Da Robert Fitzroy e Lewis Fry Richardson alla geoingegneria, sviluppo ed evoluzione della meteorologia

La storia della meteorologia e l'evoluzione dell'approccio a questa magnifica scienza: un viaggio tra le nuvole
MeteoWeb

Le nuvole ci sorvolano ogni giorno, hanno il potere di dare la vita e di toglierla, tuttavia spesso le guardiamo a malapena, oggi vogliamo parlare di quanto siano importanti e di quale sia la reale connessione tra le nuvole del cielo e quelle, moderne, della terra, il famoso “cloud” che è entrato a far parte della vita di tutti noi.

Per tuffarci tra le nuvole, il nostro viaggio inizierà da lontano, esattamente dal 1859 quando, a causa di un disastroso evento, l’uomo, forse per la prima volta seriamente, cominciò a studiare le nuvole:

Siamo ad Anglesey, Galles, ed è il 25 Ottobre del 1859 quando una tempesta nei mari del nord causa il naufragio di una delle navi più incredibili del tempo, il Royal Charter.

Fu un evento drammatico che non lasciò scampo all’imbarcazione e all’equipaggio, morirono 450 persone su quella nave e altre 132 imbarcazioni scomparirono in quei mari durante questa tempesta. La notizia finì chiaramente su tutti i giornali dell’epoca e una delle persone che li leggeva era un capitano della marina in pensione, Robert Fitzroy.

Robert fu molto toccato dalla vicenda, non riusciva ad accettare che così tante persone avessero perso la vita in mare, pensò che bisognava agire, bisognava fare qualcosa per evitare questo tipo di drammi. Fitzroy ebbe un’idea rivoluzionaria per il tempo che fu indiscutibilmente pionieristica: pensò di posizionare stazioni metereologiche su tutta la costa britannica e irlandese, queste stazioni inviano un report giornaliero sulle condizioni metereologiche e furono collegate tra di loro per trasmettere i dati in diretta. Secondo Fitzroy infatti, conoscere e monitorare le condizioni climatiche in tutte le località della costa britannica poteva servire a prevedere quelle che sarebbero state le variazioni in uno specifico luogo.

Fitzroy cominciò a redigere un diario di bordo in cui registrava tutti i dati, questi documenti sono tutt’ora conservati e consultabili a Exeter, in Inghilterra. L’obiettivo di Fitzroy era cercare tempeste o eventi estremi che lo avrebbero aiutato a mettere in guardia altre località dell’Isola. Il 30 Luglio 1861, Robert Fitzroy, stila le prime previsioni del tempo della storia dell’umanità (coniandone anche il termine), prevedendo i venti e la pressione atmosferica che si sarebbero verificate il giorno seguente. Dai dati in possesso presso l’archivio di Exeter, pare che le previsioni furono azzeccate. Una rivoluzione incredibile che però non ebbe subito i risultati sperati.

Il clima e il tempo, fino a quel momento storico, erano sempre stati considerati frutto del caos o delle divinità, era molto complicato per Robert Fitzroy conquistare una vera credibilità da parte di stampa e istituzioni che avrebbero potuto supportarlo in questo progetto. E infatti, dopo alcune previsioni non azzeccate, la stampa e l’opinione pubblica cominciarono a muovere continue critiche nei confronti dell’operato di Robert che, dopo alcuni anni e non reggendo la pressione, una mattina diede un bacio a sua figlia e si tagliò la gola. Dopo questo tragico evento, lo stesso giornale che per tutto questo tempo aveva pubblicato le previsioni del tempo scrisse: “Mai più scienziati fidati si avventureranno a predire il tempo”.

Oggi ad Exeter sorge l’ufficio di previsioni del tempo dedicato a Fitzroy, il Met Office, con un tasso di precisione delle previsioni superiore al 90%, una bella rivincita. Sappiamo tutti però che oggi è più difficile sbagliare che azzeccare le previsioni del tempo e questo perché vengono fatte da potentissimi computer. Come si è arrivati alla costruzione di queste potentissime macchine che predicono il clima di ogni giorno?
Sicuramente le idee di Robert Fitzroy hanno dato il via e sono state all’avanguardia per il suo tempo, è stata però un’altra personalità britannica a prevedere più di 100 anni fa, come si sarebbero dovuti comportare i nostri moderni computer.

Lewis Fry Richardson, fu un matematico Inglese con la passione per il cielo, più di 50 anni dopo che Fitzroy inventò le previsioni del tempo, cercò un modo per renderle più precise e credibili.

Scrisse un libro, Le previsioni per processo numerico.

Richardson pensò a un modo di prevedere il tempo del tutto nuovo, egli pensava che il tempo e le condizioni climatiche sono qualcosa di fluido, per cui è impossibile prevederle in un punto preciso senza sapere come è nel punto vicino, ma non puoi prevederlo neanche in questo punto se non sai come è nel punto a fianco ad esso, e così via, applicato all’intero pianeta. Giunse quindi alla conclusione che per avere una previsione meteo accurata, bisogna averla per tutto il mondo. Come è possibile applicare una teoria del genere?

