“L’Etna è notoriamente un vulcano attraversato da faglie sismogenetiche che segnano il territorio, producendo scarpate morfologiche di origine tettonica alte fino a varie decine di metri. Si tratta di faglie attive e capaci (dette tecnicamente FAC), cioè faglie che si sono mosse almeno una volta negli ultimi 40 mila anni e che tagliano la superficie topografica producendo una dislocazione permanente del terreno”, riporta un articolo pubblicato sul blog INGVterremoti a cura di Marco Neri (INGV – Osservatorio Etneo) e Maria Letizia Carbone (Agenzia Nazionale Invitalia).
Terremoti ed eruzioni laterali: parenti stretti!
“Il sisma di magnitudo Mw 4.9 che il 26 dicembre 2018 ha colpito il fianco sud-orientale dell’Etna ha causato danni ingenti (Figura 1) in un territorio vasto oltre 250 chilometri quadrati, coinvolgendo nove comuni etnei abitati da oltre 140 mila persone. Il sisma è stato generato dal movimento della faglia di Fiandaca ed è avvenuto nel corso di una brevissima (24-27 dicembre) ma potenzialmente pericolosa eruzione “laterale”, cioè un’eruzione emergente non dalle bocche sommitali dell’Etna, bensì da fessure eruttive che si sono aperte lungo il suo fianco sud-orientale fino a raggiungere una quota minima di 2400 metri sul livello del mare.
Il dicco magmatico che è risalito in superficie alimentando l’eruzione ha anche deformato poderosamente i fianchi dell’apparato vulcanico, innescando il movimento di numerose strutture tettoniche, tra cui, appunto la faglia di Fiandaca”, si legge nell’articolo.
L’esperienza dei ricercatori INGV al servizio della ricostruzione
Su impulso del Commissario Straordinario designato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per la ricostruzione dell’area etnea colpita dal sisma, l’INGV ha messo a disposizione l’esperienza di ricercatori altamente specializzati nel rilevamento geo-strutturale e nella pianificazione territoriale di aree vulcano-tettoniche attive (Figura 2), per l’elaborazione di una mappa statica ed interattiva (WebGIS) delle “microzone omogenee” delle faglie etnee attivate dal sisma del 2018, pubblicata il 18 agosto 2020 sul sito web del Commissario (https://commissariosismaareaetnea.it/).
Il team di ricercatori e professionisti individuati dal Commissario, composto anche da geologi del Genio Civile di Catania e dell’Agenzia nazionale Invitalia, ha lavorato confrontando i rilievi geostrutturali di terreno con i numerosi studi (aerofotogrammetrici, geofisici, satellitari) pubblicati su riviste scientifiche nazionali ed internazionali e avvalendosi, inoltre, dei dati acquisiti dal gruppo specializzato EMERGEO dell’INGV. Tutte le fasi dello studio sono state condivise con il Dipartimento della Protezione Civile nazionale e della Regione Siciliana.
La faglia di Fiandaca ed il sisma del 26 dicembre 2018
“La Faglia di Fiandaca si estende per una lunghezza di una decina di km circa; è orientata in senso NO-SE nella porzione settentrionale posta a quota più elevata (tra 850 e 400 metri circa sul mare, Figura 3) ed in senso NNO-SSE nella sua porzione meridionale, tra 400 e 240 m circa di quota. Questa disposizione geografica causa il più frequente ricoprimento lavico della porzione di faglia posta a quota maggiore, tra Monte Ilice e Pennisi, poiché tale zona è più facilmente soggetta all’invasione lavica per la sua prossimità a coni piroclastici laterali del vulcano appartenenti al Rift di Sud. In tale zona, la faglia si attiva prevalentemente con movimenti di trascorrenza destra che non producono, quindi, scalini morfologici significativi. Muovendosi lungo la faglia verso quote minori, essa mostra una crescente componente di movimento verticale di tipo diretto, che in alcuni casi forma un gradino morfologico ben riconoscibile sul terreno. La porzione meridionale della faglia di Fiandaca è, inoltre, interessata da fenomeni di creep asismico, ovvero lenti ma continui movimenti della faglia stessa che non generano terremoti. Prima del dicembre 2018, la faglia di Fiandaca ha prodotto altri terremoti rilevanti che hanno causato danni al patrimonio urbano e vittime, come nel 1894 e nel 1984″.
“Il sisma del 26 dicembre 2018 è stato caratterizzato da un epicentro ubicato circa 1 km ad ovest di Pennisi (frazione di Acireale), con ipocentro estremamente superficiale (con quota prossima al livello del mare) ed ha prodotto l’emersione in superficie dei piani di faglia, con la conseguente fratturazione cosismica dei terreni in una fascia di territorio lunga una decina di chilometri. Il meccanismo focale è stato di tipo transtensivo, confermato dal tipo di rotture cosismiche registrate al suolo. L’evento è stato avvertito nel settore sud-orientale del vulcano, con maggiori risentimenti e danni distribuiti sui manufatti ubicati lungo la faglia di Fiandaca“, riporta ancora l’articolo.
