L’uso delle mascherine con il caldo, i condizionatori e il rischio contagio al mare: l’estate ai tempi del Coronavirus

Dalle mascherine ai condizionatori, la pandemia di Coronavirus ha stravolto la nostra vita e ci costringe a trascorrere un’estate "diversa"
MeteoWeb

Quest’anno la pandemia di Coronavirus ha stravolto la nostra vita e ci costringe a trascorrere un’estatediversa”, caratterizzata da comportamenti all’insegna della sicurezza che modificano le consuete abitudini stagionali: vacanze, viaggi, relax, tempo trascorso in compagnia e all’aperto, fuga dal caldo verso il mare o la montagna.
L’Almanacco della Scienza del CNR ha dedicato numerosi approfondimenti, con consigli dei ricercatori, per trascorrere questa estate all’insegna del Covid-19.

Come fare il bagno al mare e in piscina senza correre rischi di contagio

“Con i suoi oltre 7.000 chilometri di costa e i suoi paesaggi marini, l’Italia è uno dei paradisi balneari più amati al mondo. Purtroppo questa estate la pandemia ha ridotto drasticamente il numero di turisti stranieri, ma gli italiani non stanno rinunciando al piacere di un bagno al mare o in piscina. I regolamenti disposti da Governo e Regioni per l’accesso e l’utilizzo di spiagge e piscine sono rigorosi, il dubbio che in acqua il contagio sia possibile si insinua però ugualmente,” spiega Edward Bartolucci sull’Almanacco della Scienza del CNR.
Un’esperienza così traumatica come la pandemia richiede momenti di tranquillità e benessere, quali quelli che il nostro corpo gode immerso nell’acqua: benefici per l’apparato respiratorio e cardiovascolare, miglioramento delle abilità motorie, del rilassamento e del sonno”, afferma Vito Felice Uricchio dell’Istituto di ricerca sulle acque (Irsa) del Cnr.

Per studiare i possibili rischi legati agli impianti idrici è stato istituito un tavolo di lavoro che ha coinvolto i ricercatori del Cnr-Irsa di Brugherio e di Roma, dell’Istituto superiore di sanità e dell’Ospedale Sacco di Milano. “Dagli studi condotti emergono risultati rassicuranti, che mostrano come il virus venga annientato dagli impianti di depurazione: le acque a valle ne risultano prive. Inoltre, la vitalità del virus risulta del tutto trascurabile già all’ingresso nei depuratori”, continua Uricchio. “L’incapacità del materiale genico (Rna) del Sars-CoV-2 di riprodursi autonomamente offre inoltre qualche garanzia sulla ridotta efficienza dell’acqua quale possibile vettore di infezione. Pertanto, in riferimento alla balneabilità del mare e dei laghi, il rischio correlato alla potenziale contaminazione da acque reflue o escreti infetti diffusi da imbarcazioni ha scarsa rilevanza, sebbene per maggiore garanzia sia sempre consigliabile bagnarsi lontani da foci di fiumi e torrenti, scarichi e piccoli canali, che in genere sono i veicoli principali di contaminazione batterica e virale, a causa dell’insufficiente depurazione o di scarichi illegali”.

Anche nelle piscine, le raccomandazioni, rigorose, sono le solite. “La probabilità di contrarre infezioni e malattie in piscina è in genere dovuta a rilasci di feci, liquidi biologici (urina, saliva, muco, sebo, sudore), capelli, cellule epiteliali e annessi cutanei da parte dei bagnanti, che rendono plausibile la presenza di organismi patogeni”, conclude Uricchio. “Tutte le piscine, anche di piccole dimensioni, gonfiabili e fuori terra devono essere opportunamente sanificate e disinfettate per evitare la proliferazione batterica e virale, specie nelle giornate più calde. È utile assicurare il ricircolo di acqua con un filtro per 12-18 ore al giorno, una disinfezione anche a base di cloro o di ozono, piccole dosi di alghicidi e chiarificatori, massima attenzione alla pulizia della vasca e delle zone circostanti: la stagnazione dell’acqua può essere infatti dannosa per i fruitori ma anche per i materiali degli impianti. Il corretto funzionamento e un’adeguata disinfezione assicurano la totale inattivazione dei patogeni in generale, Coronavirus incluso. È raccomandato comunque evitare contatti ravvicinati, assembramenti, mantenendo la distanza di almeno un metro, e non toccarsi occhi, naso e bocca con le mani”.

