Le nuvole ci sorvolano ogni giorno, hanno il potere di dare la vita e di toglierla, tuttavia spesso le guardiamo a malapena, oggi vogliamo parlare di quanto siano importanti e di quale sia la reale connessione tra le nuvole del cielo e quelle, moderne, della terra, il famoso “cloud” che è entrato a far parte della vita di tutti noi.
Per tuffarci tra le nuvole, il nostro viaggio inizierà da lontano, esattamente dal 1859 quando, a causa di un disastroso evento, l’uomo, forse per la prima volta seriamente, cominciò a studiare le nuvole:
Siamo ad Anglesey, Galles, ed è il 25 Ottobre del 1859 quando una tempesta nei mari del nord causa il naufragio di una delle navi più incredibili del tempo, il Royal Charter.
Il clima e il tempo, fino a quel momento storico, erano sempre stati considerati frutto del caos o delle divinità, era molto complicato per Robert Fitzroy conquistare una vera credibilità da parte di stampa e istituzioni che avrebbero potuto supportarlo in questo progetto. E infatti, dopo alcune previsioni non azzeccate, la stampa e l’opinione pubblica cominciarono a muovere continue critiche nei confronti dell’operato di Robert che, dopo alcuni anni e non reggendo la pressione, una mattina diede un bacio a sua figlia e si tagliò la gola. Dopo questo tragico evento, lo stesso giornale che per tutto questo tempo aveva pubblicato le previsioni del tempo scrisse: “Mai più scienziati fidati si avventureranno a predire il tempo”.
Sicuramente le idee di Robert Fitzroy hanno dato il via e sono state all’avanguardia per il suo tempo, è stata però un’altra personalità britannica a prevedere più di 100 anni fa, come si sarebbero dovuti comportare i nostri moderni computer.
Scrisse un libro, Le previsioni per processo numerico.
Richardson pensò a un modo di prevedere il tempo del tutto nuovo, egli pensava che il tempo e le condizioni climatiche sono qualcosa di fluido, per cui è impossibile prevederle in un punto preciso senza sapere come è nel punto vicino, ma non puoi prevederlo neanche in questo punto se non sai come è nel punto a fianco ad esso, e così via, applicato all’intero pianeta. Giunse quindi alla conclusione che per avere una previsione meteo accurata, bisogna averla per tutto il mondo. Come è possibile applicare una teoria del genere?
Una delle cose più belle ritrovate nel suo libro fu la descrizione di come, secondo lui, sarebbe stato possibile realizzare questo progetto con le persone, e qui riportiamo di seguito la sua romantica immagine:
Una miriade di persone sono al lavoro sulle condizioni metereologiche della parte della mappa in cui si trovano ciascuno di loro, ma ogni persona si occupa solo di un’equazione o di una parte di equazione. Il lavoro di ogni regione è coordinato da un funzionario di grado superiore. Numerosi piccoli “segnali” visualizzano i valori istantanei in modo che le persone vicine possano leggerli. Ogni numero viene quindi visualizzato in tre zone adiacenti in modo da mantenere la comunicazione tra nord e sud nell’intero globo.
Quattro impiegati anziani sul pulpito centrale stanno raccogliendo il tempo futuro alla stessa velocità con cui viene calcolato e lo spediscono in una stanza tranquilla con un trasportatore. Lì sarà codificato e inviato tramite radio.”
Gli attuali computer infatti, svolgono esattamente questo lavoro di codificazione che ci permette di conoscere i cambiamenti climatici in anticipo.
Ma Richardson fu anche profetico sotto un altro aspetto. Dai suoi documenti e libri infatti si intuisce chiaramente come egli immaginava effettivamente una vera e propria rete di computer interconnessi tra loro che avrebbero lavorato insieme, lo vedeva chiaramente ma non poteva metterlo in pratica non avendo la materia prima, ma ora noi stiamo vivendo nel suo “sogno”, un sogno chiamato “Cloud”.
Se internet è una rete globale di computer collegati tra loro, il termine cloud (nuvola) descrive come usare quella rete: per mettere insieme tutta la nostra potenza di calcolo, accedere ai file in qualunque posto della Terra e collaborare in tempo reale. Richardson aveva quasi previsto tutto questo.
In alcuni Paesi del mondo, per esempio in Estonia, tutta la burocrazia è gestita tramite cloud apportando un miglioramento della qualità della vita e innalzamento di livelli di sicurezza che non ha eguali.
