Secondo uno studio di un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma, coordinato da Francesca Scazzina del Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco, pubblicato recentemente sulla rivista scientifica “Nutrition, Metabolism & Cardiovascular Diseases” una dieta ipocalorica, disegnata secondo i principi della Dieta Mediterranea e allineata con le abitudini o preferenze dei soggetti obesi a cui era destinata, è risultata efficace per la riduzione di peso. L’obesità è uno dei principali problemi di salute pubblica perché spesso induce lo sviluppo di malattie croniche, quali diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e tumori, oltre ad essere limitante per lo svolgimento di una vita sana ed attiva.
Nello studio del Laboratorio di Nutrizione Umana del Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco dell’Ateneo di Parma sono stati arruolati 73 soggetti obesi seguiti dalla struttura semplice dipartimentale di Malattie del ricambio e diabetologia presso il Centro per la cura del Diabete dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma. Elisabetta Dall’Aglio, del Dipartimento di Medicina e Chirurgia, ha assegnato a ogni paziente una dieta ipocalorica in linea con i principi della Dieta Mediterranea, la cui fonte di carboidrati differiva qualitativamente sulla base dell’abituale consumo di pasta dei pazienti. In breve, la pasta veniva consumata più di 5 (High Pasta) o meno di 3 (Low Pasta) volte alla settimana.
Dopo sei mesi dall’inizio dell’intervento dietetico, è stata osservata una riduzione del peso corporeo, indipendentemente dalla frequenza di consumo della pasta, che ha raggiunto in media il 10% per il gruppo High Pasta e il 7% per il gruppo Low Pasta, riduzione che si è mantenuta stabile anche dopo 12 mesi. Entrambi i trattamenti dietetici hanno migliorato significativamente i parametri antropometrici, di composizione corporea (con riduzione della massa grassa), il metabolismo glicidico e lipidico, mentre non si sono riscontrati cambiamenti relativamente ai parametri di pressione sanguigna e frequenza cardiaca. Tuttavia, i pazienti del gruppo High Pasta hanno riportato un miglioramento della qualità della vita percepita, relativamente all’aspetto “salute fisica” che i pazienti della dieta Low Pasta non hanno riportato.
Inoltre, per aiutare i pazienti a seguire la dieta, è stato loro consegnato un ricettario, sviluppato dagli chef di Academia Barilla, con ricette “mediterranee“, a base di pasta per i pazienti della dieta High pasta, o a base di pane o altre fonti di cereali per i pazienti della dieta Low pasta. La pasta, infatti, insieme al pane, è uno degli alimenti cardine della dieta italiana, come principale fonte di carboidrati complessi. È strategico – sottolineano i ricercatori – che diete ipocaloriche, disegnate secondo i principi della Dieta Mediterranea e allineate con le abitudini o preferenze dei soggetti obesi, possano essere applicate per il trattamento dell’obesità in considerazione del fatto che non esiste ancora consenso su quale sia il regime dietetico migliore per tale trattamento. I pazienti sono stati seguiti per un anno e, oltre alle misure antropometriche e di composizione corporea, sono stati monitorati metabolismo glucidico e lipidico, la pressione sanguigna e frequenza cardiaca, consumi alimentari e qualità percepita della vita.
“La novità di questo studio è data dal fatto che le diete sono disegnate considerando la frequenza di consumo abituale di pasta dei pazienti e vengono messe in relazione anche alla qualità della vita percepita, oltre ad altri parametri metabolici e fisiologici”, ha dichiarato Francesca Scazzina, docente di Nutrizione umana e principi di dietetica all’Università di Parma e coordinatrice del gruppo che ha elaborato la ricerca. “Lo studio dimostra come sia possibile raggiungere gli obiettivi di perdita di peso tenendo in considerazione le preferenze e le abitudini dei pazienti, senza necessariamente escludere alimenti specifici, come ad esempio la pasta. Anzi, l’intervento con la frequenza di consumo di pasta è risultato marginalmente più efficace, oltre a causare un significativo miglioramento della qualità della vita percepita dai volontari. Spesso le diete ipocaloriche falliscono nel raggiungere l’obiettivo di una perdita di peso del 10% (come indicato dalle istituzioni internazionali che si occupano di obesità) proprio perché non prendono in considerazione le abitudini delle persone che devono perdere peso, e per questo vengono velocemente abbandonate”, ha concluso.