La pasta, nonostante l’avversione da parte dei cultori della linea, resta uno dei piatti preferiti dagli italiani: è legata a tanti dubbi, falsi miti, pregiudizi, additata come responsabile dell’aumento di peso e fonte di preoccupazione in chi soffre di glicemia alta e fa i conti col diabete.
Cerchiamo dunque di fare (per quanto possibile) chiarezza su alcune questioni: la pasta fa ingrassare? E’ responsabile della glicemia alta? Aggrava il diabete? Quale tipo preferire? Con quali condimenti?
La pasta non fa ingrassare, basta seguire dei piccoli accorgimenti
Come mangiare il cibo italiano per eccellenza senza il pericolo di prendere troppi chili e senza sensi di colpa? A fornire indicazioni e trucchi è Serena Missori, endocrinologa e nutrizionista, in collaborazione con il provider Ecm 2506 Sanità in-Formazione e Consulcesi Club.
Consumare pasta integrale permette, senza rinunciare al gusto, di assumere carboidrati a lento rilascio, ovvero quei carboidrati che mantengono stabile il livello di zuccheri nel sangue e forniscono energia in modo costante, permettendo all’organismo di assorbirli e usarli lentamente. Non bisogna però farsi ingannare dalle etichette: deve essere esplicitamente indicata la dicitura farina integrale o 100% integrale per essere sicuri che la pasta sia preparata esclusivamente con farine che non abbiano subìto raffinazione. La pasta priva di condimento, inoltre, non è un toccasana per la salute, spiega la nutrizionista. Sarebbe meglio saltarla in padella con un cucchiaino di olio extra vergine di oliva, aglio, che aiuta il corpo ad abbattere i depositi grassi e peperoncino, che aumenta il metabolismo.
Un’attenzione utile per evitare il gonfiore addominale e non avere picchi di glicemia, sarebbe quello di scolare la pasta al dente e sciacquarla sotto l’acqua fredda. Cotture troppo prolungate infatti tendono a far innalzare l’indice glicemico e a rendere gli amidi della pasta più facilmente assimilabili. Consumare della verdura cruda prima di una spaghettata o di un bel piatto di pasta corta, anche un semplice pinzimonio in olio extra vergine di oliva, e a seguire una porzione di verdura cotta, saltata in padella o grigliata (ma non bollita), crea una sorta di paracadute per l’assorbimento degli zuccheri, impedendo un’impennata della glicemia.
L’endocrinologa sfata poi un falso mito: non è vero che la pasta a cena è da evitare, anzi fa bene, spiega la nutrizionista, perché rilassa e aiuta a dimagrire. Questo perché favorisce la sintesi di serotonina e di melatonina facendo assorbire maggiormente il triptofano. Quindi fa rilassare e aiuta il sonno: se ci rilassiamo, si riducono gli ormoni dello stress, fra cui il cortisolo, colpevoli di favorire l’aumento di peso. Inoltre le diete in cui si eliminano quasi completamente i carboidrati per perdere velocemente i chili di troppo sono state bocciate da alcuni studi scientifici. Una ricerca del Brigham and Women’s Hospital di Boston, pubblicata su The Lancet Public Health, sostiene che questo regime alimentare sia da condannare, e che diversamente mangiare riso, spaghetti e pane con moderazione è il modo più corretto per avere una vita lunga e in salute.
Il dilemma della pasta: è vero che fa ingrassare? Ecco 5 informazioni utili da conoscere
A evidenziare il ruolo fondamentale di questo importante piatto nell’ambito di una dieta equilibrata è anche l’International Carbohydrate Quality Consortium (ICQC), associazione che promuove il consumo di carboidrati di “qualità”.
Tale associazione ha elaborato 5 importanti spunti di riflessione sulle proprietà nutrizionali della pasta, eccoli di seguito:
- I carboidrati non sono tutti uguali: gli alimenti ricchi in carboidrati sono tantissimi. Un piatto di pasta e fagioli e un cornetto alla crema, pure contenendo più o meno la stessa quantità di carboidrati, non si possono considerare equivalenti sul piano salutistico e nutrizionale. E’ importante quindi distinguere due tipi di zuccheri, quelli semplici da quelli complessi. I diversi tipi di carboidrati innescano diverse risposte metaboliche, e i vari cereali a loro volta hanno un diverso indice glicemico.