La sua idea era quella di dividere il mondo in una scacchiera gigante, ogni quadrato sarebbe stato responsabile del calcolo e la misurazione del proprio meteo. Non essendo ancora stati inventati i computer, l’unica soluzione era assegnare un quadrato ad una singola persona, un calcolatore umano.

Una delle cose più belle ritrovate nel suo libro fu la descrizione di come, secondo lui, sarebbe stato possibile realizzare questo progetto con le persone, e qui riportiamo di seguito la sua romantica immagine:

Dopo tanto duro ragionamento, si può giocare con la fantasia, immaginiamo un grande teatro. Le pareti della galleria sono dipinte per rappresentare la mappa del globo. Il soffitto rappresenta il polo nord, l’Inghilterra nella galleria, i tropici nel cerchio superiore, l’Australia nel cerchio dei vestiti e l’Antartide nel pavimento.

Una miriade di persone sono al lavoro sulle condizioni metereologiche della parte della mappa in cui si trovano ciascuno di loro, ma ogni persona si occupa solo di un’equazione o di una parte di equazione. Il lavoro di ogni regione è coordinato da un funzionario di grado superiore. Numerosi piccoli “segnali” visualizzano i valori istantanei in modo che le persone vicine possano leggerli. Ogni numero viene quindi visualizzato in tre zone adiacenti in modo da mantenere la comunicazione tra nord e sud nell’intero globo.

Quattro impiegati anziani sul pulpito centrale stanno raccogliendo il tempo futuro alla stessa velocità con cui viene calcolato e lo spediscono in una stanza tranquilla con un trasportatore. Lì sarà codificato e inviato tramite radio.”

Richardson, più di cento anni fa, aveva esattamente predetto come sarebbero state le previsioni del tempo ai giorni nostri.

Gli attuali computer infatti, svolgono esattamente questo lavoro di codificazione che ci permette di conoscere i cambiamenti climatici in anticipo.

Ma Richardson fu anche profetico sotto un altro aspetto. Dai suoi documenti e libri infatti si intuisce chiaramente come egli immaginava effettivamente una vera e propria rete di computer interconnessi tra loro che avrebbero lavorato insieme, lo vedeva chiaramente ma non poteva metterlo in pratica non avendo la materia prima, ma ora noi stiamo vivendo nel suo “sogno”, un sogno chiamato “Cloud”.

Se internet è una rete globale di computer collegati tra loro, il termine cloud (nuvola) descrive come usare quella rete: per mettere insieme tutta la nostra potenza di calcolo, accedere ai file in qualunque posto della Terra e collaborare in tempo reale. Richardson aveva quasi previsto tutto questo.

Il Cloud fa parte della vita di tutti noi, ogni giorno e ha portato una serie di vantaggi che tutti, più o meno, conosciamo.

In alcuni Paesi del mondo, per esempio in Estonia, tutta la burocrazia è gestita tramite cloud apportando un miglioramento della qualità della vita e innalzamento di livelli di sicurezza che non ha eguali.

La Nasa utilizza il cloud anche per prevedere, in connessione alle previsioni del tempo, quando e dove si verificheranno epidemie di un certo tipo. Insomma, un’evoluzione incredibile soprattutto avvenuta in un lasso di tempo molto breve.

Una domanda è giusto porsi arrivati a questo punto: tutte queste informazioni che viaggiano nel cloud, relative a persone, istituzioni, anche questo stesso articolo, dove sono custodite fisicamente?

Le infrastrutture di internet in realtà sono molto terrestri e poco hanno a che fare con le nuvole del cielo. Ogni server e centro data che compone il cloud è sulla terra, fisicamente e probabilmente quando carichiamo qualcosa sul cloud, non la stiamo mandando in alto, ma la stiamo mandando verso il basso, esattamente nell’Oceano.

Il cloud non è altro che un cavo di fibre ottiche lungo centinaia di milioni di metri che scorre sotto il mare. Questo cavo è in continua evoluzione ed è unico, non deve essere mai interrotto o spezzato e viene “allungato” e sistemato da apposite imbarcazioni che quotidianamente hanno l’obiettivo di non farlo esaurire.

I cavi in questione sono costituiti da un nucleo con fibre di vetro che trasportano impulsi di luce (segnali per internet).

Questi cavi sono sottili e le informazioni di cui noi tutti usufruiamo sul web, viaggiano attraverso questi cavi, alla velocità della luce.

Ad oggi esistono già più di due milioni di chilometri di cavi che collegano un Continente all’altro. Abbastanza per andare sulla Luna e tornare indietro…tre volte!

Tutti questi viaggi transoceanici, hanno un costo.

