale di casi infettati; il numero risultante sarebbe allora compreso tra 885.000 circa e5,7 milioni di persone contagiate”, si legge nello studio.
“Non possiamo escludere, tuttavia, che il vero IFR in Italia sia notevolmente più alto che in altri Paesi a causa di diversi motivi concomitanti. Per esempio, l’età media più alta della popolazione italiana è stata spesso indicata come possibile spiegazione per l’alto CFR da Covid-19. Tra tutti i Paesi del mondo, l’Italia attualmente è in seconda posizione per l’età media più alta; tuttavia, la prima posizione è occupata dal Giappone, che ha mostrato un numero di infezioni e un CFR molto basso, quindi questa possibilità appare improbabile. Un’altra possibile causa di comorbità potrebbe essere legata all’alto livello di inquinamento in Lombardia, che è probabilmente la regione più inquinata in Europa dalle polveri sottili e dall’ozono. Come dimostrato in diversi studi, c’è una correlazione tra la diffusione dei virus e l’inquinamento da polveri sottili. Inoltre, l’esposizione alle polveri sottili contribuisce ad aumentare la gravità delle infezioni virali respiratorie. L’incidenza dell’inquinamento da polveri sottili, dunque, in linea di principio, potrebbe essere una delle ragioni per l’alto tasso di mortalità osservato in Lombardia (e parzialmente in Emilia Romagna). Sebbene gli effetti di questo tipo di inquinamento nell’amplificare la mortalità osservata per una grave malattia polmonare sembrino ragionevoli, in realtà è molto difficile quantificarne l’incidenza. È anche molto difficile credere che possa essere così forte rispetto ad altre aree altamente industrializzate dell’Europa (per esempio Germania, Francia, Paesi Bassi, ecc.). Inoltre, un recente documento pubblicato dalla Società Italiana Aerosol, firmato da circa 60 scienziati di varie discipline, respinge varie ipotesi, indicando che non c’è una chiara evidenza di una correlazione tra polveri sottili e amplificazione della malattia Covid-19”, continuano gli esperti.
“Altre incerte spiegazioni per l’estrema mortalità potrebbero essere l’alto numero di fumatori in Italia e l’antibiotico resistenza della popolazione italiana. Riguardo la percentuale delle persone che fumano, tuttavia, il 23% dell’Italia è più basso della media europea, 29%; riguardo l’antibiotico resistenza, al contrario, l’Italia in realtà ha la posizione più critica in Europa. Tra i circa 33.000 decessi annuali in Europa dovuti ai batteri resistenti agli antibiotici, circa 10.000 avvengono solo in Italia. Poiché generalmente le terapie utilizzate contro il SARS-CoV-2 includono uno o più antibiotici, la questione, in linea di principio, potrebbe determinare una mortalità maggiore. Anche in questo caso, tuttavia, non è facile quantificare questo effetto, che comunque appare marginale nell’influenza stagionale, dal momento che in questo caso il CFR per l’Italia non differisce molto rispetto agli altri Paesi europei”, scrivono i ricercatori.
“La possibilità rimanente è che il sistema sanitario fosse impreparato per una simile emergenza dovuta ad una sindrome respiratoria; in realtà, notiamo che in Italia (60 milioni di persone), c’erano, prima dell’epidemia di Covid-19, circa 5.090 posti in terapia intensiva; in confronto, in Germania (82 milioni di persone), questi posti erano 28.000. In termini di unità di terapia intensiva divisi per la popolazione, l’Italia occupa la 19ª posizione tra 23 Paesi europei. Osserviamo, infatti, un’alta pressione sulle unità di terapia intensiva per casi gravi/critici, soprattutto in Lombardia. Un’altra indicazione del fatto che qualcosa sia andato storto durante la prima fase della gestione dell’infezione da parte degli ospedali lombardi è il numero molto alto del personale sanitario contagiato (6.414). Quindi, gli ospedali potrebbero essere stati i vettori più efficaci per l’epidemia nella prima fase in Lombardia, dove è stato osservato un aumento molto rapido”, si legge nello studio.
In conclusione, tra tutte le possibili cause di una mortalità così alta in Italia, lo studio evidenzia che “l’effetto più ragionevole include una forte sottovalutazione dell’estensione dell’infezione”, mentre “un possibile ulteriore contributo potrebbe essere fornito dall’inquinamento molto alto da polveri sottili”, insieme alla “scarsa preparazione e ai possibili errori iniziali del sistema sanitario, principalmente in Lombardia, dove l’epidemia è esplosa prima in pochi giorni”.
I ricercatori, infine, hanno sottolineato come sia chiaro che “l’aumento o la diminuzione delle nuove infezioni giornaliere dipenda dal numero di test. Questa è un’ovvia conseguenza del fatto che il vero numero di infezione è molto più grande del piccolo campione testato: quindi, più test vengono eseguiti, più casi vengono registrati”. Nello studio, i ricercatori hanno anche avanzato una previsione sull’evoluzione futura dell’epidemia, basandosi sul “numero giornaliero complessivo dei decessi, corretto per un adeguato IFR”. I dati ottenuti “mostrano che il picco dell’infezione è stato superato oltre due settimane fa e la saturazione della curva (fine dell’epidemia) è attesa entro la prima settimana di aprile o pochi giorni dopo”.
1. Giuseppe De Natale, Valerio Ricciardi, Gabriele De Luca, Dario De Natale, Giovanni Di Meglio, Antonio Ferragamo, Vito Marchitelli, Andrea Piccolo, Antonio Scala, Renato Somma, Emanuele Spina, Claudia Troise.