Ah, che bellu ccafè
pure ‘n carcere ‘o sanno fà
co’ ‘a recetta ch’a Cicirinella
compagno di cella ci ha dato mammà.
Questa canzone di Fabrizio De Andrè, la notissima Don Raffaè, e solo una delle tante che in Italia parlano e celebrano una delle bevande più amate nel Bel Paese: il caffè. Amato da secoli e talmente seducente da far pensare che nei suoi fondi si possa leggere il futuro, il caffè è da sempre una bevanda discussa, amata e disprezzata allo stesso tempo. I musulmani, per diverso tempo, lo impiegarono nei riti religiosi: i mistici sufi lo usavano per riuscire a restare svegli durante le lunghe veglie di preghiera. In altre epoche venne considerata bevanda da ricchi, degna solo di re ed imperatori.
Gli effetti stimolanti del caffè si conoscono fin dalla notte dei tempi, tanto che già il suo primo nome, ovvero quello arabo, qahwa, significa proprio eccitante. Ma questa etimologia è incerta, perché potrebbe anche richiamare il luogo originario delle piante, ovvero Caffa, in Etiopia. Fu proprio da lì, infatti, che tra il XIII e il XIV secolo, gli etiopi portarono il caffè nello Yemen, nel corso delle loro campagne militari. E fu nello Yemen che le piantine di caffè trovarono terreno fertile per dare il meglio di sé, tanto che vennero coltivate anche nei giardini e nelle terrazze. Da queste terre, poi, il caffè venne esportato verso Nord, in Arabia. A La Mecca o a Medina, già alla fine del XV secolo, nacquero dei veri e propri luoghi dove ci si incontrava appositamente per degustare la preziosa bevanda.
Nel XVI secolo tocco alla città de Il Cairo, in Egitto, diventare protagonista nello smistamento del caffè: qui mercanti o semplici pellegrini lo acquistavano in grandi quantità per poi esportarlo nel resto del mondo. A favorire ancora di più questa diffusione fu la religione islamica: i suoi precetti proibivano di bere vino, che venne così sostituito dal caffè, da sempre concesso. Fu nel XVII secolo che, quello che ormai veniva definito “il vino d’Arabia”, giunse in Europa e vi si stabilizzò. Già un secolo prima, in verità, a Venezia era possibile acquistare i semi della Coffea arabica tra gli scaffali degli speziali, ma i prezzi proibitivi non ne favorirono mai la diffusione e vennero utilizzati per lo più come medicamento.
Uno dei punti cruciali nella diffusione dello sviluppo del caffè in Occidente fu sicuramente la questione religiosa. Il diffuso utilizzo che ne facevano i musulmani fece sì che la bevanda fosse considerata adatta solo agli eretici, tanto che la Chiesa la definì “bevanda del diavolo”. Era una miscela preziosa, avversata da un lato e desiderata dall’altro lato: basti pensare che persino il mondo musulmano ne vietò il consumo alle donne, come se fosse un bene da preservare per il solo genere maschile, quello dominante. A suggellare anche l’ingresso del caffè anche nel mondo cattolico fu niente meno che un papa, il quale ‘battezzò’ la bevanda rendendola cristiana. Erano numerosi, infatti, i componenti del clero che trovavano inappropriato per dei cristiani berlo proprio perché, arrivando dall’Oriente e soprattutto dal mondo musulmano, la consideravano appunto una “bevanda da infedeli”.
Papa Clemente VIII, 231º papa della Chiesa cattolica e sovrano dello Stato Pontificio dal 1592 alla sua morte, il quale era un accanito consumatore di caffè, sentenziò che la bevanda era troppo buona per lasciarlo solo ai Turchi e per convincere anche i cristiani più radicali, organizzò una cerimonia di battesimo per far diventare “cristiano” anche il caffè. Si trattò di un evento più scherzoso che religioso, ma divenne emblema dello sdoganamento dell’ormai storica bevanda anche nel mondo cattolico.