In mezzo mondo si abbattono statue di Cristoforo Colombo. Perché? Semplice quanto assurdo: è accusato di razzismo. Un uomo, un personaggio storico, vissuto nella seconda metà del 1400, è ritenuto razzista secondo discutibili canoni moderni. Una visione distorta quanto ipocrita, che cancella il passato e distrugge il futuro. Le statue di Colombo, a Minneapolis, Boston, Richmond, San Francisco e tante altre città statunitensi, sono state prese di mira sull’onda delle proteste contro il razzismo scatenate dalla morte dell’afroamericano George Floyd, ucciso dalla polizia il 25 maggio scorso. Il navigatore genovese, a detta di questi pseudo anti razzisti, che sono in realtà i peggiori discriminatori, sarebbe da cancellare. Una damnatio memoriae degna dei più bui tempi della storia dell’umanità. Perché ce l’hanno tanto con Cristoforo Colombo? Forse ripercorrere la sua storia servirà a chiarire le idee a molti, evitando che le fila di idioti che se ne vanno in giro ad abbattere statue si rinfoltiscano.

Colombo, come è noto, nacque a Genova nel 1451 a Genova, da una famiglia di piccoli commercianti tessili. Già a 14 anni decise che la sua strada avrebbe seguito le vie del mare, affascinato com’era dalle nuove tecniche di navigazione che stavano prendendo piede, portando grandi potenze marittime come Portogallo e Spagna a spingersi sempre più in là nelle rotte commerciali. Si formò come mercante ed esploratore. Amava i luoghi esotici e viaggiò da Nord a Sud del mondo, con la curiosità e l’intraprendenza di chi, oltre ad avere un’intelligenza spiccata, sa che ogni cosa, ogni diversità, ogni novità, non può far altro che arricchirci.
Era un innovatore e lo studio della geografia lo portò a voler conosce in maniera approfondita cosa poteva celarsi nei tratti di mare aperto ancora inesplorati. Sulla base di quanto riportato da viaggiatori famosi – il Milione di Marco Polo fu la sua ‘Bibbia’ – e studiando le rotte più moderne, Cristoforo Colombo si convinse che attraversando l’Oceano si poteva arrivare direttamente in Asia, evitando viaggi di terra e aggirando i normali percorsi via mare, sui quali pesavano tasse e dazi ingenti. Ci provò una prima volta, nel 1484, a proporre al Re di Portogallo Giovanni II di finanziare un viaggio utile a confermare la sua ipotesi, ma il sovrano si rifiutò perché aveva altri obiettivi, ovvero la circumnavigazione dell’Africa. Colombo, però, non si diede per vinto. Studiò e perfezionò i sui calcoli, stimando che il viaggio dall’Europa fino alle coste delle Indie poteva durare anche poche settimane. Ovviamente, come oggi ben sappiamo, i suoi calcoli erano sbagliati, ma tanto bastò a convincere la regina Isabella, e così, il 3 agosto 1492, salpò dal porto di Palos alla volta, secondo lui, dell’Asia con le tre arcinote caravelle: la Niña, la Pinta e la Santa Maria.
Inizialmente, a livello pratico, la spedizione sembrò una fallimentare sconfitta: il viaggio era più lungo e difficoltoso del previsto e l’equipaggio non tardò a dare segni di stanchezza e insofferenza, e il rischio ammutinamento pendette a lungo come una spada di Damocle sulla testa dell’ammiraglio Colombo. Per evitare ribellioni fu costretto a promettere loro che, se entro una settimana non avessero avvistato la terraferma, sarebbero tornati indietro. La Storia, però, li aspettava a poche miglia. Il 12 ottobre 1492, dopo 36 giorni di traversata, avvistarono la costa, forse di una delle isole delle attuali Bahamas. Alle prime ore del mattino le tre imbarcazioni erano riuscite ad addentrarsi nella barriera corallina e a sbarcare su un’isola chiamata, dalle popolazioni autoctone, Guanahani: fu Cristoforo Colombo a ribattezzarla San Salvador. Secondo quanto raccontato dagli spagnoli, essi furono accolti dagli abitanti della meravigliosa isola, i Taino, con gentilezza e ospitalità. Solo in seguito i rapporti con le altre popolazioni, che si videro invase da questi potenti stranieri dagli abiti strani e dalle armi micidiali, si inasprirono, portando alle purtroppo note decimazioni di indiani d’America iniziate appena dopo la scoperta del Nuovo Continente.