- L’utilizzo di pasta integrale, e cereali integrali, apporta benefici alla salute cardio-metabolica: la pasta integrale, ha un indice glicemico ridotto rispetto a quella convenzionale, è un piatto ricco di nutrienti rispetto a quella raffinata, in particolare è ricca di fibre che aiutano il transito intestinale e l’apporto proteico è decisamente superiore. Inoltre, la pasta integrale tende a saziare di più.
- La pasta è un’ottima fonte di carboidrati complessi (e non fa ingrassare): contrariamente a quello che si dice, la pasta è un ottimo alleato della dieta. I carboidrati complessi che essa contiene si distinguono dagli zuccheri semplici per la capacità di fornire energia a lento rilascio. Numerosi studi scientifici dimostrano che l’aumento di peso e dell’obesità sia dovuto dallo squilibrio tra energia assunta ed energia consumata, quindi bisogna sfatare un falso mito dicendo che i carboidrati di per sé non comportano l’aumento dell’indice di massa corporea ma invece costituiscono un pasto adatto per una sana alimentazione.
- I carboidrati da evitare sono quelli elevata risposta glicemica: i carboidrati ad altro indice glicemico sono responsabili del rapido innalzamento della glicemia, e quindi della concentrazione di glucosio nel sangue, evento che scatena il meccanismo perverso dell’insulina. Tali carboidrati sono stati additati come i principali responsabili del sovrappeso e dell’insorgenza delle patologie come l’aterosclerosi e diabete. Quindi evitare cereali raffinati, lo zucchero (saccarosio), i dolci, le bevande zuccherate che hanno un indice glicemico alto.
- Le linee guida nutrizionali raccomandano un apporto di carboidrati tra il 40 e il 60% delle calorie giornaliere: vale a dire delle calorie apportate ogni giorno dai vari nutrienti (carboidrati e fibre, grassi, proteine) per un totale di 1.800-2.000 kcal, tenendo conto dei fabbisogni che variano in relazione al sesso, età, stato di salute, otre che allo stile di vita (sedentario o sportivo).
Mangiare la pasta di sera fa ingrassare?
Siamo il paese della pasta, ma solo 1 piatto di spaghetti su 3 viene servito a cena. I quasi 12 milioni di italiani che non la consumano di sera per paura di ingrassare o di compromettere il sonno dovrebbero però ricredersi. Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet Public Health ha dimostrato che mangiare pasta a cena migliora il riposo notturno, e non fa ingrassare. In occasione della Giornata mondiale del Sonno una guida di Unione Italiana Food aiuta ad orientarsi tra le ricette di pasta più indicate a cena. E lo spaghetto di mezzanotte? Un rito nato 40 anni fa, tornato in auge grazie alla generazione under 35 e agli chef.
Una buona notizia per quei 27 milioni di italiani che soffrono di disturbi del sonno: mangiare pasta a cena fa bene, rilassa, facilita il sonno e non fa ingrassare, anzi fa dimagrire. Uno studio del Brigham and Women Hospital di Boston, pubblicato sulla rivista The Lancet Public Health, dimostra che la pastasciutta può essere consumata nelle ultime ore del giorno, soprattutto se siamo stressati e soffriamo d’insonnia, grazie alla presenza in questo alimento di Triptofano e Vitamine del gruppo B.
Unione Italiana Food (già Aidepi), l’Associazione che rappresenta i pastai italiani, ha realizzato una guida pratica sulle ricette di pasta e i formati più indicati per l’ultimo pasto della giornata.
