“Al momento abbiamo una grande difficoltà nel ‘reperire’ cornee dalle banche degli occhi. Subito dopo il lockdown c’è stato un calo importante dei trapianti, in parte perché le donazioni si sono ridotte per limitare al massimo i contatti, in parte perché sono state bloccate dal rischio di diffusione dell’infezione da Covid-19”. L’allarme è stato lanciato dal dottor Luigi Mosca, responsabile della UOS di Cornea e Chirurgia Rifrattiva della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma e referente scientifico di AIMO, in occasione dell’XI Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana Medici Oculisti, che si è aperto oggi a Roma. L’evento è in programma fino a domani presso l’Hotel NH Collection Roma Vittorio Veneto (in Corso d’Italia, 1). “Le donazioni di cornea si sono ridotte di circa il 40%– ha fatto quindi sapere il dottor Mosca- ma sono una cosa necessaria e importantissima. Perché senza le donazioni alle banche degli occhi noi non potremmo fare il nostro lavoro e risolvere i problemi visivi dei nostri pazienti. Questo è un messaggio importante da dare”.
E sul futuro gli oculisti non sono ottimisti. “Subito dopo il lockdown- ha spiegato ancora Mosca, durante la sessione congressuale dedicata alla cornea, da lui coordinata- abbiamo avuto la possibilità di ricominciare a lavorare, ma ora forse è il momento peggiore. La riduzione dei trapianti a cui stiamo assistendo è proprio legata al fatto che tutto l’accumulo dei tessuti avvenuto precedentemente è stato esaurito essendosi ridotte le donazioni, soprattutto oggi che sta ricominciando la crescita dei contagi”. Più in generale, i trapianti di cornea ad oggi più diffusi sono quelli di tipo endoteliale, “cioè i trapianti lamellari posteriori, insieme ai trapianti perforanti– ha fatto sapere l’oculista del Gemelli- Quanto ai trapianti lamellari anteriori per cheratocono, questi si sono notevolmente ridotti grazie alla diffusione della tecnica di cross-linking”. Ma quanti trapianti di cornea si effettuano ogni anno in Italia? “In base ai dati diffusi dal Centro Nazionale Trapianti, le Banche degli Occhi Italiane nel 2019 hanno ricevuto più di 18mila donazioni di tessuto corneale– ha detto Mosca- con una distribuzione ai centri di trapianto di cornea nazionali di circa 7mila tessuti”.
Durante la sessione congressuale dedicata alla cornea si è parlato anche del ‘dry eye’, cioè della ‘sindrome dell’occhio secco’, associata all’utilizzo sempre più frequente di video terminali nella società moderna. “Il computer è diventato il mezzo più diffuso a lavoro– ha spiegato il dottor Mosca- e le persone sono obbligate a tenere gli occhi spalancati per notare le piccole differenze di definizione a causa del contrasto dello schermo del videoterminale. Negli ultimi mesi, in particolare, c’è stato un aumento di problemi legati al discomfort oculare, dovuto ad un sempre maggiore utilizzo del computer per via dello smart working”. Il secondo aspetto da sottolineare è quello riguardante l’utilizzo dei telefoni cellulari, che hanno una “definizione ancora peggiore rispetto a quella degli schermi dei computer. Gli uomini, a livello retinico, hanno una capacità di definizione elevatissima– ha aggiunto l’esperto- ma la definizione dei video dei computer o dei cellulari è molto inferiore a questa e quindi la visione non è mai così nitida. La conseguenza è che la nostra attenzione deve essere sempre maggiore, per questo cerchiamo di spalancare gli occhi, per cercare di definire meglio le immagini, riducendo così la frequenza di ammiccamento delle palpebre. Ma questo provoca ancora di più il ‘discomfort oculare’ per l’aumentata evaporazione del film lacrimale dalla superficie oculare”.
Fondamentale, per il benessere dell’occhio, è la respirazione della superficie oculare. “Basti pensare che la cornea ‘prende’ l’80% dell’ossigeno di cui necessita da quello atmosferico disciolto nel film lacrimale– ha spiegato l’oculista del Gemelli– per cui se noi riduciamo questo scambio, per esempio con l’utilizzo delle lenti a contatto, possiamo avere maggiori problemi di discomfort oculare”. Ad aumentare la secchezza oculare contribuisce anche l’utilizzo della mascherina, che “provoca un indirizzamento del respiro a livello oculare. Quando si respira, infatti, la mascherina fa sì che il respiro vada direttamente verso gli occhi– ha detto Mosca- aumentando l’evaporazione a livello del film lacrimale, e anche questo peggiora il discomfort oculare“. Così, i pazienti che già prima soffrivano della sindrome dell’occhio secco, oggi, indossando la mascherina, vanno ad accentuare questo loro problema. Per ridurre i sintomi di discomfort oculare è “importantissima l’umidificazione dell’aria, per questo più l’ambiente in cui si sta è vicino a quello naturale e meglio è”.
In conclusione, le nuove generazioni, utilizzando sempre di più computer e cellulari, non rischiano lo sviluppo di patologie gravi nell’occhio, ma possono essere soggetti a “‘fastidi‘ importanti, a partire dalla sindrome dell’occhio secco– ha fatto sapere ancora Mosca- Tra le nuove generazioni c’è una maggiore diffusione di ametropie, cioè di difetti visivi, rispetto al passato. Anche se è vero che oggi le persone, necessitando di una visione migliore, si fanno visitare prima, quindi si vedono molti più difetti visivi rispetto ad anni fa”. A cambiare, nel corso degli anni, è stata anche la tipologia di pazienti che si rivolge al medico oculista. “Oggi vengono a trovarci sempre più persone in età lavorativa, però bisogna considerare un aspetto: gli anziani, che hanno le loro patologie specifiche, oggi hanno una oggettiva difficoltà, o meglio timore- ha concluso infine l’esperto- a recarsi a fare una visita a causa del rischio di infezione da Covid-19”.