Ben 8 pazienti su 10 a considerano il diabete di tipo 1 una patologia estremamente limitante per la propria vita. Non solo. Un paziente su due ha dichiarato di non aver mai completamente accettato la patologia: una percentuale che aumenta e arriva fino a circa il 60% per i pazienti che dall’età pediatrica si trovano in quella fase di transizione in cui sono seguiti, nel migliore dei casi, in maniera congiunta sia dal pediatra sia dal diabetologo. Sono alcuni dati dell’indagine condotta da Doxa Pharma, con il contributo non condizionato di Sanofi, presentata oggi nella conferenza stampa virtuale ‘Non mandare il diabete in lockdown‘, a pochi giorni dalla Giornata mondiale dedicata alla patologia, in calendario il 14 novembre. Una ricerca che ha dedicato un focus ai piccoli pazienti seguiti dall’endocrinologo-pediatra sino al loro passaggio allo specialisti dei grandi.
Un periodo quello del passaggio estremamente complesso: i pazienti in età pediatrica si trovano ‘catapultati’ in una situazione in cui occorre monitorare costantemente il proprio stato di salute e i propri livelli di glicemia anche due o tre volte al giorno e – per circa 5 pazienti su 10 – risulta necessario un ricovero ospedaliero a causa di problemi di ipoglicemia.
“L’impatto del diabete di tipo 1 sulla qualità di vita dei pazienti e sulle loro famiglie – spiega Claudio Maffeis, direttore della Pediatria a indirizzo diabetologico e malattie del metabolismo, Università di Verona – è notevole, soprattutto nei bambini. Nell’adolescente dai 12 ai 16 anni può diventare devastante: accettare la malattia significa accettare ciò che è necessario fare per curarla, ed è fondamentale educare e accompagnare il bambino e la famiglia cercando di considerare la complessità che questo comporta, la sfera sociale che ruota loro intorno (scuola, attività ludiche e sportive)“.
Grazie alle nuove tecnologie, continua Maffeis, “ai nuovi strumenti terapeutici – è in arrivo ad esempio anche la nuova insulina basale di seconda generazione di Sanofi che sarà disponibile anche per la pediatria – ad approcci sempre più tesi alla multidisciplinarietà, abbiamo la possibilità di gestire il contatto tra il paziente, la sua famiglia e l’equipe di cura che si avvale un interscambio costante. Questo è condizione indispensabile per migliorare sempre più l’adesione alla terapia e quindi il risultato clinico, oltre alla qualità di vita del paziente e della sua famiglia“.
Il diabete di tipo 1 si sviluppa in genere durante gli anni dell’adolescenza, ma può comparire anche in bambini piccolissimi o in giovani adulti e dura tutta la vita. “Il passaggio dalla pediatria all’ambulatorio dell’adulto – spiega Emanuele Bosi, primario diabetologo dell’ospedale San Raffaele di Milano – rappresenta sempre un momento critico per i pazienti ed è importante che venga fatto in maniera graduale. Se da un lato sicuramente i bambini e gli adolescenti vengono accompagnati per mano durante la prima fase della loro vita, il passaggio all’ambulatorio dell’adulto può generare smarrimento e inquietudine e per questo risulta fondamentale che a riceverli in questo nuovo percorso ci sia un medico che abbia competenze specifiche proprio sul diabete di tipo 1“.
Per Bosi, “è importante trovare la modalità corretta per effettuare un vero e proprio passaggio di consegne tra il pediatra e il diabetologo proprio per scongiurare quella sensazione di abbandono nella quale talvolta ancora i pazienti si trovano catapultati“, conclude.