Non solo dolore ma anche senso di colpa, difficoltà nel fare progetti, isolamento, limitazioni in ogni aspetto della quotidianità, problemi sul lavoro, incomprensione da parte degli altri che poco sanno della malattia. I 6 milioni di italiani che soffrono di emicrania vivono spesso una vita sospesa tra un attacco e la costante paura del successivo. È quanto emerge da una ricerca promossa dall’azienda farmaceutica Teva Italia e condotta da Elma Research, presentata nel seminario web “Emicrania: bisogni da soddisfare e sfide da vincere. Fremanezumab, una nuova opportunità per i pazienti“. Un incontro dedicato alla prima terapia mirata contro questa malattia, dal 21 luglio rimborsata dal Servizio sanitario nazionale per i pazienti adulti che presentano almeno 8 giorni di emicrania al mese e con la prescrizione di un centro cefalee.
L’indagine ‘A deep dive into migraine’ ha seguito per tre mesi le giornate di pazienti emicranici, raccogliendo i dati con strumenti differenti, dalla community web ai focus group, allo smartphone diary, con testimonianze video prodotte dai pazienti stessi. Gli effetti dell’emicrania sono stati indagati in 4 ambiti: nella sfera privata, in quella pubblica, nella percezione del giudizio degli altri e nel tipo di reazione nei confronti della malattia. Sono 4 anche i principali tipi di impatto messi in evidenza: limitazione, isolamento, senso di colpa, difficoltà nella progettualità.
“L’emicrania – ha spiegato Cristina Anfossi, direttore di ricerca di Elma Research – pervade tutte le dimensioni della vita di una persona. La paura dell’attacco porta a fare attenzione a ogni elemento che potrebbe scatenarlo: l’alimentazione, il sonno, la temperatura, la luce, il rumore. Le persone, in particolare le donne, finiscono per percepirsi come ‘difettosi’, si sentono in colpa perché la malattia sottrae tempo da dedicare ai figli, al partner, agli amici“. E nel mondo del lavoro i problemi peggiorano. “L’ambiente lavorativo – continua Anfossi – spesso non aiuta: open space in cui c’è rumore, luce inadeguata, ore al pc, odori. Oltre questo ci sono i pregiudizi da affrontare. Spesso quindi si finisce a non raccontare a colleghi e superiori la propria malattia con le difficoltà di conciliare gli attacchi invalidanti con il lavoro“.
“Il senso di colpa e l’impossibilità di fare progetti sono temi centrali della vita delle persone emicraniche, come mette bene in evidenza questa indagine“, osserva Simona Sacco dell’università de L’Aquila, direttore di Neurologia all’ospedale di Avezzano.
“Un aspetto da non sottovalutare, infatti, è l’angoscia di chi vive costantemente nel timore della prossima crisi, spesso avendo già tentato diversi farmaci con effetti collaterali che rendono la quotidianità non sempre semplice“, aggiunge Sacco, secondo la quale oggi ci sono tre sfide da portare a termine per sostenere le persone con emicrania.
La prima è dare dignità a questa patologia, riconosciuta solo all’inizio di luglio – con il voto al Senato – come malattia sociale invalidante nel nostro Paese, e alle persone che ne soffrono. “Ci stiamo avvicinando – continua Sacco – ad avere più considerazione. Le cose stanno cambiando grazie alla scienza, che ha dimostrato un substrato organico della malattia”. La seconda sfida è fare in modo che i pazienti arrivino presto al giusto centro di cura. E la terza è il trattamento.” Purtroppo fino a ieri non avevamo farmaci per la prevenzione degli attacchi, né mirati per l’emicrania. Ora possiamo fare in modo di abbreviare questo percorso e offrire una nuova soluzione terapeutica ai bisogni insoddisfatti di molti pazienti“, conclude.