Coronavirus, il virologo Silvestri: “Evitiamo di usare a sproposito la parola ‘malato’. Il lockdown? Bisognerebbe meditare sull’articolo di Mark Woolhouse”

Coronavirus: il virologo spiega perché è importante evitare di usare a sproposito la parola “malato” quando non descrive la situazione clinica di una persona
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Il virologo Guido Silvestri, docente negli USA alla Emory University di Atlanta, ha dedicato una nuova “Pillola di ottimismo” alla situazione Coronavirus, un approfondimento domenicale dedicato a vari argomenti, tra cui l’utilizzo della parola “malato” e la questione lockdown.
Il virologo ha firmato un intervento sulla pagina Facebook “Pillole di ottimismo” che cura con il contributo di un vasto team di esperti.
Di seguito il post integrale.

PILLOLONE DOMENICALE
[di Guido Silvestri, domenica 20 settembre 2020]
AUT INSANIT HOMO, AUT SCIENTIAM FACIT
Cari Amici,
Innanzitutto ben ritrovati e Buona Domenica (e buon voto) a tutti!
Il Pillolone domenicale di oggi è diviso in tre parti. Nella prima parte spiego perché è importante evitare di usare a sproposito la parola “malato” quando questa non descrive la situazione clinica di una persona. Nella seconda riprendiamo e discutiamo il post “l’Ottimismo della Conoscenza” a sei mesi esatti dalla sua pubblicazione. Nella terza traduco un interessante articolo di Mark Woolhouse, Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive ed Epidemiologia alla Edinburgh University –un pezzo da meditare parola per parola.

1. IL PESO DELLE PAROLE

Foto vchal/Getty

Ieri ho criticato un articolo di Repubblica in cui si usava il termine “malato” come sinonimo di persona con tampone positivo per SARS-CoV-2. Il termine “malato” ha un preciso significato clinico che non va abusato, e come per altri virus, mentre tutti i malati di COVID-19 sono casi diagnosticati di infezione da SARS-CoV-2, non tutte le persone con un tampone positivo, cioè che hanno contratto l’infezione da SARS-CoV-2, sono da definirsi malati di COVID-19. Tra questi, ovviamente, ci sono le persone clinicamente guarite ma con tampone ancora positivo, e quelle con infezione del tutto asintomatica.
Evitare l’uso non appropriato del termine “malato” è importante non solo dal punto di vista della definizione clinica (cioè da quello strettamente semantico), oppure per evitare di fare “sensazionalismo mediatico”, come nell’articolo di ieri su Repubblica online. E’ anche una questione di rispetto per le persone e di riduzione dello stigma, e fa davvero impressione che persone che si definiscono “progressiste” o di “sinistra” abbiano il cervello talmente obnubilato dalla retorica catastrofista e/o chiusurista dal non accorgersi della grossolana scorrettezza di questo uso aberrante del termine “malato”.
Ricordo a queste persone che un vero e proprio esercito di attivisti, persone che vivono con HIV e personale sanitario (tra cui molto umilmente anche il sottoscritto), ha compiuto negli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso una grande battaglia progressista, di cui sono tuttora orgogliosissimo, per fare capire che avere un test positivo per HIV era diverso dall’essere un “malato di AIDS”. Nel corso di questa battaglia, condotta in tutto il mondo, siamo riusciti ad eliminare il termine “HIV-infected patient” per sostituirlo con quello di “HIV-infected individual” o “HIV-infected subject”, o meglio ancora, “person living with HIV” (PLWH).
Queste non sono questioni di “lana caprina”, come ha tristemente scritto un lettore nei commenti al mio post di ieri, e tantomeno sono modi per “minimizzare i rischi di COVID-19”, come ha ancora più tristemente dichiarato un’altra lettrice. Sono invece forme basilari di rispetto della persona e del malato, ed è francamente molto deprimente osservare come, 30 anni dopo, dovremo probabilmente rifare la stessa battaglia fatta per HIV e far capire alla popolazione che avere un tampone positivo per SARS-CoV-2 non è sempre e comunque equivalente ad essere etichettato come “malato di COVID-19”.
A proposito di menti progressiste che sono state obnubilate dal pensiero unico catastrofista e/o chiusurista, sono ancora più esterrefatto di come, in Italia come in altri Paesi, persone che si definiscono di “sinistra” o “liberals” siano diventati acerrimi sostenitori di un secondo lockdown, in un modo completamente impermeabile ad ogni riflessione sui danni devastanti che le chiusure hanno fatto (e faranno ancora, se riprese) agli strati più deboli delle nostre popolazioni. Per non parlare delle centinaia di milioni di persone che nei paesi in via di sviluppo che sono state gettate nella miseria più estrema a causa dei nostri lockdowns.
Lo dico con durezza, e mi perdonerete, ma su certe cose è meglio non avere peli sulla lingua. Chi si stracciava le vesti per le sofferenze dei poveri migranti della nave Diciotti ed ora santifica i lockdowns senza minimamente preoccuparsi delle tragedie che le chiusure hanno causato (e causeranno) ai più miseri dei nostri fratelli dà prova di una ipocrisia che io trovo rivoltante.