Il corretto uso dei condizionatori negli appartamenti privati e nei luoghi pubblici

In questa estate colpita dalla pandemia, il rischio del contagio corre anche nei flussi d’aria emessi dai sistemi di refrigerazione. Nonostante ciò – rileva Gaetano Massimo Macrì sull’Almanacco della Scienza del CNR – c’è stato un aumento record nell’acquisto di climatizzatori. Ma il rischio, spiega Ettore Guerriero dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico (Iia) del Cnr, è limitato e relativo: “In ambiente familiare ci sono occasioni di trasmettersi il virus di Sars-CoV-2 e il condizionatore è forse quella meno probabile. Chi sta in casa con la famiglia usa lo stesso bagno, si scambia le pietanze, tocca oggetti e superfici comuni. Dunque, l’indicazione di sanificare i filtri per limitare i rischi di contagio è rivolta soprattutto a chi gestisce ristoranti, uffici, negozi e altri spazi condivisi con persone diverse dai famigliari conviventi. Detto ciò, la pulizia va fatta a prescindere dalla pandemia”. Nei mesi estivi, le griglie dei condizionatori accumulano infatti acqua che determina la formazione di muffe, ma è sufficiente pulirli con acqua e sapone, seguendo le indicazioni del costruttore, perché non esiste una regola e frequenza unica su come e quanto igienizzare i diversi split, precisa Macrì.

Coloro che, invece, utilizzano i ventilatori, devono seguire alcuni accorgimenti. “Il ventilatore aumenta l’evaporazione dell’acqua sulla pelle e rinfresca la persona, che deve idratarsi con maggiore frequenza: la persona, sottolineo, non l’ambiente. Infatti, non sapendo che è proprio l’aria che passa sulla pelle sudata a determinare l’evaporazione e a regalare la sensazione di fresco, molte persone lasciano il ventilatore acceso anche nella stanza vuota, consumando inutilmente energia”, continua il ricercatore del Cnr-Iia. “Alcuni marchi pubblicizzano ventilatori che rinfrescano e purificano l’aria, ma in realtà il ventilatore rinfresca solo le persone e solo quando sono presenti. Per quanto riguarda il rischio Covid, vale il discorso dei condizionatori: a casa, tra i conviventi, non sono questi i pericoli”.

Il rischio di contagio è presente invece altrove. “In un supermercato o in un altro luogo pubblico, se sono presenti sistemi di refrigerazione dell’aria, aumentando la ventilazione, il pericolo di trasporto di droplet (goccioline di saliva nebulizzata che potenzialmente trasmettono il virus) è più alto”, continua Guerriero. “La mascherina chirurgica usata dalla maggior parte delle persone ferma i droplet di dimensioni più elevate, ma non le goccioline già evaporate, di dimensioni molto piccole, quindi il rischio teorico potrebbe esserci. Non dobbiamo però allarmarci, perché almeno attualmente la virulenza è bassa”.

Esistono comunque sistemi per abbattere questo pericolo. “Ci sono sistemi che, oltre a essere dotati di microfiltrazione, producono sostanze chimiche come ozono o radicale OH (idrossile), considerate una sorta di detersivo della troposfera, sostanze che possono disattivare virus e batteri mentre si spostano nell’aria e rendono possibile l’utilizzo di condizionatori in ambienti pubblici indoor”, precisa l’esperto. “Purtroppo però queste specie chimiche sono aggressive per l’uomo e l’ambiente: questi sistemi vanno perciò testati bene, perché possono produrre un eccesso di radicali OH· e di ozono negli ambienti, con possibili danni alla salute quali irritazioni agli occhi e alle vie respiratorie. E possono generare e diffondere nell’aria composti carbonilici, come la tossica formaldeide. Alcuni di questi sistemi sono comunque concepiti per uso professionale e certificati espressamente, addirittura per l’ambiente ospedaliero”.

Esistono poi criteri generali per rinfrescare al meglio gli ambienti. “La temperatura interna dovrebbe risultare inferiore solo di 3 o 4 gradi rispetto a quella esterna, per evitare pericolosi sbalzi termici. Va evitato inoltre che il flusso giunga direttamente sul corpo, perché crea gradienti di temperatura che possono determinare problemi per la salute”, commenta Guerriero. “Gli ambienti interni vanno fatti arieggiare, ricordando che al mattino presto, anche se l’aria è più fresca, si ha solitamente un maggior incremento di inquinamento. È preferibile farlo di notte, tra le 22.00 e le 5.00”.

Infine, come comportarsi con i condizionatori presenti nelle automobili? “Ha senso sanificare l’auto se è a noleggio o vi è salito un estraneo, non se la macchina è di proprietà e viene utilizzata in famiglia”, conclude il ricercatore. “La sostituzione del filtro anti-particolato per ridurre i rischi di contagio da Covid, poi, è un intervento inutile: in esterno il virus muore velocemente, quindi se un automobilista malato mi stesse davanti e parlasse liberamente nella sua auto è ben poco probabile che il suo aerosol arrivi nella mia vettura, sarà talmente diluito o annientato da raggi ultravioletti e ozono che non riuscirà a raggiungermi”.