A quanto pare l’invio di questi dati in tutto il mondo, ha un grosso inconveniente: assorbe energia.

Una singola ricerca su google richiede la stessa energia di una normale luce a led accesa per tre minuti. Non sembra molto ma pensiamo a quante ricerche su google si fanno in una giornata, una settimana, un anno e moltiplichiamolo per la metà della popolazione mondiale.

Pensiamo per quante cose ci affidiamo alla rete, ogni giorno.

La verità è che, il Cloud costa circa il 2% della bolletta elettrica mondiale, gran parte della quale proviene da fonti non rinnovabili.

Emette la stessa quantità di CO2 dell’intero settore aereo.

Sembra un paradosso ma, più CO2 emettiamo, più caldi, caotici e alti saranno i nostri oceani e quindi, più saranno in pericolo i cavi sottomarini.

Ma non è solo il Cloud ad essere a rischio, lo sono anche le nuvole, quelle vere.

E qui torniamo alle nuvole del cielo: Tapio Schneider, ricercatore senior del laboratorio di propulsione della NASA, studia quelli che possono e potranno essere le evoluzioni delle nuvole sulla Terra.

La sua ricerca si concentra sugli stratocumuli che sono le nuvole più presenti sulla Terra, il 45% circa del cielo ne è coperto. Queste nuvole riflettono la luce del sole e raffreddano la superfice terrestre sottostante, raffreddandosi a loro volta e rilasciando calore più in alto, nell’atmosfera.

Secondo Schneider, il cambiamento climatico rischia di minacciare questo processo. Immettendo infatti più gas serra nell’atmosfera, tutti i gas presenti sopra le nuvole rendono difficile alle stesse di raffreddarsi, irradiando il calore verso l’alto. Il raffreddamento è molto importante perché nutre le nuvole e le tiene in vita.

Tapio prevede che, se i livelli di gas serra continueranno a salire come in questo momento, gli stratocumuli potrebbero scomparire completamente, anche nel giro di 100 anni!

Perdendo gli stratocumuli avremo un aumento globale della temperatura che potrà arrivare fino a +8°C, il che renderebbe alcune parti del pianeta oggi abitate, completamente invivibili. Schneider è comunque ottimista sul fatto che possiamo limitare le nostre emissioni di gas serra ed evitare così l’estinzione delle nuvole. Come l’uomo si è evoluto in tantissimi aspetti, potrà sicuramente continuare a farlo ed ovviare a una minaccia del genere. In realtà qualcosa già esiste a riguardo.

Siamo a San Angelo, Texas, dove la West Texas Weather Modification Association, si occupa di generare pioggia. Ebbene sì, avete capito bene, questo team di meteorologi, scienziati e ricercatori, ha ideato un metodo ormai da diversi anni per ovviare ai problemi di siccità del Texas degli ultimi tempi. Per poter piovere, le gocce all’interno delle nuvole devono essere abbastanza pesanti da poter cadere, purtroppo però questo processo è diventato molto raro o addirittura quasi del tutto estinto in alcune parti del mondo, compreso il Texas occidentale.

La tecnica di questa associazione è quella di immettere, all’interno di nuvole già esistenti, Ioduro di argento, volando all’interno delle nuvole.

Lo Ioduro d’argento è abbastanza leggero da essere risucchiato nelle nuvole dove la sua struttura cristallina induce le goccioline d’acqua a congelarsi, creando ghiaccio che è abbastanza pesante da cadere a terra, sciogliendosi durante la discesa. Questa tecnica è ormai diventata consueta in molti Paesi per combattere la siccità. Non può essere una soluzione al problema del riscaldamento globale, ma è certamente incoraggiante.

Alla fine di questo piccolo viaggio tra le nuvole, è curioso pensare come in poco più di un secolo e mezzo siamo passati dal prevedere le nuvole al cercare di ingegnerizzarle.

Di fronte alle catastrofi delle loro epoche, Fitzroy e Richardson, avevano bisogno di innovazione per prevederle ed evitarle. Sapevano che per affrontare un problema che sfida i confini, bisognava costruire un sistema che li trascendesse.

Il Cloud è sicuramente il nostro modo migliore per farlo e, certo, ha un costo molto importante, che dobbiamo trovare il modo di pagare con fonti rinnovabili, ma ci serve. Perché è il modo migliore per vivere, lavorare e pensare insieme.

Qualsiasi cosa faremo per cercare di evitare le minacce che il futuro ci presenterà, dovremo farla in fretta e dobbiamo farla insieme, se vogliamo salvare le nuvole e il resto del nostro pianeta, dobbiamo mettere a punto l’idea di Richardson e del suo Teatro internazionale, composto da un’orchestra di calcolatori, dobbiamo utilizzare ancora più chilometri di tubi a prova di squalo sotto i nostri oceani e dobbiamo connetterci.

Quello che ci serve, non è altro che un lampo di genio globale.

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