Come si formano i nostri tessuti? E le nostre ghiandole? Le varie cellule che compongono i tessuti epiteliali, tra cui i tubuli renali, le vie digerenti e respiratorie, ma anche le ghiandole mammarie, si organizzano formando delle strutture tubulari, una serie di dotti ramificati all’interno dei quali avvengono processi fondamentali come la formazione dell’urina, la digestione del cibo, la formazione del latte.
Le cellule che rivestono questi “tubi viventi” sono organizzate sin dalla loro formazione in modo da generare una superficie “apicale” – quella rivolta verso l’interno del vaso – specializzata nel mantenere una stretta separazione tra il contenuto interno del dotto e il resto dell’organismo. “È necessario – spiega Scita – l’intervento di una serie di molecole che, come seguissero il disegno di un ‘architetto biologico’, si assemblano formando una struttura complessa. In tale processo le membrane plasmatiche cellulari modificano la propria forma, curvatura, tensione generando un lume, un’apertura che si espande fino a dare luogo alla struttura tubulare. Un fenomeno biologico emblematico di come alla forma si associ la funzione. E – prosegue Scita – ci siamo subito chiesti cosa succede se si altera questo connubio tra forma e funzione, ovvero: cosa succede se avviene qualche disfunzione nel nostro organismo che va a impattare sulla compattezza di queste strutture tubolari?”.
Di fatto i risultati della ricerca condotta dai ricercatori IFOM con il generoso sostegno di Fondazione AIRC, pubblicati nelle pagine dell’autorevole rivista scientifica Nature Communications, segnano un passo significativo verso la comprensione delle leggi fondamentali dell’architettura biologica. Inoltre potrebbe avere importanti implicazioni anche per la comprensione di patologie, primo fra tutti i tumori, che inevitabilmente perdono l’organizzazione strutturale propria del tessuto da cui emergono, e con essa i “freni” che la stessa architettura tessutale impone proprio per constatare l’espansione delle cellule maligne e quindi le metastasi, tutt’oggi principale causa di fatalità per i pazienti. “La prossima sfida oncologica che ci apprestiamo ad affrontare – conclude Scita – è proprio l’individuazione del ruolo della Curvina nei processi metastatici e, quindi, in prospettiva l’identificazione di bersagli farmacologici per contrastare la sua disfunzione”.