LUCA PIRETTA: “NELLA PASTA TRIPTOFANO E VITAMINA B PER IL RELAX DI MENTE E CORPO”
La pasta è un’ottima alleata anche di sera, soprattutto se siamo stressati, se soffriamo d’insonnia o se lamentiamo disturbi di sindrome premestruale. Commenta i risultati dello studio Luca Piretta, nutrizionista e gastroenterologo, membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Scienze dell’Alimentazione (S.I.S.A.): “Il consumo di pasta favorisce la sintesi di insulina che, a sua volta, facilita l’assorbimento di triptofano, l’aminoacido precursore della serotonina (che regola l’umore) e della melatonina (che orienta il ritmo del sonno). E un sonno lungo e ristoratore è inversamente correlato all’aumento di peso, riducendo gli ormoni responsabili della fame. Inoltre, le vitamine del gruppo B, presenti in quantità maggiore nella pasta integrale, implicano il rilassamento muscolare; soprattutto la B1, fondamentale per il sistema nervoso centrale, stimola la produzione di serotonina”.
UNA SPIEGAZIONE PRATICA: LA MASTICAZIONE “IPNOINDUCENTE” DELLA PASTA AL DENTE
Sarebbe anche un’altra la ragione del potere ipnoinducente della pasta. Masticare lentamente e accuratamente stimola i recettori che agiscono sul senso di sazietà, riducendo quel senso di fame che ci porta ad introdurre altro cibo. “La masticazione è la prima fase della digestione. Frantumare il cibo in pezzi più piccoli fa sì che sia più esposto alla saliva, fondamentale per il metabolismo e più facile da digerire” spiega Piretta. E nel caso della pasta, quella italiana è lavorata in modo tale da mantenere la tenuta al dente, consistenza che la rende più resistente alla masticazione e quindi più digeribile.
Alcuni consigli pratici? Per esempio, la porzione consigliata di sera è di massimo 80 grammi. Andrebbe preferita quella integrale, per l’indice glicemico più basso e il maggior contenuto di vitamina B. In alternativa, si può abbinare la pasta “gialla” ai legumi, come nel caso delle penne con piselli e funghi o di una pasta e fagioli. A proposito di condimenti, l’olio extravergine d’oliva è un vero toccasana per il suo potere di spegnere le infiammazioni, si può aggiungere a crudo oppure saltando la pasta in padella a fine cottura. Buona idea anche optare per un piatto unico di pasta, abbinato a proteine magre come pesce, legumi e verdure, cotte o crude: impegnano la digestione rallentando l’assorbimento di carboidrati.
IL POTERE “PIÙ SAZIANTE” DELLA PASTA LUNGA
A sera meglio tenersi leggeri, visto che l’ultimo pasto della giornata dovrebbe apportare al massimo il 30% delle calorie di giornata. Ma se abbiamo ancora fame? Basta puntare sulla pasta lunga. Questo perché, misurando l’aumento di peso dei formati dopo la cottura (considerando valida una cottura al dente), bucatini e spaghetti arrivano ad avere aumenti finali di peso di ben 2 volte e mezzo rispetto a quello iniziale. E quindi, a parità di intake calorico, ci sentiremo più sazi (e soddisfatti) con un piatto di spaghetti, linguine o bucatini rispetto ad una porzione di pennette o mezze maniche.
Svelati i segreti degli spaghetti: cosa succede se si mangia pasta riscaldata e come evitare il picco della glicemia
Un team di studiosi dell’University of California a Berkeley ha svelato su “Physical Review E” i segreti di un alimento amatissimo nella cucina italiana: gli spaghetti. Lo studio ha indagato sui meccanismi alla base della deformazione degli spaghetti durante la cottura. I ricercatori Nathaniel N. Goldberg e Oliver M. O’Reilly hanno identificato 3 “stadi” di uno spaghetto in cottura: incurvato, depositato e arrotolato. Quando vengono messi in una pentola di acqua bollente, gli spaghetti prima si incurvano appoggiandosi al bordo, poi si depositano sul fondo della pentola, per poi ripiegarsi su se stessi.
I ricercatori sono stati in grado di replicare con precisione il comportamento di questo tipo di pasta: hanno testato il modello con un singolo filamento di spaghetti messo a bagno per due ore in una pentola di acqua a temperatura ambiente. I risultati confermano la capacità di prevedere il comportamento meccanico dello spaghetto.
