Ogni giorno, in Italia, vengono diagnosticati più di 115 casi di tumore del polmone e, nel 2019, ne sono stati stimati 42.500. Per i pazienti colpiti dalla forma più comune, quella non a piccole cellule, l’immunoterapia associata a cicli limitati di chemioterapia, cioè due invece dei classici 4-6, ha evidenziato un netto vantaggio in termini di sopravvivenza globale rispetto alla sola chemioterapia. Lo dimostra lo studio di fase 3 CheckMate -9LA, presentato in una sessione orale al Congresso della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO), in corso fino al 31 maggio in forma virtuale.
“È una neoplasia particolarmente difficile da trattare, perché circa il 70% dei casi è scoperto in fase avanzata – afferma il prof. Federico Cappuzzo, Direttore Unità Operativa di Oncologia di Ravenna e del Dipartimento di Oncoematologia di Ausl Romagna -. La duplice terapia immuno-oncologica, costituita da nivolumab più ipilimumab, in associazione con due cicli di chemioterapia, in prima linea nel tumore metastatico, ha ridotto il rischio di morte del 31% rispetto alla sola chemioterapia ad un follow-up minimo di 8,1 mesi. Inoltre, ad un follow-up prolungato (12,7 mesi), l’associazione ha continuato a mostrare un miglioramento duraturo della sopravvivenza globale rispetto alla sola chemioterapia, con una mediana di 15,6 mesi rispetto a 10,9 mesi.
Il vantaggio in termini di sopravvivenza globale è notevole e non si limita a poche settimane, come in schemi terapeutici di alcuni anni fa. Va sottolineato che la mediana della sopravvivenza rispecchia solo in parte il reale beneficio clinico per il singolo paziente. Negli studi sull’immunoterapia osserviamo sempre la cosiddetta ‘coda delle curve’, perché un gruppo di pazienti presenta un vantaggio di sopravvivenza a lungo termine. La combinazione di due molecole immuno-oncologiche consente di ottenere un meccanismo d’azione completo e sinergico, perché diretto verso due diversi checkpoint (PD-1 e CTLA-4)”.
“L’ulteriore vantaggio di questo schema terapeutico è rappresentato dall’utilizzo di cicli limitati di chemioterapia – spiega il prof. Cappuzzo -. La chemioterapia fa ancora paura ai pazienti, anche se è più ‘dolce’ rispetto al passato e riusciamo a controllare meglio gli effetti collaterali. Normalmente i cicli vanno da 4 a 6, a cui segue la fase di mantenimento, che può avere una durata indeterminata. Nello studio CheckMate -9LA, invece, ai pazienti sono stati somministrati solo due cicli di chemioterapia, che equivalgono a 21 giorni di trattamento (la distanza fra i cicli è appunto di tre settimane). Pertanto, il paziente in meno di un mese termina la chemioterapia e prosegue il trattamento con l’immunoterapia. Un passo in avanti importante, non solo dal punto di vista della tollerabilità ma anche dell’impatto psicologico della cura”.
Lo studio CheckMate -9LA ha coinvolto più di 700 pazienti. L’associazione dei due immunoterapici e chemioterapia, inoltre, ha mostrato un tasso di sopravvivenza libera da progressione del 33% a un anno rispetto al 18% per la chemioterapia e un tasso di risposta globale del 38% rispetto al 25% per la sola chemioterapia.
“Oggi in Italia vivono quasi 107.000 persone con pregressa diagnosi di tumore del polmone, dieci anni fa erano circa 82mila, l’incremento è stato del 30% – sottolinea il prof. Cappuzzo -. La speranza di vita si sta allungando, grazie alle terapie innovative. Anche la qualità di vita dei pazienti è migliorata. Resta la preoccupazione per il consistente aumento dei casi fra le donne, riconducibile alla diffusione dell’abitudine al fumo di sigaretta, sempre più ‘rosa’. Il 30% delle nuove diagnosi in Italia riguarda infatti le donne. Inoltre, si osserva un incremento di alcune forme tumorali, in particolare dell’adenocarcinoma, cioè del tumore del polmone non a piccole cellule non squamoso. Questa tendenza è legata a diversi fattori, che vanno dalla diffusione del fumo di sigaretta all’affinamento di tecniche diagnostiche, che consentono di individuare e classificare la neoplasia in maniera più precisa rispetto al passato. Oggi, al momento della diagnosi, vengono eseguiti test di biologia molecolare di tipo sia immunoistochimico che mutazionale, che consentono di definire meglio l’istologia tumorale. Queste conoscenze influenzano l’approccio terapeutico”.