I problemi derivanti dall’uso delle mascherine con il caldo

Secondo quanto raccomandato dagli esperti, insieme al distanziamento sociale di almeno un metro e a un frequente e accurato lavaggio delle mani, l’uso della mascherina costituisce un efficace deterrente alla trasmissione del Coronavirus, spiega Rita Bugliosi sull’Almanacco della Scienza del CNR.
In una recente ricerca pubblicata sulla rivista statunitense “Pnas” in cui sono state analizzate le strategie di intervento messe in atto nel periodo gennaio-maggio 2020 per contrastare la pandemia di Covid-19, l’utilizzo delle mascherine in pubblico è risultata essere la misura più efficace, riducendo nel nostro Paese il numero di infezioni di oltre 78.000 unità, tra il 6 aprile e il 9 maggio”, sottolinea Marco Morabito dell’Istituto per la bioeconomia (Ibe) del Cnr.

Ma se l’utilizzo di questo dispositivo di protezione, pur provocando qualche fastidio, era nei mesi scorsi abbastanza tollerabile, con l’arrivo dell’estate e con il conseguente innalzamento delle temperature il suo uso crea qualche problema. Tra i fastidi provocati – prosegue Bugliosi – ci sono quelli legati a reazioni cutanee determinate dall’elevata temperatura associata ad alti tassi di umidità. “In uno studio condotto attraverso la somministrazione di questionari a operatori sanitari cinesi, è risultato che l’uso della mascherina ha provocato prurito (15%), arrossamento della pelle ed eritema (13%), eruzione cutanea (12%) e xerosi cutanea (pelle secca) (12%)”, precisa il ricercatore del Cnr-Ibe.

Indossare la mascherina quando fa caldo ha però anche altri effetti. “Alcuni scienziati hanno evidenziato che, tra i disagi segnalati dalla popolazione, il più diffuso è stato la difficoltà respiratoria (circa il 36% del campione studiato), seguito dal caldo associato a sudorazione (21%)”, continua Morabito. “In presenza di elevate temperature la frequenza respiratoria tende ad aumentare – anche in base al livello di attività fisica svolta -, il disagio termico non è quindi limitato al viso ma si estende a tutto il corpo. Ne consegue un calo generalizzato delle condizioni psico-fisiche, un aggravamento di malattie preesistenti e un possibile aumento del rischio di infortuni o di complicanze dovute a stress da caldo, con disturbi che possono variare da crampi, svenimenti, edemi, disidratazione, fino alla situazione più grave rappresentata dal colpo di calore”, continua Morabito.

In un progetto finanziato da Inail e coordinato dal Cnr-Ibe (Impatto dello stress termico ambientale sulla salute e produttività dei lavoratori: strategie di intervento e sviluppo di un sistema integrato di allerta meteo-climatica ed epidemiologica per vari ambiti occupazionali – Worklimate) sono state condotte sperimentazioni per valutare gli effetti dell’uso della mascherina durante lo svolgimento di diverse attività e in condizioni di forte caldo. “I risultati preliminari hanno mostrato aumenti significativi della temperatura, e soprattutto dell’umidità, all’interno della mascherina rispetto all’esterno: di circa il 20% la temperatura, poco più del 55% l’umidità. A questa situazione era associato un generale aumento del disagio termico percepito a livello locale (viso), ma anche a livello globale (corpo intero), con un peggioramento della situazione nel caso di esposizioni alla radiazione solare diretta”, aggiunge l’esperto.

Ancora più accentuate sono poi le conseguenze derivanti da questo dispositivo di protezione per alcune categorie di persone. “L’uso della mascherina rappresenta un fattore aggravante degli effetti del caldo sulla salute specie per la parte più vulnerabile della popolazione, quindi persone anziane con più patologie e in trattamento con più farmaci, persone con malattie croniche o con disturbi psichici, con ridotta mobilità e/o non autosufficienti, donne in gravidanza, lavoratori impegnati in attività fisiche intense all’aperto o in ambienti non condizionati, e anche persone che hanno o sono in fase di convalescenza post Covid-19, perché in parte impedisce lo scambio termico tra corpo e ambiente, ma soprattutto ostacola il processo di respirazione specie se si è esposti a caldo eccessivo”, conclude Morabito. “Bisogna considerare infatti che le mascherine non sono nate per un utilizzo diffuso e prolungato da parte della popolazione né per un uso all’aperto in condizioni di elevate temperature e di esposizione alla radiazione solare; non sono dunque testate da un punto di vista microclimatico e di potenziale impatto sulla percezione del disagio termico. Il cuscino di aria molto calda e umida che si crea sotto la mascherina a contatto con pelle, bocca e naso rappresenta un ostacolo importante al normale processo di respirazione”.

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