Sul popolare alimento fornisce qualche consiglio utile la biologa nutrizionista Deborah Tognozzi: “Consumare pasta cotta al dente, raffreddata in frigorifero e riscaldata poi in padella – spiega all’Adnkronos Salute – rende l’amido più resistente: si abbassa l’indice glicemico dell’alimento e si riducono le calorie assorbite“. “Più la pasta è al dente, più l’indice glicemico è basso. Inoltre lo spaghetto ha meno zuccheri rispetto alla pasta corta, per via di un processo di gelatinizzazione dell’amido. Quindi – conclude l’esperta – gli spaghetti sono una scelta migliore per le persone a dieta, che possono condirli con gamberetti e zucchine, o comunque proteine e verdure, per favorire il senso di sazietà ed evitare il picco glicemico“.
Focus su diabete, glicemia alta e alimentazione
Il diabete è la malattia del secolo: “Stiamo assistendo a un‘epidemia. I grandi numeri richiamo grandi business e su questa malattia si sono ritagliati uno spazio molto importante gli alimenti per diabetici. Peccato, però, che non esistano,” spiega il dietista Giacomo Astrua su “MedicalFacts”, il sito anti-bufale creato dal virologo Roberto Burioni.
Cos’è il diabete?
Il diabete è un’incapacità del corpo a mantenere i livelli di zucchero nel sangue (glicemia), nel loro corretto range. Si distingue tra diabete di tipo 1, carenza insulinica assoluta per la distruzione autoimmune delle beta-cellule, e diabete di tipo 2 (il 90% dei diabetici), deficit parziale di insulina, scaturito solitamente da un’insulino-resistenza a causa multifattoriale (principalmente ambientale).
L’insulina è un ormone che il corpo rilascia in seguito all’aumento della glicemia che, come la chiave di una serratura, apre determinati canali attraverso cui gli zuccheri passano dal sangue ai tessuti.
Diabete, glicemia alta e alimenti
“Un alimento alza la glicemia in base a tre fattori: il contenuto di carboidrati: più sono più aumenta la glicemia. La tipologia di carboidrati: ci sono carboidrati rapidi da assorbire, che alzano più velocemente la glicemia, chiamati semplici e altri aventi una struttura più articolata e lenta da assorbire, detti complessi. La quantità di fibra (e altre sostanze), assunta nel pasto: la fibra rallenta l’assorbimento, intrappolando tra i suoi filamenti i nutrienti,” precisa il dietista.
“Su questi principi le industrie alimentari e farmaceutiche hanno deciso di inventare prodotti specifici da commercializzare come alimenti per diabetici. Ma il cibo per diabetici già esisteva e non occorreva inventarselo e, se vogliamo dirla tutta, si tratta del cibo che dovremmo consumare tutti.”
Cosa deve mangiare una persona con diabete?
“Deve privilegiare farine integrali e assumere grandi quantità di verdura ai pasti, per aumentare il contenuto di fibre giornaliero. Deve suddividere i carboidrati giornalieri, consumandone una quantità maggiore a colazione e pranzo e ridurli-escluderli a cena, in quanto dopo cena, a riposo, il corpo consuma meno carboidrati e la glicemia più facilmente si alza.
Deve evitare di utilizzare dolcificanti (zucchero, miele e dolcificanti artificiali), poiché anche questi possono alzare i livelli di insulina e favorire l’insulino-resistenza. Deve evitare i fuori pasto, che potrebbero causare inutili rialzi glicemici, se vuole fare spuntini meglio privilegiare la frutta secca in guscio o uno yogurt naturale.
Deve evitare il consumo quotidiano di dolci e prodotti da forno, entrambi ad alto indice glicemico o comunque ricchi di grassi, e il grasso e il sovrappeso possono aumentare l’insulino-resistenza,” conclude l’esperto.
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Glicemia alta? Quali sono cause e sintomi, quando si può parlare di diabete
La glicemia alta è una condizione che può esporre a diversi rischi: quali sono sintomi e cause della glicemia alta a digiuno? Come prevenirla? Quando si può parlare di diabete?