Colombo capì quasi subito di non trovarsi nelle Indie: nulla corrispondeva alla descrizione degli altri esploratori, né la vegetazione, né il territorio, né gli stessi indigeni. Sia il navigatore che la sua truppa erano stanchi, denutriti e molto provati dalle fatiche dell’esplorazione; inoltre, di tre caravelle che erano all’inizio del viaggio, ne erano rimaste solo due, che non versavano in buone condizioni. Non aveva le spezie né l’oro promesso ai suoi finanziatori, ma Colombo decise comunque di ritornare in Spagna consapevole della sua scoperta, lasciando alcuni uomini sul posto con l’intenzione di ritornare. I successi di Colombo e dei suoi uomini, però, vennero quasi inficiati da ciò che accadde durante il viaggio di ritorno: il proibitivo clima invernale danneggiò le due caravelle superstiti e molta documentazione prodotta durante la permanenza nelle Americhe andò perduta per sempre. Gli scopritori del Nuovo Mondo riuscirono a tornare a casa con una grande fatica e quasi ‘per miracolo’. Attraccarono sempre nel porto di Palos dal quale erano partiti: era il 15 marzo 1493. Vennero accolti con feste, celebrazioni e onori: avevano appena scritto la storia e di lì a poco il loro faticoso viaggio avrebbe cambiato le sorti dell’umanità.
Tornato in Spagna convinse i reali a concedergli altre navi ed un sostanzioso equipaggio per poter esplorare le nuove terre. Colombo, spinto da più parti, decise così di ripartire per il nuovo continente che aveva appena scoperto, anche perché aveva lasciato ben 39 membri del proprio equipaggio in America, con la promessa che sarebbe tornato a recuperarli. I viaggi successivi, però, non portarono grandi frutti e dunque l’esploratore genovese morì in povertà, nel 1506. I meriti vennero riconosciuti a Colombo solo in seguito: la sua impresa aprì la strada che nei successivi secoli portò alla colonizzazione del Nuovo Mondo, con quanto di negativo e di positivo questo abbia prodotto.
TRA STORIA E LEGGENDA
I falsi miti, intorno alla vita di Colombo e alla scoperta dell’America, sono stati diversi e raccontandone la storia è necessario sfatarli. Innanzitutto è vero che non fu il primo ad arrivare nel Nuovo Continente, ma sicuramente fu il primo a rendersene conto. Si è parlato di Marco Polo, come primo scopritore dell’America, o di Amerigo Vespucci o addirittura di un vichingo, Eric il Rosso, ma a Colombo resta comunque il merito di aver scoperto il continente americano. Inoltre, altra leggenda che non corrisponde pienamente a verità: non è vero che per la gente del tempo la Terra era piatta. Lo pensavano solo in pochi, non colti e privi di cultura. Infine, e questo non è mito da sfatare ma una mentalità da far comprendere, non si sapeva nemmeno cosa fosse il razzismo, era un concetto sconosciuto. La schiavitù era la normalità, all’epoca, e accusare oggi di razzismo uno dei più grandi navigatori italiani è sintomo di ignoranza estrema.
Forse, tutti questi amanti della distruzione della memoria dovrebbero aprire qualche libro storia, magari non quelli delle elementari, ma quelli che parlano di histoire des mentalités, dando particolare credito agli scritti di Jacques Le Goff, Lucien Febvre e Marc Bloch. Si aprirà un mondo, a questa gentaglia che va in giro ad abbattere statue, e non solo a loro. Si capirà, a quel punto, perché il razzismo sia stato considerato normale per secoli, perché in Germania siano stati così apparentemente stolti da appoggiare Hitler, perché la storia non si fa con i se i con i ma, perché le religioni siano considerate ‘oppio’ dei popoli, perché comprendere – seppur non condividendo – è molto meglio che giudicare senza aver capito fino in fondo.