Coronavirus, il cardiologo Romeo: “Perdiamo il 50% dei ricoveri di malati a rischio vita”

"Stiamo perdendo il 50% di quei pazienti che ci segnalano una sintomatologia non acuta, non da infarto in atto, ma che avremmo potuto ospedalizzare intercettando una sindrome coronarica a rischio di morte improvvisa"
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Nei reparti di cardiologia italiani “stanno crollando i ricoveri di elezione per malattie cardiovascolari. Significa che stiamo perdendo il 50% di quei pazienti che ci segnalano una sintomatologia non acuta, non da infarto in atto, ma che avremmo potuto ospedalizzare intercettando una sindrome coronarica a rischio di morte improvvisa”. E’ l’allarme lanciato da Francesco Romeo, direttore dell’Unità operativa complessa di Cardiologia del Policlinico Tor Vergata di Roma, che in questa nuova ondata di Covid-19 vede “dimezzata la capacità ricettiva di un reparto ad altissimo volume come il mio – segnala l’esperto all’Adnkronos Salute – che in genere era tutto pieno“.

“Abbiamo perso 4 mesi”, denuncia Romeo. Un tempo che si sarebbe potuto utilizzare per riorganizzare la ripresa dell’attività ospedaliera dopo i primi mesi dell’emergenza coronavirus. Ora invece “è un disastro dal mio punto di vista”, quello di chi conosce i problemi perché “li vivo ogni giorno”, mentre “i colleghi che in ospedale non ci lavorano parlano solo di cose generiche”. Non a caso nella primavera scorsa, durante le settimane più dure dello tsunami Sars-CoV-2, lo specialista era stato il primo a denunciare “un calo degli accessi di pazienti con infarto nei nostri Pronto soccorso, pari al 30-40% tra febbraio e marzo. E le persone che arrivano in ospedale lo fanno tardivamente – spiegava – anche dopo 5 giorni, per la paura di essere contagiati” dal nuovo nemico invisibile. E adesso? “Sono convinto che in questo momento già un 15-20% di pazienti li stiamo di nuovo perdendo”, risponde Romeo. Ma se “la rete dell’emergenza ancora tiene, la nuova difficoltà” descritta dall’esperto è che “per una serie di ostacoli burocratici stanno crollando i ricoveri di elezione”. Quelli dei “pazienti che ci chiamano perché hanno un fastidio toracico non necessariamente spia di infarto e shock cardiogeno, bensì segno di una patologia sottostante comunque potenzialmente letale”.

Ospedalizzando questi malati con sintomi subdoli e ancora “clinicamente non molto evidenti”, come sarebbe normale fare ‘in tempo di pace’, “potremmo intercettare la loro patologia – assicura Romeo – e riusciremmo a salvarli”. Invece c’è una pandemia in corso, e in questo post-lockdown che sta forse diventando un nuovo pre-confinamento, il cardiologo di Tor Vergata punta il dito contro “una serie di difficoltà burocratiche” che impediscono una corretta presa in carico dei pazienti cardiovascolari nei reparti in cui andrebbero ricoverati, diagnosticati e trattati. Perché “oggi – ricorda l’esperto – se uno si deve ricoverare in elezione deve fare un tampone il giorno precedente, non di quelli antigenici rapidi ma il classico tampone molecolare, e la gente fuori ha difficoltà ad accedere al tampone. E poi bisogna organizzare il ricovero con tutto ciò che comporta. Ma noi nella gestione delle malattie cardiovascolari non possiamo programmare queste cose: il paziente che ci contatta perché ha un disturbo al torace può essere un paziente molto grave non necessariamente per infarto, per sindrome coronarica acuta, bensì per una malattia coronarica ugualmente a rischio di morte inaspettata. Di questi malati ne stiamo perdendo la metà – ripete Romeo – persone che si sarebbero potute ricoverare in elezione“.

Che succede allora? “La soluzione che si prospetta a questi pazienti è il pronto soccorso. Purtroppo, però, in questo momento per il malato vuol dire recarsi in un luogo dove accanto a lui c’è un paziente che poi risulta Covid positivo. Non è una teoria, lo vediamo nella pratica”, garantisce lo specialista: “Io ho un’infinità di pazienti che arrivano, si fanno il tampone al pronto soccorso dove probabilmente contraggono l’infezione” da Sars-CoV-2, “per cui entrano con un tampone negativo e prima di uscire diventano positivi. Entrano negativi e diventano positivi nel percorso dal Pronto soccorso ai reparti, che così si svuotano”.

Senza contare poi, aggiunge Romeo, che “la gente ha paura di andare al Pronto soccorso. E davanti a una sintomatologia che non sia eclatante, che non dia un’immediata compromissione delle funzioni vitali, se ne sta a casa e magari è un infartuato che perdiamo. Vanno differenziati i percorsi” fra pazienti Covid e non Covid, e “vanno fatti i tamponi rapidi”, chiede l’esperto di Tor Vergata che insieme ai colleghi di altre discipline ha dato vita alla ‘Foce’, la Confederazione degli oncologi, cardiologi ed ematologi “proprio per segnalare quello che osserviamo nella realtà e per portarlo insieme all’attenzione delle istituzioni”. “Abbiamo sprecato 4 mesi – è la riflessione di Romeo – Ora si va di nuovo di corsa ad aprire le sale operatorie che diventano terapie intensive e non si fanno più gli interventi. Dal mio punto di vista, è un disastro”.

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