2. SEI MESI DOPO
Il 20 marzo è il giorno in cui è nata l’avventura delle Pillole di Ottimismo – ovviamente al momento non lo sapevo, e non lo sapeva nessuno di noi, ma a ripensarci è stato esattamente così. Era un venerdì sera alla fine di una settimana durissima, mille preoccupazioni, una giornata di 14 ore di lavoro, ero stanchissimo ed avevo un terribile mal di testa. In Italia erano giorni terribili, ed un paio di giorni prima c’era stata la triste processione delle camionette militari che trasportavano le bare dei morti di Bergamo per essere sepolti altrove, perché non c’erano posti in cimitero. E’ stato in quel momento che ho deciso di scrivere i dieci punti, che riporto qui sotto, con un breve commento in parentesi per ciascuno di questi. Era il mio di dire “coraggio, non abbiamo paura, la scienza è con noi, e per questo dobbiamo essere ottimisti”. Il post diventò virale, con decine di migliaia di share, milioni di lettori, e spero che sia stato utile per superare meglio quel brutto periodo.

L’OTTIMISMO CHE VIENE DALLA CONOSCENZA
#1. ORIGINE DEL VIRUS. E’ uscito due giorni fa uno studio sistematico delle sequenze genetiche di SARS-CoV-2 (Andersen KG et al. Nature Medicine 2020) che dimostra senza ombra di dubbio che il virus ha una origine naturale e zoonotica (da animali, ed in particolare pipistrelli e pangolini). Per cui la storia del virus “creato” in laboratorio si conferma una bufala colossale.
[l’origine del virus ancora non è perfettamente chiara, ma nessuno o quasi crede alla teoria del virus creato in laboratorio]
#2. COVID-19 NEI BAMBINI. Lo studio comprensivo della infezione COVID-19 nei bambini cinesi dimostra che su 2145 casi totali oltre il 90% erano asintomatici, lievi o moderati, con un solo decesso riscontrato, per una letalità dell’infezione – definita come numero di morti diviso per il totale dei casi – che è, per gli infettati sotto i 18 anni, pari a <0.05% (Dong Y et al. Pediatrics 2020).
[confermato che i bambini si ammalano raramente di COVID-19, con Infection Fertility Rate ampiamente sotto lo 0.1%]
#3. LETALITA’ DI COVID-19. Mentre i morti aumentano drammaticamente sia in Italia che in altri paesi, è importante ricordare che sulla base dei dati complessivi a disposizione la letalità è stimata inferiore al 2%, il che significa che il 98% delle persone infettate guariscono (Fauci AS, comunicazione personale). Il numero alto di morti che osserviamo in questi giorni è pertanto da relazionare al numero alto di persone infettate, spesso con sintomi lievi o addirittura senza sintomi. Ricordo anche che tutti i dati disponibili confermano che la stragrande maggioranza dei decessi ha più di 60 anni e presenta co-morbidità importanti (diabete, ipertensione, COPD, cardiopatia ischemica, etc).
[confermate le categorie a rischio, a cui negli USA si sarebbe aggiunta l’obesità, mentre la letalità calcolata è considerate tra lo 0.2 e 1%]
#4. VIRUS SULLE SUPERFICI. Uno studio recente indica che SARS-CoV-2 vive fino a tre giorni in certe superfici come plastica ed acciaio, e solo per poche ore in superfici come cartone e rame. Il virus sembra sopravvivere per tempi brevi, alcune ore al massimo, come aerosol (Van Doremalen et al., N Engl J Med 2020). Evitiamo paranoie del tipo “il virus sopravvive nell’asfalto per mesi”, che sono basate sul nulla.
[era un falso allarme]
#5. IMMUNITA’ NATURALE. I dati sull’immunità naturale verso SARS-CoV-2 che è acquisita da persone infettate e guarite non sono al momento tali da permettere affermazioni perentorie, ma per quanto sappiamo sugli altri coronavirus una immunità naturale almeno temporanea dovrebbe svilupparsi per un periodo di almeno 6-12 mesi (Ralph Baric, intervista sul “The Week in Virology podcast” – ricordo che Baric sta ai coronavirus come Maradona sta al calcio).