Mappa delle microzone omogenee delle faglie etnee connesse al sisma
“La mappa è stata elaborata secondo le Linee Guida per la gestione del territorio in aree interessate da Faglie Attive e Capaci (FAC). Essa individua sia le faglie che si sono attivate in occasione del sisma, sia le zone caratterizzate da maggiore pericolosità sismica nel territorio, distinguendole in Zone di Attenzione (ZAFAC), Zone di Suscettibilità (ZSFAC) e Zone di Rispetto (ZRFAC) (Figura 4). La mappa mostra sia faglie certe e definite (FAC_a), in cui il piano di rottura principale ed i fenomeni cosismici ad esse collegati sono riconosciuti con certezza, sia faglie incerte (FAC_b), per le quali gli elementi che compongono una faglia attiva e capace e i fenomeni cosismici collegati non sono cartografabili con certezza e/o dettaglio, per assenza di dati o perché non possono essere identificati, per esempio nelle zone di trasferimento tra un segmento di faglia e l’altro o, laddove esistono, gap strutturali, erosione dei terreni, coperture recenti che obliterano i piani di faglia”.
La Zona di Suscettibilità ZSFAC è l’area nella quale sono localizzate sia la traccia del piano di rottura principale della faglia attiva e capace, sia altre possibili strutture tettoniche secondarie associate al piano di rottura principale, nonché le zone di trasferimento tra segmenti distinti della faglia. Nel caso in esame, tale zona è stata perimetrata non soltanto per quelle faglie attive e capaci le cui informazioni disponibili non permettono di definire con chiarezza la traccia principale della faglia e gli elementi secondari ad essa associati (per es., zone dove il piano di faglia non affiora, zone di trasferimento tra faglie, etc.), bensì anche laddove la faglia è stata individuata con precisione e quindi è stata dotata nel suo intorno della Zona di Rispetto ZRFAC. Questo approccio risponde alla necessità di operare con estrema cautela e con ampi margini di sicurezza in una zona ad alto rischio sismico. La ZSFAC è stata individuata per tutti i tipi di FAC adottando un’ampiezza minima pari a 160 m a cavallo del piano di rottura principale e delle zone di trasferimento tra segmenti distinti della faglia, raccordando graficamente le zone. In alcuni casi, la ZSFAC è stata definita in modo asimmetrico rispetto alla traccia del piano principale di rottura della faglia attiva e capace, coprendo in modo differente i lati rialzato e ribassato delle faglie, in funzione della loro cinematica, cioè del tipo di movimento che avviene tra i blocchi di terreno separati dalla faglia.
La Zona di Rispetto ZRFAC è l’area individuata intorno alla traccia del piano di rottura principale della faglia attiva e capace, identificata con certezza. Anche la ZRFAC può essere asimmetrica rispetto alla traccia, in funzione della cinematica della faglia ed è contenuta nella ZSFAC, anche se tra le due zone non c’è sovrapposizione. In altre parole, un punto sulla mappa topografica può essere qualificato come ricadente o nella ZSFAC o nella ZRFAC, laddove individuata. La ZRFAC è disegnata a cavallo del piano di rottura principale ed è costruita una con una larghezza minima di 30 m.
La versione WebGIS della mappa: un utile strumento di “diffusione di massa”
“La versione WebGIS della mappa permette di “navigare” sul territorio scegliendo tra diversi tipi di visualizzazione geografica, evidenziando le faglie e le zone pericolose ed individuando la posizione di un determinato sito di interesse, come la propria casa, semplicemente digitando il suo indirizzo nell’apposita casella dell’applicazione. La mappa interattiva potrà essere aggiornata man mano che verranno acquisite le ulteriori risultanze delle indagini geologiche e geofisiche previste dal Commissario per ogni singola istanza di contributo per la ricostruzione”.
La ricerca INGV applicata al territorio ed i risvolti di utilità pubblica
“Questo lavoro rappresenta, a nostro avviso, un’esperienza particolarmente importante, nella quale la ricerca scientifica è stata applicata al territorio. Un approccio che ha consentito di tradurre in documentazione tecnica comprensibile alcune attività di studio a volte molto complesse condotte sull’Etna e su altri vulcani italiani e del mondo, maturate dai ricercatori dell’INGV in decenni di esperienza, offrendo il risultato a tutta la popolazione con risvolti di grande utilità pubblica.
In particolare, la mappa rappresenta un risultato imprescindibile per la Struttura Commissariale e per le popolazioni terremotate, poiché consente di procedere rapidamente ed in sicurezza alla ricostruzione del territorio interessato dal sisma del 26 dicembre 2018 (Figura 5). Le persone che abitano sulle pendici dell’Etna sono consapevoli della pericolosità geo-vulcanologica e sismica del vulcano, ma il recente sisma ha prodotto anche una vistosa fagliazione superficiale, delle vere e proprie spaccature del terreno che si sono propagate anche nelle aree urbanizzate, danneggiandole gravemente. In questi casi, quindi, per una ottimale gestione del territorio si deve tener conto non soltanto dello scuotimento generato dal sisma ma, altresì, occorre considerare la formazione di fratture superficiali che possono produrre una deformazione permanente del suolo e che condizionano, quindi, le scelte da operare nella pianificazione della ricostruzione”.
“In definitiva, un risultato importante sia per la gestione dell’attuale fase di ricostruzione delle zone terremotate, sia per la pianificazione territoriale futura dei siti interessati, in zone caratterizzate da un alto rischio sismico e vulcanico”, concludono gli esperti nel loro articolo.
Riferimenti bibliografici per approfondire
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