Uno studio congiunto tra Consiglio nazionale delle ricerche, condotto dall’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (Cnr-Irpi) di Perugia in collaborazione con l’Istituto di scienze marine (Cnr-Ismar) di Napoli, e Università di Barcellona, basandosi sulla ricostruzione della temperatura della superficie del mare degli ultimi 5000 anni, ha permesso di quantificare l’entità del riscaldamento nella regione mediterranea durante il periodo romano (1-500 d.C.). La ricerca è stata pubblicata su Scientific Reports, del gruppo Nature.
Durante la campagna oceanografica NEXTDATA2014, svolta dal Cnr a bordo della R/V Urania, (responsabile scientifico Fabrizio Lirer, ricercatore Cnr-Ismar), sono stati acquisiti nuovi dati in diversi siti del Mare Adriatico e del Canale di Sicilia, relativi al clima del Mediterraneo negli ultimi millenni. In particolare, nel settore occidentale del Canale di Sicilia, ad una profondità di 475 metri, è stata recuperata un’importante successione di strati sotto il fondale marino, mediante un sistema di carotaggio a gravità che ha permesso di preservare l’interfaccia acqua-sedimento e quindi anche i sedimenti gli ultimi due secoli, consentendo di ricostruire le variazioni delle temperature superficiali del mare negli ultimi cinque millenni.
“Questo nuovo dato è stato integrato da quelli provenienti da altre aree del Mediterraneo – mare di Alboran, bacino di Minorca e mar Egeo – per far emergere lo scenario complessivo e confermare che il periodo romano è stato il periodo più caldo dell’intero bacino negli ultimi 2000 anni: le temperature superficiali del mare erano circa 2°C in più rispetto ai valori medi della fine del XX secolo d.C.”, spiega Giulia Margaritelli, ricercatrice Cnr-Irpi. “Cronologicamente, questa distinta fase di riscaldamento corrisponde con lo sviluppo, l’espansione e il conseguente declino dell’Impero Romano, mentre, successivamente a questa fase, lo studio mostra una graduale tendenza verso condizioni climatiche più fredde in tutta l’area, coincidenti con la caduta del Grande Impero”.
La configurazione geografica del Mediterraneo rende questa regione estremamente vulnerabile ai cambiamenti climatici e la probabile relazione tra le favorevoli condizioni climatiche di questa fase e l’espansione dell’Impero nell’area mediterranea è oggetto di una ricca letteratura. “Tra il Nord Africa e i climi europei, la zona di transizione strategica occupata dal Mare Nostrum fornisce informazioni chiave per svelare le tele-connessioni climatiche, ovvero delle variazioni di temperatura che si verificano in fase in punti del globo distanti tra loro”, prosegue la ricercatrice. “Lo studio del clima del passato è un prezioso strumento di analisi delle dinamiche del sistema climatico terrestre in condizioni differenti da quelle attuali ed è dunque insostituibile per testare la validità dei modelli previsionali a medio e lungo termine”. Il Mediterraneo è caratterizzato da un’enorme ricchezza archeologica e storica e da dati paleoclimatici registrati negli archivi fossili. “Il bacino è quindi un ottimo laboratorio naturale per indagare la potenziale influenza del clima sulle civiltà che qui si sono susseguite”, conclude Margaritelli.