La glicemia alta a digiuno, o “iperglicemia” è una condizione in cui si riscontrano valori elevati di glicemia nel sangue a digiuno maggiore di 100 mg/dl. Per la diagnosi di diabete è sufficiente un valore di glicemia a digiuno >126 mg/dl confermato in almeno due giornate differenti.
Di seguito l’approfondimento sul tema pubblicato dall’Humanitas Research Hospital, ospedale ad alta specializzazione, centro di Ricerca e sede di insegnamento universitario: promuove la salute, la prevenzione e la diagnosi precoce.
Glicemia alta a digiuno: che cos’è l’iperglicemia?
L’iperglicemia è il riscontro di valori elevati di glicemia nel sangue. La sintomatologia è soggettiva e può comparire per valori superiori a 180 mg/dl di glicemia.
Glicemia alta a digiuno: quali sono le cause dell’iperglicemia?
La causa all’origine dell’iperglicemia può essere ricondotta a un’insufficiente produzione dell’ormone insulina o a una sua inadeguata azione. Altre cause possono essere: una mancata o inadeguata assunzione della terapia in soggetti diabetici (insulina e/o ipoglicemizzanti), un aumentato fabbisogno di terapia per una malattia acuta concomitante, un’eccessiva assunzione di carboidrati in soggetti predisposti o assunzione di farmaci diabetogeni. Altra causa di iperglicemia può essere da ricercare in patologie del pancreas (pancreatiti, patologie oncologiche) o in rare malattie dell’apparato endocrino.
Glicemia alta a digiuno: quali sono i sintomi dell’iperglicemia?
Spesso l’iperglicemia non dà alcun sintomo né segno, per questo il diabete (malattia cronica secondaria alla persistente iperglicemia) è ritenuto una malattia subdola. A volte i sintomi compaiono quando la malattia è già presente da anni. Una grave iperglicemia si caratterizza per:
- Stanchezza
- Aumento della sete (polidipsia)
- Aumento della diuresi (poliuria)
- Perdita di peso involontaria, talvolta in concomitanza a un aumento dell’appetito
- Malessere
- Dolori addominali
Nei casi più gravi possono presentarsi anche confusione mentale e perdita di coscienza.
Glicemia alta a digiuno: come prevenire l’iperglicemia?
Per prevenire l’insorgenza dell’iperglicemia è consigliabile: mantenere un sano stile di vita svolgendo esercizio fisico regolare, anche moderato; mantenersi in peso-forma e attuare strategie per il dimagrimento nel caso si sia in sovrappeso; seguire una dieta equilibrata e appositamente bilanciata, evitando bevande zuccherate e cibi particolarmente calorici. Si raccomanda nei soggetti a rischio (familiari di diabetici, pregresso diabete gravidico, obesità, segni clinici di insulino-resistenza) di effettuare periodici controlli del dosaggio di glicemia (almeno una volta all’anno se normale, cioè inferiore a 100 mg/dl).
Glicemia alta a digiuno: diagnosi
La diagnosi di iperglicemia si pone con un prelievo del sangue. Qualora fosse il primo riscontro di tale alterazione è necessario rivolgersi al proprio medico per eventualmente effettuare un altro prelievo di controllo associato, qualora fosse il caso, a un prelievo per emoglobina glicata, dato biochimico che permette di capire se il dato di iperglicemia sia isolato o cronico. Il dato di emoglobina glicata permette inoltre di indirizzare verso un trattamento di adeguamento dello stile di vita (se <6.5%) o in alternativa una valutazione specialistica per associare trattamento farmacologico.
L’associazione tra iperglicemia, obesità, ipertensione arteriosa e ipercolesterolemia (con Ldl elevate) è comunemente nota come sindrome metabolica e rappresenta un importante assieme di fattori di rischio per patologie cardiovascolari.
Glicemia alta a digiuno: cura e trattamenti
Il dato di emoglobina glicata permette di indirizzare verso un trattamento di adeguamento dello stile di vita (se <6.5%) o in alternativa una valutazione specialistica per associare trattamento farmacologico.
È comunque raccomandabile adottare uno stile di vita sano, dedicandosi a una costante attività fisica e seguendo una dieta equilibrata.
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