[ora sappiamo che 20-50% delle persone hanno immunità cellulare crociata verso SARS-CoV-2 pur non avendo mai contratto l’infezione, mentre sulla durata dell’immunità naturale ancora per ovvii motivi non possiamo pronunciarci]
#6. TERAPIE. Al momento la cosa più importante nei casi severi o critici di COVID-19 – che sono una minoranza – é il supporto respiratorio, mentre non ci sono “farmaci magici” che fanno guarire dalla malattia, né in Russia né altrove. Però ragionevoli speranze vengono da antivirali come il Remdesivir, e immunomodulatori come Tocilizumab, Baraticinib, ed altri. Ricordo che queste ultime sono terapie da riservare a casi severi o critici, mentre quelli lievi e moderati guariscono da soli o con terapia sintomatica.
[in 6 mesi sono stati fatti grandi progressi: desametazone, eparina, remdesivir, baricitinib, tocilizumab, plasma convalescente… e soprattutto gli anticorpi monoclonali sono dietro l’angolo e promettentissimi]
#7. VACCINO. Si sta lavorando alacremente soprattutto qui negli USA su diverse piattaforme vaccinali, in particolare vaccini a RNA e vaccini a base della proteina spike (S) ricombinante. Questi vaccini potrebbero essere pronti per gli studi clinici iniziali (safety + immunogenicity) entro il prossimo autunno, anche se per studi di efficacia clinica vera e propria ci vorranno probabilmente 12-18 mesi.
[qui ero stato addirittura pessimista, visto che i dati degli studi di efficacia clinica per i primi candidati saranno pronti tra poche settimane, e le speranze di successo sono molto grandi!]
#8. EFFETTO TEMPERATURA. Continuano ad esserci indizi – non prove, ma certamente indizi – che i danni della pandemia di COVID-19 possano almeno in parte attenuarsi con l’arrivo della primavera. In questo senso sarà importante seguire l’andamento dell’epidemia in Africa, America Latina e Sud-Est Asiatico, in particolare Malaysia, Indonesia, Philippines, India e Bangladesh (e forse anche nell’Italia del Sud).
[di questo abbiamo parlato ampiamente nei giorni scorsi, sul tema della stagionalità, e certamente in Italia l’estate, ormai giunta alla fine, è stata un momento di lunga tregua in termini di danni da COVID-19]
#9. EFFETTO CIARLATANI. Per favore smettiamo una volta per tutte di ascoltarli. Mi riferisco sia ai ciarlatani in malafede — che sono solo degli sciacalli, cialtroni ed accattoni — che a quelli, ahimé, in buonafede, cioè persone credulone ed impaurite che spargono disinformazione perché, molto semplicemente, non sanno di cosa stanno parlando. La disinformazione non serve mai a nulla, in generale e tanto meno in una situazione come questa.
[avevo ragione, anche se tacitare i nano-ciambotti è come spalare l’acqua col forcone ? ]
#10. OTTIMISMO, SEMPRE E COMUNQUE. Io rimango nonostante tutto fermamente ottimista, e sono convinto che tra qualche mese torneremo a vivere come prima – anzi, che vivremo meglio di prima, se da questa grande paura avremo imparato le giuste lezioni, come scienziati, come cittadini (sia in Italia che in USA) e come umanità in generale. Perché questa è la vera, grande sfida che dobbiamo vincere tutti insieme – anche per onorare nel modo migliore possible le vittime di questa malattia.
[avevo ragione, siamo tornati a vivere (quasi) come prima, e dobbiamo avere ancora un po’ di pazienza, usare le ben note precauzioni, ma essere consapevole che con l’arrivo ormai imminente di anticorpi e vaccini la scienza vincerà la guerra contro COVID-19]

