“Un virus clinicamente estinto ieri ha fatto nel mondo migliaia di morti e centinaia di migliaia di nuovi infetti, anche se i numeri non sono certo precisi all’unità.
I nostri ottimi risultati attuali non devono farci dimenticare la lezione delle decine di migliaia di morti che abbiamo avuto dopo numeri inizialmente bassi, soprattutto guardando al fatto che in molti paesi il virus riprende piede dopo le riaperture.
Pure se il virus circola ancora, oggi ne siamo fuori, nel senso che attualmente il peggio è passato e i numeri ogni giorno migliorano in Italia; però, senza scaricare la responsabilità sui comportamenti dei cittadini, le istituzioni devono investire e continuare il monitoraggio diagnostico, tracciando i contatti e testando tutti intorno ai nuovi casi positivi, come si è fatto a Roma per il San Raffaele“: lo ha scritto su Facebook il biologo Enrico Bucci, professore aggiunto alla Temple University di Philadelphia.
In un post successivo l’esperto invita nuovamente alla prudenza: “Non credevo fosse necessario, ma evidentemente mi sbagliavo. Tocca difendere il lavoro di chi, guardando ai dati, non abbandona un atteggiamento di prudenza nella loro interpretazione e non rilascia dichiarazioni improntate ad ottimistiche certezze.
Questa difesa è divenuta necessaria perché la narrativa del “virus è finito” si è fusa con quella che afferma “è stata tutta una montatura”: come nelle più classiche reazioni post-traumatiche, è arrivato per la nazione il momento di rimuovere, con gran convenienza di quelle élite politiche, finanziarie e culturali che hanno contribuito con la loro ignoranza ed inettitudine ad aggravare la crisi.
Dunque vediamo: si dice che la prudenza sia dannosa, perché porta all’inazione per eccesso di cautele.
La prudenza consiste nell’identificare tutte quelle misure di contenimento e sicurezza, sulla base dei dati, sperando di non dovervi mai fare ricorso, ma non per questo trascurando di approntarle o pensando che siano inutili perché tanto il virus non c’è più (il che, peraltro, è falso).
Si dice che la prudenza sia figlia della paura.
Anche questo è falso: per un ricercatore, prudenza significa lavorare attivamente per circoscrivere i margini di incertezza, senza però fare finta che essi non esistano. È l’ampiezza di quei margini di incertezza, non la piacevolezza di un’ipotesi, che deve guidare la scelta fra possibilità alternative, al netto di un inevitabile bilanciamento di interessi primari – alla salute, all’economia, alla libertà di movimento eccetera – che è compito dei rappresentanti eletti dai cittadini, non degli scienziati. Fornire la misura dell’incertezza, rifiutare di considerare solo le ipotesi che piacciono, è compito dei ricercatori, che forniscono in questo modo l’informazione utile a scegliere l’interesse predominante e ad assumere rischi responsabilmente, cioè sulla base della migliore informazione disponibile.
Si dice che la prudenza ci acceca, impedendoci di riconoscere i fatti quando essi sono positivi o di valutare ipotesi scientifiche di sviluppi favorevoli, e rischiando di farci perdere per esempio delle opportunità terapeutiche.
Tuttavia, la prudenza dei ricercatori deriva dall’applicazione rigorosa del metodo scientifico, e non è legata ad un atteggiamento personale, ma ad usare correttamente gli strumenti cognitivi di cui essi dispongono: sicché anche oggi, in presenza degli annunci su ottimi risultati ottenuti con un antinfiammatorio nel trattamento dei pazienti che necessitano ossigeno, io posso essere contento come essere umano, come lo fui quando furono annunciati i risultati del vaccino di Moderna o del Remdesivir, ma chiedo di vedere i dati prima di esprimermi, e mi piacerebbe che non fossero fatti annunci fino a quel momento; ed anche quando i risultati sono resi disponibili attraverso una pubblicazione su riviste pur prestigiose, pretendo la possibilità di poter analizzare i dati primari, per evitare casi come quello che ha portato Lancet e NEJM a ritrattare i lavori in cui era implicata Surgisphere.
Certo, l’analisi rigorosa dei dati richiede tempo; ma l’analisi è un processo incrementale, sicché, a patto che vi siano elementi da valutare oltre alle dichiarazioni stampa, fin da subito si può esprimere una valutazione preliminare, da raffinare via via che si approfondisce; questo è il lavoro mio e di qualunque ricercatore che non si fermi ai titoli e agli abstract delle pubblicazioni scientifiche.”
“Si accusa chi non si sbilancia e resta prudente di essere un pessimista; e chi porta elementi di riflessione, non in linea con l’idea che ormai siamo liberi dal virus, di essere un catastrofista ed un terrorista,” ha proseguito Bucci.
“A quelli che lanciano simili accuse, io dico di smetterla di usare il termine catastrofismo ogni volta che non si convoca una festa per la riapertura. Lo dico specialmente a quegli stessi che, quando io ed altri illustravamo i rischi e le azioni da intraprendere prima ancora dei casi di Codogno, escludevano pericoli e già allora rivolgevano le stesse accuse.
Guardare alla realtà dei fatti e distanziarsi da affermazioni senza senso compiuto non implica certo l’augurarsi o aspettarsi una catastrofe; invece, accusare di terrorismo, catastrofismo o altro oggi è il modo di isolare i ricercatori per fare largo ad una narrativa che sta prendendo piede, che vuole chiudere gli occhi in nome della tranquillità. Proprio la stessa, e persino dalle stesse persone, che si presentò a fine febbraio – inizio marzo, una narrativa tossica perché polarizzante, che ancora ritorna e che, venendo incontro ai desideri delle persone, ottiene consenso facile.
Per un ricercatore, uno scienziato, un clinico, la sobrietà e la prudenza dovrebbero essere metodo di comunicazione acquisito, una seconda pelle del metodo scientifico; per cui, da questo momento, chiunque su questa pagina utilizzi l’aggressione verbale insita nelle accuse di catastrofismo o terrorismo verso il sottoscritto, verso altri ricercatori o comunque in maniera immotivata, sarà accompagnato alla porta, avendo per viatico una frase che Dante scrisse nel convivio: Se bene si mira, da la prudenza vegnono li buoni consigli, li quali conducono sé e altri a buono fine ne le umane cose e operazioni’“.