Di Gianluca Vialli vogliamo continuare a parlare, a leggere, ad ascoltare. Perché l’esempio di ciò che ha vissuto e di come lo ha vissuto diventa l’emblema della lotta, non solo contro il cancro, ma anche contro ogni tipo di malattia potenzialmente mortale. L’ex attaccante di Sampdoria e Juventus si è raccontato in una lunga intervista al ‘The Guardian’, parlando dei mesi difficili trascorsi a combattere contro un tumore al pancreas. “Ti senti come se stessi deludendo qualcuno, come i tuoi genitori. Perché non vuoi che i tuoi genitori ti vedano mentre soffri. Sono stato sempre visto come un duro, con tanta determinazione e non esserlo mi ha messo a disagio. Non volevo sembrare un povero ragazzo malato. E’ anche un peso. La gente ti chiamerà per dimostrarti che ti pensa, ma anziché passare del tempo al telefono avevo bisogno di tempo per me stesso. E il giorno in cui cominci a vedere le cose diversamente, la tua vita cambia. Adesso mostro le mie paure con orgoglio, sono il simbolo di quello che ho passato. Adesso capisco che quando voglio piangere, piango, senza vergogna. Cerco di non piangere davanti alle persone molto emotive, di farlo quando sono da solo. Ma se mi trovo in un posto dove sono a mio agio, non trattengo niente dentro. Mi lascio andare e poi mi sento meglio. Nel mio caso piangevo perché avevo paura dell’ignoto, non sapevo se sarei stato bene o no. Non ho mai pensato di dover combattere il cancro, perché sarebbe stato un nemico troppo grande e potente. L’ho presa come un viaggio con un compagno indesiderato nella speranza che si annoiasse e morisse prima di me”.
Passata la malattia, però, impari a convivere con la paura che la ‘maledizione’ possa tornare: “Sfortunatamente queste cose hanno la tendenza a tornare. Ma al momento sto bene e spero continui ad essere così finché morirò di vecchiaia”. In Germania si è ripreso a giocare, Vialli spera lo si faccia anche in Italia, anche se sa che la situazione non è facile: “In tempo di lutto, e quando passi situazioni difficili come queste, alcuni psicologi dicono che dovremmo provare a fare le cose che ci danno piacere senza sentirci in colpa. Per cui il calcio può essere uno strumento per dare alle persone un po’ di sollievo. Detto questo, posso solo immaginare come si sentono i calciatori e non saprei cosa dire loro. Se fossi ancora un calciatore, probabilmente troverei difficile concentrarmi sul calcio perché c’è ancora gente che muore”.