A seguito del terremoto del 6 aprile 2009 vi è stata una differente risposta sismica tra l’area di massimo danneggiamento, la cosiddetta “zona rossa”, e l’area circostante? Come si spiega la violenza dello scuotimento a Onna? Questi sono stati gli interrogativi che si è posto di risolvere il team dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) con la collaborazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) nello studio Site effects of Onna during the 2009 L’Aquila (Central Italy) seismic sequence: constraints on bedrock depth and 1D local velocity structure from aftershock seismograms, appena pubblicato sul Bulletin of Seismological Society of America, che lo richiama nella copertina del numero di aprile.
“Nell’area epicentrale del sisma aquilano” ci ricorda Giuliana Mele, ricercatrice dell’INGV e coautrice della ricerca, “Onna è stata la località con il massimo grado di intensità macrosismica, pari a 9.5 della scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS). Il nostro studio ha avuto un duplice obiettivo: verificare se vi sia stata una differenza nella risposta sismica tra l’area di massimo danneggiamento e l’area circostante, e spiegare la violenza dello scuotimento ricostruendo un profilo verticale della velocità delle onde sismiche più realistico”.
I modelli precedenti riuscivano a riprodurre la caratteristica principale del sito, ovvero la risonanza della copertura sedimentaria, ma ne sottostimavano l’entità.
“Il metodo di analisi utilizzato”, prosegue la ricercatrice, “è quello dei “rapporti spettrali”. In altri termini, partendo dal presupposto che una registrazione sismica contiene informazioni sulla radiazione emessa dalla sorgente, sulla propagazione delle onde sismiche e sul sito di registrazione, analizzare il rapporto spettrale tra le registrazioni di uno stesso evento in siti vicini mette in luce le eventuali differenze della risposta sismica di un sito rispetto all’altro.”
“Nel nostro studio abbiamo applicato questa tecnica alle repliche della scossa principale del 6 aprile. Queste, di magnitudo compresa tra 1.8 e 3.9, sono state registrate da cinque stazioni a Onna e tre stazioni a Monticchio, installate tra luglio e dicembre 2009”.
Di particolare interesse per la comunità scientifica è il fatto che le località di Onna e Monticchio, pur essendo distanti tra loro solo due chilometri, hanno subito danni di entità molto diversa, valutabili in oltre tre gradi MCS di differenza. “Il confronto tra le registrazioni sismiche di Onna e Monticchio, quest’ultimo scelto come sito di riferimento su roccia”, aggiunge la ricercatrice, “ha mostrato che Onna, edificata nella valle alluvionale del fiume Aterno, è caratterizzata da un’amplificazione del moto del suolo da 3 a 5 volte superiore a quella di Monticchio. Ne deriva che la geologia locale ha giocato un ruolo determinante nella distruzione causata dal terremoto del 2009. Abbiamo riesaminato come cold case l’effetto di sito di Onna, elaborando i dati di quella sequenza sismica e un nuovo profilo di velocità compatibile sia con i dati strumentali che con la geologia locale. Il nostro studio ha mostrato che il substrato roccioso presente al disotto dei depositi alluvionali è profondo circa 200 metri nell’area di Onna e che il contrasto di velocità su questa interfaccia ha svolto un ruolo cruciale sull’entità dello scuotimento. Studi precedenti”, prosegue Giuliana Mele, “attribuivano l’effetto amplificativo a una discontinuità sismica localizzata a profondità inferiore, con un contrasto di velocità insufficiente a giustificare gli scuotimenti osservati. Con il nuovo vincolo geometrico proposto nel nostro studio abbiamo simulato il moto del suolo a Onna durante la scossa del 6 aprile, non registrato in quell’occasione perché non vi erano stazioni sismiche”.
“I sismogrammi così ottenuti hanno fornito valori dell’accelerazione del suolo in grado di produrre effetti distruttivi per la tipologia di edifici presente nel centro storico di Onna, confermando la necessità di un modello geologico più complesso”.
“Lo studio”, conclude Giuliana Mele, “rimarca l’importanza di investigare l’assetto geologico di un’area spingendosi a profondità superiori a quelle che, in genere, sono oggetto di indagine nell’immediato post-sisma. In questa direzione, i metodi cosiddetti indiretti della Sismologia ci vengono in aiuto per acquisire informazioni dove esse sono limitate agli strati più superficiali o addirittura assenti”.