Il Coronavirus e l’infinita querelle: è più buono o no? Il virologo Silvestri fa chiarezza e spiega cosa è cambiato nella gravità clinica

Il Coronavirus, tra numeri e dati: ecco la nuova "Pillola di ottimismo" del virologo Guido Silvestri, docente alla Emory University di Atlanta
MeteoWeb

L’ipotesi di una intrinseca riduzione della gravità clinica di COVID-19 in Italia è quella che spiega nel modo più parsimonioso i dati attualmente a nostra disposizione“: lo afferma il virologo Guido Silvestri, docente alla Emory University di Atlanta, nella nuova “Pillola di ottimismo” pubblicata oggi sulla sua pagina Facebook in cui si esprime, dati alla mano, sulla “sulla intensa querelle del virus che diventa più buono“.
Di seguito il post integrale.

IL VIRUS PIU’ BUONO E LA PSEUDOSCIENZA

Aspettando il fatidico 20 maggio dell’ultimo post (quello sul RITORNO ALLA NORMALITA’, che dedico fin da ora a Elena Brescacin), oggi vi tormento con un breve post sulla intensa querelle del virus che diventa più buono, sì o no. Quella, per intenderci, per cui Massimo Clementi, Giuseppe Remuzzi ed altri sono stati pubblicamente accusati di fare pseudo-scienza per aver espresso una loro opinione basata sulle loro esperienze cliniche.

Siccome a me piacciono i numeri ed i dati, sono andato un pochino a sfruculiare nei dati pubblici della protezione civile. Cosi’ ho plottato per il periodo dal 29 febbraio al 17 maggio il RAPPORTO in percentuale tra pazienti in terapia intensiva per COVID-19 e totale casi positivi.

Come vedete questo valore – che uso come indice crudo della gravità clinica “media” dei casi di infezione con SARS-CoV-2 – è intorno al 8-10% per i primi 20 giorni dell’epidemia, poi inizia calare regolarmente (al momento è 1.1%). Questi sono numeri e su questi non si discute.

Come vanno interpretati? Ho deciso di considerare tre fattori, e di focalizzarmi sugli ultimi 50 giorni (dal 30 marzo al 17 maggio) per evitare il “confounding factor” del sovraccarico ospedaliero, verificatosi soprattutto a marzo, e noto per ridurre l’efficacia delle terapie di supporto. Come mostrato nel grafico, in questi ultimi 50 giorni il rapporto tra ricoverati in TI e casi totali è passato da 5.5% a 1.11%.

Il primo fattore da considerare, ovviamente, è il numero di tamponi fatti, perché uno potrebbe dire: se fai più tamponi scopri più positivi asintomatici o lievi e questo spiega tutto.

Sono andato a controllare, ed ecco qui sotto il numero di tamponi eseguiti in media per giorno nei 5 blocchi di 10 giorni qui considerati:

32591.9 (da -50 a -41 giorni)
48866.3 (da -40 a -31 giorni)
54555.4 (da -30 a -21 giorni)
59162.6 (da -20 a -11 giorni)
62367.2 (da -10 a ieri)

Quindi il numero medio dei tamponi fatti per giorno è aumentato di un fattore poco meno di 2, il che spiega in modo solamente parziale una riduzione del rapporto “ricoveri in terapia intensiva/totale casi” di un fattore 5.

Il secondo fattore è un possibile migliorato trattamento dei soggetti asintomatici una volta diagnosticati. Avendo escluso il “sovraccarico ospedaliero” come fattore di terapia sub-ottimale, e considerando (i) l’assenza totale di evidenza clinica a favore di trattamenti precoci; (ii) l’uso sporadico del Remdesivir in Italia; e (iii) il fatto che l’efficacia clinica della clorochina appare sempre meno probabile (vedi Tang W, BMJ May 14th, 2020 e Mahevas M, BMJ May 14th, 2020) – si può concludere che questa ipotesi non sia affatto parsimoniosa.

Il terzo fattore è quello di un andamento intrinsecamente migliore della malattia, che può essere spiegato come perdita di virulenza da parte del virus (al momento non dimostrata in vitro o nell’animale da esperimento, ma ipotizzabile sulla base del noto fenomeno del co-adattamento tra virus e ospite) e/o come infezioni meno severe in quanto causate da inoculo virale più basso per le più alte temperature ambientali (consistente con la ben nota stagionalità dei virus respiratori).

Come sempre spero che ognuno faccia le sue considerazioni senza lasciarsi andare a frasi ingiuriose (perché nel nostro ambiente la parola “pseudo-scienza” è un insulto).

A mio avviso l’ipotesi di una intrinseca riduzione della gravità clinica di COVID-19 in Italia è quella che spiega nel modo più parsimonioso i dati attualmente a nostra disposizione.”

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