“Mantova insieme all’Università di Pavia ha siglato un protocollo che ha cambiato l’atteggiamento terapeutico e gli outcome clinici dei pazienti affetti da coronavirus. I risultati ci stanno dando ragione. Ci eravamo prefissati di ottenere la riduzione della mortalità e questo risultato è stato ottenuto. E’ un trattamento democratico che esprime la solidarietà del guarito verso l’ammalato. I donatori sono diventati il fulcro di questa ricerca“: lo ha affermato Giuseppe De Donno, direttore della struttura complessa di pneumologia e unità di terapia intensiva respiratoria Ospedale Carlo Poma di Mantova, in audizione in commissione Sanità al Senato sui profili sanitari della Fase 2 (strategie anti e post Covid-19).
“Il protocollo è stato molto ambizioso perché ha deciso di usare il plasma iperimmune del paziente convalescente in un target di pazienti gravi con una grave forma di insufficienza respiratoria di primo e secondo livello. Abbiamo arruolato 48 pazienti, l’outcome è soddisfacente: 46 di questi sono guariti. Nella casistica mantovana tutti i pazienti arruolati nel protocollo sono guariti. Anche nel follow app non ci sono stati casi di recrudescenza o ricaduta“. “Siamo stati i capofila ad utilizzare questo tipo di metodica. In piena guerra non c’è tempo di costruire uno studio randomizzato e controllato, serviva un’arma rapida ed efficace e noi l’abbiamo messa in campo in pochissimi giorni. La ricerca su plasma iperimmune aprirà in futuro nuovi filoni. Adesso è necessario avere a disposizione la maggiore quantità di plasma“.
“La cosa che mi meraviglia è questo iniziale accanimento contro l’utilizzo del plasma iperimmune da parte di molti scienziati, che hanno detto delle baggianate tra le più grandi che uno scienziato possa mai sentire“.
“E’ stato detto che il plasma è costoso. Ma come fa ad essere costosa una cosa che viene donata con grande generosità? E per quanto riguarda la disponibilità, posso dire che con una dose di plasma del donatore riusciamo a trattare due pazienti. Ogni donatore può, quindi, far guarire due pazienti. Il problema della disponibilità del plasma è pertanto del tutto secondario se lavoriamo da subito sui pazienti guariti“.
“Ho sentito in questi giorni tante cose che non vanno bene. La scienza si è divisa sulla terapia al plasma. E’ stato detto che noi abbiamo utilizzato una metodica che non aveva alle spalle uno studio randomizzato e controllato. Ma è ovvio: questo è il primo studio al mondo di questo tipo, è registrato dal 26 marzo e quella registrazione è marmo scolpito. Noi siamo stati capofila. Chiunque potrà dire la sua, ma sarà sempre secondario a quello che hanno fatto Mantova e Pavia.”
“Il plasma lo abbiamo utilizzato in guerra e adesso che siamo ancora in guerra dobbiamo avere le banche del plasma, ma se qualcuno mette in dubbio le donazioni fa un danno non solo ai donatori, ma al paese“.
“Mi sono scagliato contro chi mette in dubbio i controlli e la sicurezza, il nostro sistema di donazioni è il più sicuro al mondo“, ha detto il medico. “In questo momento l’unica arma che ha un proiettile magico è il siero del paziente convalescente, non ne abbiamo altro“.
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Come funziona la terapia con plasma
L’uso del plasma da convalescenti come terapia per il Coronavirus “è attualmente oggetto di studio in diversi paesi del mondo, Italia compresa. Questo tipo di trattamento non è da considerarsi al momento ancora consolidato perché non sono ancora disponibili evidenze scientifiche robuste sulla sua efficacia e sicurezza, che potranno essere fornite dai risultati dei protocolli sperimentali in corso“: lo afferma il Centro nazionale sangue (CNS) in un approfondimento sul sito “Dona il sangue” del Ministero della Salute. “Il plasma da convalescenti è già stato utilizzato in passato per trattare diverse malattie e, in tempi più recenti, è stato usato, con risultati incoraggianti, durante le pandemie di Sars ed Ebola“, precisa il CNS.
“La terapia con plasma da convalescenti prevede il prelievo del plasma da persone guarite dal Covid-19 e la sua successiva somministrazione (dopo una serie di test di laboratorio, anche per quantizzare i livelli di anticorpi ‘neutralizzanti’, e procedure volte a garantirne il più elevato livello di sicurezza per il ricevente) a pazienti affetti da Covid-19 come mezzo per trasferire questi anticorpi anti-SARS-Cov-2, sviluppati dai pazienti guariti, a quelli con infezione in atto“, ricordano gli esperti. “Gli anticorpi (immunoglobuline) sono proteine coinvolte nella risposta immunitaria che vengono prodotte dai linfociti B in risposta ad una infezione e ‘aiutano’ il paziente a combattere l’agente patogeno (ad esempio un virus) andandosi a legare ad esso e ‘neutralizzandolo’. Tale meccanismo d’azione si pensa possa essere efficace nei confronti del Sars-Cov-2, favorendo il miglioramento delle condizioni cliniche e la guarigione dei pazienti“.