Il Centro di referenza nazionale per la Rabbia dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ha isolato, su un campione di cervello di gatto inviato dall’Istituto zooprofilattico di Lazio e Toscana, un Lyssavirus.
Il campione era stato prelevato a seguito della morte del gatto, che aveva precedentemente morso la proprietaria residente nel comune di Arezzo.
Il virus isolato appartiene a Lyssavirus tipici dei pipistrelli ed è diverso dal virus della rabbia classica.
Prima di questo caso, questo specifico Lyssavirus era stato rinvenuto una sola volta, a livello mondiale, in un pipistrello del Caucaso nel 2002, senza che ne fosse mai stata confermata la capacità di infettare animali domestici o l’uomo.
La rabbia classica è generalmente trasmessa dai carnivori domestici e selvatici e gli ultimi casi erano stati segnalati in Italia nella volpe rossa, dal 2008 al 2011.
L’Italia è ufficialmente indenne dal 2013.
Sulla base dell’esperienza maturata da casi simili in altri Paesi, per virus analoghi – spiega il Ministero della Salute – la capacità di trasmissione dal serbatoio naturale ad un’altra specie rappresenta un evento estremamente limitato, a cui non fa seguito una diffusione epidemica. Attualmente, non ci sono evidenze di trasmissione da animale a uomo.
A titolo precauzionale, le persone che sono state a contatto con il gatto risultato positivo all’infezione sono state sottoposte a profilassi post-esposizione.
Gli approfondimenti epidemiologici che richiedono la tipicità e la novità del caso, hanno determinato la costituzione presso il Ministro della Salute, di concerto con la Regione Toscana, di un gruppo tecnico scientifico che si è già riunito oggi, con la partecipazione di esperti e Istituzioni locali e nazionali.
Lyssavirus: caso di “efficiente sorveglianza non di allarmismo”
“Il caso di Lyssavirus nel gatto di Arezzo dimostra il ruolo di sentinelle epidemiologiche di noi medici veterinari. Non deve allarmare”, dichiara Melosi, che sottolinea la tempestività con cui “i medici veterinari curanti siano stati determinanti nell’individuazione dell’infezione“. Come prevede il regolamento nazionale di polizia veterinaria, il conseguente intervento delle autorità di sanità pubblica veterinaria (Asl, IZS e Ministero della Salute) “è il risultato di un circuito virtuoso – aggiunge Melosi- innescato dalla sorveglianza veterinaria di primo livello che si fa nelle strutture veterinarie italiane ogni giorno”.
“Anche di fronte ad un caso eccezionale e raro come questo, in Italia abbiamo dimostrato di avere un modello gestionale di sorveglianza veterinaria efficace, fatto anche da migliaia di liberi professionisti per animali da compagnia su tutto il territorio nazionale,” osserva Melosi. “Il caso deve incoraggiare tutti i proprietari a far visitare regolarmente i propri cani e gatti e a valutare insieme al proprio medico veterinario, anche le condizioni ambientali in cui vivono. Farlo è un gesto di responsabilità anche verso la salute collettiva”.
Se dal punto di vista gestionale il caso è sotto controllo, dal punto di vista scientifico, l’ANMVI chiede al Ministero della Salute e alla Regione Toscana che i veterinari liberi professionisti siano partecipi dei tavoli tecnici e degli interventi da mettere in atto, “perché noi medici veterinari liberi professionisti siamo il primo interlocutore di prossimità per 14,5 milioni di proprietari di cani e gatti”.