“Il centro di Londra era deserto quando sono arrivata in clinica per il mio primo test per gli anticorpi contro il nuovo coronavirus. Dopo più di un mese bloccata in casa sotto chiave, avevo indossato con ansia una maschera e mi ero avventurata nel distretto finanziario della città, dove un medico faceva il test in questione“. Inizia così il racconto di Stephanie Baker su Bloomberg.
“Come molti che lottano contro la pandemia – prosegue Baker –, sospettavo di essere stata infettata da Covid-19 qualche tempo fa, ed ero ansiosa di scoprirlo con certezza. Il dottore prese una piccola lancetta, mi punse il dito e fece colare una goccia di sangue in una scatolina di plastica. Quando la debole linea di controllo ha iniziato a formarsi nella finestra dei risultati, ho attesto nervosamente per sapere quale fosse l’esito. È stato il primo di quella che si è trasformato in una serie di test esasperanti, sconcertanti e snervanti con risultati contrastanti che mi hanno lasciato ancora più ansiosa e con ancora più domande rispetto a prima”.
“La mia idea – spiega la giornalista – era di aver contratto il Covid-19 durante una vacanza in famiglia a metà febbraio nelle Alpi francesi. Avevamo trascorso una giornata sugli sci a Courmayeur, appena oltre il confine italiano. All’epoca, Covid-19 stava crescendo rapidamente nel nord Italia, sebbene la regione di Aosta intorno a Courmayeur abbia riportato i suoi primi casi molto più tardi. Arrivata a Londra, ho iniziato a sentirmi male: mal di testa, brividi, febbre lieve, mal di stomaco lieve ed estremo esaurimento. Tuttavia, un medico del National Health Service del Regno Unito ha rifiutato di testarmi perché non avevo la tosse, dicendomi che non poteva essere Covid-19. Mi sono ripresa abbastanza rapidamente e nessun altro nella mia famiglia si è ammalato, ma quando le infezioni sono aumentate in tutta Europa, specialmente tra gli sciatori che tornano a casa, la mia idea che poteva aver avuto il Covid-19 è diventata più forte“.
Test di anticorpi diffusi sulle popolazioni potrebbero produrre risultati falsi positivi e portare alcune persone a diffondere inconsapevolmente il virus pensando di essere immuni, come ha spiegato Rosanna Peeling, professore alla London School of Hygiene and Tropical Medicine. Questo perché non è facile assicurarsi che i test siano specifici per il nuovo coronavirus e non per i coronavirus che causano il raffreddore comune. In sostanza i falsi positivi potrebbero portare a credere che la popolazione sia più immune della realtà.
“Più tardi quel giorno, ho fatto un altro test con l’aiuto di due chirurghi di Londra: Evangelos Efthimiou e sua moglie, Romana Kuchai, arrivando a casa loro nella zona ovest di Londra con la mia mascherina e guanti monouso. Efthimiou aveva sofferto dei sintomi di Covid-19 all’inizio di aprile – una leggera febbre, stanchezza, mal di gola, brividi e anosmia (la perdita dell’olfatto e del gusto che è stata identificata come il biglietto da visita di Covid-19). Non ha mai fatto un test di tampone per confermare Covid-19, ma è rimasto a casa per due settimane e in seguito è risultato positivo agli anticorpi coronavirus nel suo ospedale. Ho portato con me una scatola di test da Biopanda Reagents Ltd., un produttore di kit rapidi con sede a Belfast. La società ha venduto oltre 300.000 test di anticorpi Covid-19 a paesi tra cui il Bahrain e le repubbliche ceca e slovacca, ed è autorizzata a venderli nel Regno Unito per l’utilizzo da parte di professionisti medici. Seduti al tavolo della loro cucina, Efthimiou e Kuchai mi hanno aiutato a fare il test Biopanda, spremendo il sangue dal dito sulla cassetta, proprio come avevo fatto nel centro di Londra. Una coppia di linee apparve accanto all’IgG e all’IgM. Adesso ero positiva”.
“Nell’ultima parte del mio esperimento non scientifico – racconta ancora la giornalista –, ho contattato un’infermiera pediatrica di terapia intensiva, Deborah Lees, che vive vicino casa mia. Madre di tre figli, Lees presentava sintomi relativamente lievi – tosse, affaticamento e febbre di basso grado – e ha eseguito un test di tampone risultato positivo per Covid-19 il 24 marzo. Più di due settimane dopo, il suo ospedale ha eseguito un test di laboratorio che mostrava che aveva anticorpi IgG ma nessuna IgM. Seduta sul divano, pungeva il dito per far cadere il sangue nella cassetta del test Biopanda, quello per cui ero risultata positiva. I suoi risultati, invece, sono stati negativi. Eravamo sconcertate”.
Morale della favola? Semplice: “Dopo quattro prove e controlli incrociati contrastanti, non sono ancora sicura di avere aveto il Covid-19. Mi piacerebbe pensare che il test Biopanda sia corretto, ma se non è riuscito ad individuae gli anticorpi dell’infermiera, mi chiedo perché abbia individuato i miei. Temo che molti dei test sul mercato possano dare alle persone un falso senso di avere una certa immunità. Fino a quando non sapremo di più su questo virus – come viene trasmesso e perché alcune persone lo schivano, nonostante siano esposti – continuerò a lavorare da casa, indosserò la mascherina e i guanti al supermercato e cercherò di stare a 6 piedi di distanza dalle persone quando mi avventuro all’aperto”, conclude amaramente la giornalista.