Coronavirus, l’amarezza di un medico in Brianza: “Sui social si legge di gente che “ci aspetta fuori”, altri ci chiamano “assassini” perché non riusciamo a tenere in vita tutti i malati”

La lettera del dottor Villa: "Ci sono individui che ci accusano di non aver utilizzato i farmaci nei modi e nei tempi adeguati: senza avere competenze mediche, in barba alle indicazioni e alle controindicazioni, non curanti di quanto poco sappiamo di questo virus"
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Di seguito la lettera a firma del dottor Paolo Villa, che lavora in un ospedale lombardo e che sta fronteggiando l’emergenza coronavirus, inviata al forum «Italians» di Beppe Servegnini per il Corriere della Sera. Una riflessione per la quale vale la pena spendere qualche minuto.

“Siamo tanti, ma sempre troppo pochi. Le scrivo con l’amarezza di chi si confronta quotidianamente con un nemico invisibile e sconosciuto, senza avere a disposizione l’arma risolutiva; e con la paura di portarlo a casa, quel nemico. Ma non voglio parlare di questo.

L’amarezza che mi assale durante questa seconda ondata deriva dai sempre più frequenti affronti, intimidazioni, offese e scontri verbali che il personale sanitario subisce ogni giorno. Sui social si legge di gente che “ci aspetta fuori”, altri ci chiamano “assassini” perché non riusciamo a tenere in vita tutti i malati. Ci sono individui che ci accusano di non aver utilizzato i farmaci nei modi e nei tempi adeguati: senza avere competenze mediche, in barba alle indicazioni e alle controindicazioni, non curanti di quanto poco sappiamo di questo virus.

E ancora: passiamo ore e ore alla settimana nella comunicazione telefonica con i parenti dei malati, talvolta finendo per dover discutere dell’utilizzo di farmaci “off-label” e di “number needed to treat” con interlocutori tanto insipienti quanto diffidenti della lealtà del nostro operato.
Purtroppo viviamo sulla nostra pelle anni di slogan votati alla denuncia della malasanità e al risarcimento del danno, anni di populismo e di una classe (ahimè) dirigente che proclamava “Uno vale uno!”. Quando invece esiste (piaccia o meno) una differenza di esperienza, merito, competenza. E fatica individuale.

Ha ragione Massimo Recalcati: “L’invidia sociale si scatena colpendo i simboli della democrazia e contrapponendo alla logica del merito quella del livellamento delle differenze, della dissoluzione della rappresentanza, delle competenze scientifiche…”. Il popolo elevato a giustiziere sociale. Concludo augurando a tutti noi che questa apocalisse arrivi presto a una svolta. E no, non mi riferisco solo al virus”

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