Una domanda è giusto porsi arrivati a questo punto: tutte queste informazioni che viaggiano nel cloud, relative a persone, istituzioni, anche questo stesso articolo, dove sono custodite fisicamente?
Il cloud non è altro che un cavo di fibre ottiche lungo centinaia di milioni di metri che scorre sotto il mare. Questo cavo è in continua evoluzione ed è unico, non deve essere mai interrotto o spezzato e viene “allungato” e sistemato da apposite imbarcazioni che quotidianamente hanno l’obiettivo di non farlo esaurire.
Questi cavi sono sottili e le informazioni di cui noi tutti usufruiamo sul web, viaggiano attraverso questi cavi, alla velocità della luce.
Ad oggi esistono già più di due milioni di chilometri di cavi che collegano un Continente all’altro. Abbastanza per andare sulla Luna e tornare indietro…tre volte!
A quanto pare l’invio di questi dati in tutto il mondo, ha un grosso inconveniente: assorbe energia.
Una singola ricerca su google richiede la stessa energia di una normale luce a led accesa per tre minuti. Non sembra molto ma pensiamo a quante ricerche su google si fanno in una giornata, una settimana, un anno e moltiplichiamolo per la metà della popolazione mondiale.
Pensiamo per quante cose ci affidiamo alla rete, ogni giorno.
Emette la stessa quantità di CO2 dell’intero settore aereo.
Sembra un paradosso ma, più CO2 emettiamo, più caldi, caotici e alti saranno i nostri oceani e quindi, più saranno in pericolo i cavi sottomarini.
Ma non è solo il Cloud ad essere a rischio, lo sono anche le nuvole, quelle vere.
La sua ricerca si concentra sugli stratocumuli che sono le nuvole più presenti sulla Terra, il 45% circa del cielo ne è coperto. Queste nuvole riflettono la luce del sole e raffreddano la superfice terrestre sottostante, raffreddandosi a loro volta e rilasciando calore più in alto, nell’atmosfera.
Tapio prevede che, se i livelli di gas serra continueranno a salire come in questo momento, gli stratocumuli potrebbero scomparire completamente, anche nel giro di 100 anni!
Perdendo gli stratocumuli avremo un aumento globale della temperatura che potrà arrivare fino a +8°C, il che renderebbe alcune parti del pianeta oggi abitate, completamente invivibili. Schneider è comunque ottimista sul fatto che possiamo limitare le nostre emissioni di gas serra ed evitare così l’estinzione delle nuvole. Come l’uomo si è evoluto in tantissimi aspetti, potrà sicuramente continuare a farlo ed ovviare a una minaccia del genere. In realtà qualcosa già esiste a riguardo.
Lo Ioduro d’argento è abbastanza leggero da essere risucchiato nelle nuvole dove la sua struttura cristallina induce le goccioline d’acqua a congelarsi, creando ghiaccio che è abbastanza pesante da cadere a terra, sciogliendosi durante la discesa. Questa tecnica è ormai diventata consueta in molti Paesi per combattere la siccità. Non può essere una soluzione al problema del riscaldamento globale, ma è certamente incoraggiante.
Alla fine di questo piccolo viaggio tra le nuvole, è curioso pensare come in poco più di un secolo e mezzo siamo passati dal prevedere le nuvole al cercare di ingegnerizzarle.
Di fronte alle catastrofi delle loro epoche, Fitzroy e Richardson, avevano bisogno di innovazione per prevederle ed evitarle. Sapevano che per affrontare un problema che sfida i confini, bisognava costruire un sistema che li trascendesse.
Il Cloud è sicuramente il nostro modo migliore per farlo e, certo, ha un costo molto importante, che dobbiamo trovare il modo di pagare con fonti rinnovabili, ma ci serve. Perché è il modo migliore per vivere, lavorare e pensare insieme.
Qualsiasi cosa faremo per cercare di evitare le minacce che il futuro ci presenterà, dovremo farla in fretta e dobbiamo farla insieme, se vogliamo salvare le nuvole e il resto del nostro pianeta, dobbiamo mettere a punto l’idea di Richardson e del suo Teatro internazionale, composto da un’orchestra di calcolatori, dobbiamo utilizzare ancora più chilometri di tubi a prova di squalo sotto i nostri oceani e dobbiamo connetterci.
Quello che ci serve, non è altro che un lampo di genio globale.