Coronavirus, il vaccino antinfluenzale aumenta il rischio di contagio? Un’altra fake news dei “no-vax”. La verità sullo studio del Pentagono

I no-vax sfruttano i contenuti di uno studio per sostenere che il vaccino antinfluenzale aumenti il rischio di coronavirus, ma non è così
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Con la pandemia di coronavirus che ha contagiato più di 8 milioni di persone nel mondo, provocando finora circa 450.000 vittime, è corsa al vaccino che possa combattere la malattia. Negli ultimi giorni, i “no-vax” si sono scatenati contro il Ministro della Salute Roberto Speranza, quando ha annunciato l’accordo per l’approvvigionamento fino a 400 milioni di dosi di vaccino contro il coronavirus da destinare a tutta la popolazione europea.

Altro tema che fomenta i no-vax è quello relativo alla vaccinazione antinfluenzale. Gli esperti la raccomandano soprattutto alla popolazione più debole e anziana.

vaccino antinfluenzale anzianiIn autunno, infatti, il nuovo coronavirus potrebbe nascondersi sotto sintomi che rischiano di essere scambiati per influenza, aumentando così il rischio che possa tornare a diffondersi. Gli esperti sono divisi sul fatto che la vaccinazione antinfluenzale possa aiutare a contrastare direttamente il coronavirus, fornendo copertura contro il COVID-19, ma senza dubbio essa favorirebbe un minor carico sugli ospedali per quanto riguarda i casi di influenza.

Ma i no-vax non ci stanno e per sostenere le loro posizioni, viene spesso tirato fuori uno studio, pubblicato a gennaio 2020, condotto sul personale del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti durante la stagione influenzale 2017-2018. I no-vax sfruttano i contenuti di questo studio per sostenere che il vaccino antinfluenzale aumenti il rischio di coronavirus. Ma non è così.

Ecco le conclusioni dello studio firmato da Greg G.Wolff: “La somministrazione della vaccinazione antinfluenzale non era associata all’interferenza virale tra la nostra popolazione. L’esame delle interferenze virali da parte di virus respiratori specifici ha mostrato risultati contrastanti. L’interferenza del virus derivato dal vaccino era notevolmente associata al coronavirus e al metapneumovirus umano; tuttavia, una grande protezione con il vaccino era associata non solo alla maggior parte dei virus influenzali, ma anche alle coinfezioni da parainfluenza, virus respiratorio sinciziale e virus non influenzali.

Per comprendere bene cosa significhino queste conclusioni, partiamo dal concetto di “interferenza virale”, che i no-vax tendono a distorcere a favore delle loro posizioni. In biologia, l’interferenza virale è il fenomeno per il quale nelle cellule colpite da una determinata infezione da virus viene inibita la replicazione di virus diversi o di un virus superinfettante omologo. Non è dimostrato che i vaccini possano innescare un effetto analogo e in ogni caso, è sbagliato intendere l’interferenza virale come la capacità di un vaccino di aumentare il rischio di contrarre altre infezioni virali.

Dopo aver specificato questo, è bene sottolineare come lo studio parli di “risultati contrastanti” relativi a virus respiratori specifici e che quando parla di coronavirus non si riferisce specificatamente al SARS-CoV-2, responsabile dell’attuale pandemia, bensì all’intera famiglia dei coronavirus, tra cui esistono anche quelli dell’influenza stagionale.

Lo studio evidenzia, invece, tutti i benefici della vaccinazione influenzale nella protezione da altre infezioni virali. Con buona pace dei no-vax.

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