Tra Lombardia e Piemonte aumenta la preoccupazione per la scarsità d’acqua nel comprensorio, che utilizza l’acqua del fiume Ticino e quindi del lago Maggiore: in assenza di significative piogge, la situazione del sistema idrico si aggrava, sperando che le precipitazioni previste nel fine settimana siano utili per le campagne in un’annata purtroppo caratterizzata dal paradosso di un andamento siccitoso, accompagnato dalla violenza di concentrati fenomeni temporaleschi.
Per questo, da inizio settimana, il Consorzio del Ticino ha disposto drastiche manovre idrauliche per rendere disponibile risorsa idrica da utilizzare nella parte finale di una stagione irrigua atipica, che si sta prolungando soprattutto per le coltivazioni di riso.
Il Naviglio Grande ha ridotto la portata da 38 a 25 metri cubi al secondo e così, grazie ad un’attenta regolazione, anche i Navigli Bereguardo e Pavese riescono a garantire gli equilibri idrici per le colture ancora in campo.
La portata del Canale Villoresi è stata, invece, ridotta da 27 a 11 metri cubi al secondo, scendendo al 20% di quella autorizzata (mc/sec 55), in modo da garantire, per quanto possibile, le esigenze colturali dei produttori di riso, nonché la salvaguardia della fauna ittica e delle aree a forte valenza ambientale.
“Purtroppo, l’assoluta mancanza di precipitazioni e la severa riduzione degli afflussi, che interessano il lago Maggiore, stanno minacciando la conclusione della stagione irrigua; l’andamento anomalo delle condizioni meteo, dovuto ai cambiamenti climatici, suggerisce l’urgenza di misure efficaci a difesa dell’agricoltura, dell’ambiente e di tutte le altre necessità di utilizzo della risorsa idrica. È necessario intervenire tempestivamente e in modo coordinato su problematiche destinate a segnare il prossimo futuro” commenta il Presidente del Consorzio di bonifica Est Ticino Villoresi, Alessandro Folli.
Praticamente dimezzate rispetto alla media, sono anche le portate del fiume Po, con il rischio di un’ulteriore conseguenza nei territori vicino al mare.
“Negli ultimi vent’anni l’acqua salata del mare è riuscita a risalire di quasi 30 chilometri lungo le foci deltizie; entrando nell’entroterra, mette a rischio migliaia di ettari a causa della presenza di maggiori valori di salinità sia nelle acque ad uso potabile che in quelle necessarie per l’irrigazione”: a riproporre attenzione sull’argomento è Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI).
La risalita del cuneo salino nei rami del Delta del Po è un grande problema, che viene accentuato dalla siccità e da una regimazione non regolare. Per contrastare il fenomeno, si immette acqua dolce nel territorio, prelevata dalla rete idraulica di bonifica, permettendo la diluizione della salinità; tale funzione è svolta soprattutto dai canali di gronda, realizzati paralleli alla costa e che creano una barriera naturale, favorendo la vita della flora e la produzione agricola.
A questo si aggiunge ora il progetto internazionale “Reservoir” per una gestione sostenibile delle acque sotterranee, gestito dal Consorzio C.E.R. – Canale Emiliano Romagnolo con l’obbiettivo di monitorare il fenomeno nella zona di Comacchio.
“Il cuneo salino è favorito dall’andamento climatico e dalla subsidenza, cioè l’abbassamento del suolo, dovuto a fenomeni naturali, nonché alle estrazioni sotterranee – ricorda Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI – Per salvaguardare l’ambiente e l’economia delle aziende agricole bisogna lavorare su più fronti, realizzando barriere antisale, ma anche una regimazione del Po, di cui si discute da anni e che, oltre a favorire la navigazione, renderebbe il fiume meno soggetto a magre estreme, contrastando con efficacia la risalita dell’acqua salata.”
“Nel contempo – conclude Franco Dalle Vacche, Presidente del Consorzio di bonifica Pianura di Ferrara – sono necessarie azioni per la salvaguardia della coltura del riso, che è una barriera naturale contro la salinizzazione dei terreni; purtroppo si registra, invece, una forte contrazione delle aree deltizie coltivate, con il conseguente abbandono della risicoltura, a causa della concorrenza internazionale.”