Coronavirus, virologo: il COVID rompe gli schemi dei tradizionali approcci terapeutici

"Un antibiotico come un antimalarico per un Coronavirus sono schemi diversi, non comuni, ma è quello a cui ci sta abituando questo virus"
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Il Coronavirus rompe gli schemi dei tradizionali approcci terapeutici: Pasquale Ferrante, virologo dell’università Statale di Milano, scienziato esperto di editing genetico e direttore sanitario di un ospedale del capoluogo lombardo in prima linea nell’emergenza Coronavirus, l’Istituto clinico Città Studi (Iccs), spiega all’AdnKronos Salute che “da virologo sto vedendo fiorire terapie molto diverse dalla nostra classica concezione di farmaci per malattie virali“. “Al momento usiamo gli schemi più condivisi che anche Aifa ha suggerito. Lo facciamo sia pure con notevoli momenti di riflessione“. All’Iccs, “la terapia di base che usiamo è l’idrossiclorochina, un antimalarico, affiancata per un periodo da zitromicina, antibiotico, perché ci sono stati trial che hanno dimostrato che è un’associazione buona. In molti pazienti eravamo partiti solo con la clorochina, ma in almeno un trial l’associazione si è dimostrata promettente e l’abbiamo adottata“. “Un antibiotico come un antimalarico per un Coronavirus sono schemi diversi, non comuni, ma è quello a cui ci sta abituando questo virus“.
Un’altra arma che utilizziamo è l’enoxaparina, che viene somministrata per combattere la microembolia polmonare nell’ambito del processo infiammatorio-degenerativo dei polmoni. Cerchiamo di usare il tutto con granu salis“. “Fra i farmaci adesso a disposizione dei nostri pazienti, selezionati secondo precisi criteri c’è anche l’anticorpo monoclonale tocilizumab anti artrite reumatoide, usato a Napoli in prima battuta. All’Iccs è usato proprio nell’ambito di un trial organizzato e i pazienti si selezionano sulla base delle caratteristiche previste dal disegno del trial. La somministrazione deve avvenire infatti in un momento preciso, quando il paziente sta passando a una situazione respiratoria non soddisfacente“. Questo anticorpo monoclonale, “bloccando il recettore dell’interleuchina-6, viene proposto come alleato per abbassare la reazione immunitaria” che si registra in misura eccessiva in una precisa fase della malattia caratterizzata da un’elevata infiammazione. “Nel momento in cui si somministra va monitorato per vedere alcune cose. La logica si ritrova in quella fase che vediamo anche nella vecchia Sars: alla viremia iniziale con coinvolgimento infiammatorio pesante dopo segue una fase di malattia che sembra dovuta prevalentemente alla risposta immunitaria e ha senso in quella fase intervenire“. Infine, conclude l’esperto, “abbiamo utilizzato anche l’antiretrovirale storico indicato per l’Hiv (lopinavir e ritonavir), ma con parsimonia“.

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