3. [articolo di Mark Woolhouse, The Telegraph, 19 settembre 2020]
IL LOCKDOWN HA FALLITO. DOBBIAMO SEGUIRE IL MODELLO SVEDESE ED IMPARARE A CONVIVERE CON COVID
<<L’ultimo aumento degli infezioni dovrebbe essere più un ondina che una seconda ondata e la nostra risposta deve essere proporzionata.
Sapevo che un secondo lockdown era possible prima ancora di aver vissuto il primo. A metà marzo il mio gruppo di ricerca alla Università di Edinburgh aveva sviluppato un modello del lockdown che finiva a giugno e che era seguito da un lento, inizialmente quasi impercettibile aumento dei casi durante l’estate, portando ad un secondo lockdown alla fine di settembre.
Sapevamo che questo scenario era probabile perché sapevamo che il lockdown era una soluzione nel breve termine, ma non nel lungo termine. Non importa quanto saremmo stati attenti nel ridurre le restrizioni: presto sarebbe venuto il momento in cui l’epidemia sarebbe ripartita, e nel Regno Unito il momento è adesso.
Però adesso non siamo a metà marzo. Allora i casi e le morti raddoppiavano ogni 3-4 giorni. A metà settembre, i casi raddoppiano ogni 7-14 giorni, e le morti ancora più lentamente. Anche questo era da aspettarsi: il modo in cui viviamo adesso non è quello di prima e non permette al virus di diffondersi così facilmente, ed è per questo che ho parlato di ondina e non di seconda ondata.
Chiaramente ci vuole una qualche risposta, ma questa deve essere proporzionata. Un suggerimento è quello del cosiddetto “circuit breaker” (rompere il circuito), la versione in termini di distanziamento sociale di un breve ed acuto “shock” per ridurre la diffusione del virus nel giro di due settimane. Il virus tornerà, ma avremo guadagnato del tempo prezioso (in prospettiva vaccino, ndr).
E’ una grossa delusione vedere che sei mesi dopo l’inizio della pandemia, avendo rifiutato ogni alternativa, torniamo a parlare di lockdown, una strategia che ha ovviamente fallito un po’ dappertutto nel mondo. Il lockdown del marzo scorso è stato troppo duro, ha fallito miseramente nel proteggere i soggetti più fragili, e non aveva una exit strategy. Se si farà un “circuit breaker” questo dovrà essere limitato il più possible per ridurre gli effetti collaterali soprattutto in termini di scuola e sanità, ma anche di imprese e servizi; deve concentrarsi nel proteggere gli anziani ed i malati, e deve essere limitato nel tempo, costi quello che costi.
Dovremmo anche stabilire delle regole chiare. Primo, usiamo interventi per i quali c’è evidenza che servano a qualcosa (e non, per esempio, la regola del sei applicata ai bambini, oppure le restrizioni per le attività all’aperto, che sono a bassissimo rischio di infezione). Secondo, dobbiamo avere un piano chiaro per come usare il tempo che guadagneremo, per esempio aumentando la nostra capacità di testare. Terzo, dobbiamo trovare un accordo su una strategia di lungo termine che non consista in un continuo aprire-chiudere fin quando non arriva un vaccino. Dobbiamo assolutamente evitare che la cura diventi peggiore della malattia.
La strategia a lungo termine deve essere un approccio basato sull’analisi dei rischi e che punta alla convivenza con COVID-19. Questo è ovviamente un virus antipatico, ma per la grande maggioranza delle persone non è cosi’ antipatico da farci decidere di distruggere le nostra società per rispondere alla sua minaccia. Possiamo aiutare le persone a valutare il rischio per loro stessi e per le persone a loro vicine, dare la possibilità a tutti di mitigare al massimo questi rischi, facendo il possible per proteggere le persone più vulnerabili, e quindi minimizzando tutti insieme il bisogno di interventi da parte del governo. Funzionerebbe? Sembra funzionare in Svezia.>>
4. UN GRANDE GRAZIE A TUTTI!
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