Ricevere una diagnosi di cancro è una notizia devastante per chiunque, soprattutto quando le speranze di poter guarire sono poche. Ad Andrea Spinelli, siciliano di nascita ma friulano di adozione, avevano dato solo 20 giorni di vita per un tumore inoperabile al pancreas. Ma 7 anni dopo quella nefasta notizia, Andrea vive ancora la sua vita grazie alla sua determinazione e ad una decisione particolare.
La sua odissea è iniziata nell’ottobre del 2013: “Mi avevano dato venti giorni di vita, sono qui dopo sette anni. Da quando mi hanno diagnosticato il cancro al pancreas ho fatto diciannove mesi di chemio che avrebbero steso chiunque. Eppure l’ultima risonanza, che ho fatto qualche giorno fa, è andata bene: non ho metastasi, si va avanti. A piedi, ovviamente”, racconta Andrea a Repubblica.
Dal giorno in cui ha saputo di avere pochi giorni di vita, Andrea, 47 anni, ha deciso di reagire camminando. “Sì, come il tipo di quel film bellissimo, Forrest Gump. Al medico dissi che sarei andato in ospedale a piedi, dodici chilometri tra andata e ritorno. Mi prese per pazzo, ma cosa vuoi rispondere a uno che è sempre stato bene e all’improvviso scopre che il suo corpo è stato attaccato da un adenocarcinoma alla testa del pancreas? Il dottore capì che quello era ciò che sentivo: non potevo essere operato, mi restava poco, mi diede l’ok a camminare. Ho scoperto che quando hai un tumore del genere, l’aspettativa di vita, nel migliore dei casi, è di 5 anni. Io dopo sette anni sono ancora qui, ho percorso 18 mila chilometri a piedi, trenta milioni abbondanti di passi e – mi dicono – sono un caso clinico unico al mondo”, racconta. Il sito del Journal of Cancer Metastasis and Treatment ha ospitato una pubblicazione scientifica di Giovanni Lo Re, l’oncologo che lo segue dall’inizio della malattia.
“Lo dico sempre, anche nei tanti incontri che faccio negli ospedali, nelle scuole: purtroppo l’attività fisica non sconfigge il cancro. Ma il mio corpo ha reagito così, evidentemente ho un sistema immunitario molto particolare che con il movimento ottiene risposte positive e blocca le metastasi. Purtroppo è una fortuna che non hanno tutti: non sai quanto mi dispiace per gli altri malati che se ne vanno via troppo presto”, afferma Andrea. “Devo dire grazie ai medici, certo, ma soprattutto a mia moglie. Senza di lei non ce l’avrei mai fatta. Adesso abbiamo deciso di vendere casa e di vivere in un camper che abbiamo “battezzato” Tano il gabbiano. Così possiamo andare in giro a scoprire la natura da vicino. Ovviamente anche lei cammina con me”, aggiunge.
Sulla sua storia Andrea Spinelli ha già scritto un libro, Se cammino vivo (Ediciclo), e sul suo blog aggiorna i tanti follower sulle “camminate” quotidiane. “Racconterò la mia storia finché avrò la forza. Quando mi hanno spiegato cosa mi stava accadendo mi sono sentito come ai comandi di un aereo in fase di stallo. Ma non mi sono lasciato cadere nella disperazione. Se cammino vivo, appunto, e adesso ho scritto anche Il caminante che è un ideale seguito del primo volume. Racconto i miei incontri, il rapporto con i medici, l’attività fisica che mi ha salvato, le paure e le speranze, la forza che mi fa andare avanti. Malgrado tutto. Come fai a essere così sereno? E’ una domanda che mi fanno spesso. Sono tante le cose che mi sono successe in questo periodo nuovo della mia vita, molte le persone conosciute, numerosi i momenti brutti e altrettanti quelli piacevoli, interessanti i cambiamenti, drammatici i risvolti. Ancora una volta e nonostante tutto, ho cercato di mantenere l’equilibrio. Oltre che ‘sopravvivente’, concedetemi un altro desiderio: vorrei essere ricordato come Andrea, il caminante. Camminatore, pellegrino e viandante, ecco chi sono. In questo libro c’è la Carnia, un pianeta nel pianeta, ci sono altri cammini importanti, passi decisivi, la Via Francigena verso Roma, la risalita verso Assisi. C’è il faggio di San Francesco, c’è il bosco, ci sono la neve, il sole e la pioggia. Ci sono il sussurro del vento, le parolacce, gli incontri con persone sconosciute e l’oceano. Ci sono i ricordi di chi non c’è più. Ci sono tante cose e ognuna ha contribuito in maniera decisiva alla mia resilienza”, spiega Andrea.
La pandemia di coronavirus ha rischiato di bloccare le camminate di Andrea: “E’ stato uno shock, ma alla fine sono riuscito a continuare scrivendo nell’autocertificazione che ne avevo bisogno. Camminare, per me, è come una medicina, anzi di più. Certo, per un po’ ho dovuto accontentarmi di restare vicino casa, mi sono mancate le montagne, i boschi, quei posti nei quali i silenzi sono diversi. Ma alla fine non ho sofferto più di tanto”. Sul futuro, aggiunge: “Ho scritto un mio pensiero sul blog, gli ho dato come titolo Come sarà il dopo? Il silenzio e il distacco dalla quotidianità a cui siamo abituati hanno portato noi tutti a fare delle riflessioni. Almeno, per me è stato così e spero che lo sia per molti. Spero in un mondo migliore, un mondo nel quale ognuno di noi acquisti maggiore consapevolezza dei passi fatti. Di una cosa, però, sono certo: io di passi ne voglio fare ancora molti. Perché non sono uno che si arrende facilmente”.