“Oggi grazie alle moderne tecniche di monitoraggio è possibile prevedere con un certo anticipo il risveglio di un vulcano, ma siamo in grado di stabilire quanto sarà catastrofico? Un team internazionale di vulcanologi sta da tempo lavorando per rispondere a questa domanda“, si legge in un articolo pubblicato su INGVvulcani a cura di Gianmarco Buono, Sara Fanara, Giovanni Macedonio, Danilo Palladino, Paola Petrosino, Gianluca Sottili, Lucia Pappalardo.
“I risultati di una recente ricerca multidisciplinare, pubblicata sulla rivista Earth-Science Reviews, a cui hanno partecipato ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, dell’Università di Göttingen in Germania, dell’Università di Napoli “Federico II” e dell’Università “Sapienza” di Roma, hanno consentito di fare luce sulle relazioni tra il processo di degassamento del magma durante la sua risalita verso la superficie e il grado di intensità delle eruzioni (figura 1).
E’ noto che l’intensità di un’eruzione, e quindi il suo potere distruttivo, dipendono da diversi fattori tra cui le dimensioni del condotto vulcanico, il tipo di magma eruttato e la quantità e la natura dei gas disciolti nel magma in profondità.
In particolare, la quantità di gas che si libera dal magma durante la sua migrazione verso la superficie, e che costituisce il motore dell’eruzione, è uno dei fattori principali che determinano il carattere dell’eruzione e la sua capacità di formare alte colonne eruttive e flussi piroclastici potenzialmente distruttivi.
Tuttavia, il processo di degassamento magmatico non è ancora completamente noto e costituisce oggi uno degli argomenti di maggior interesse della ricerca scientifica internazionale.
Presso il laboratorio di Petrologia sperimentale (HP-HT High Pressure – High Temperature) dell’Università di Göttingen, sono state ricostruite le condizioni di elevata temperatura e pressione esistenti nelle camere magmatiche e nei condotti di risalita del magma durante le eruzioni vulcaniche. Utilizzando per la prima volta sia H2O che CO2 come sostanze volatili, è stata simulata in laboratorio la decompressione di magmi alcalini, ricchi in potassio, che hanno una composizione simile a quella dei magmi che hanno alimentato l’attività esplosiva dei vulcani napoletani ad alto rischio (Campi Flegrei e Somma-Vesuvio).
I campioni sperimentali sono stati analizzati presso il laboratorio di Microtomografia dell’INGV di Napoli dove è stato possibile ricostruire in estremo dettaglio la loro tessitura in tre dimensioni, grazie alle grandi potenzialità offerte dalla tecnica della microtomografia a raggi X (figura 2).
I risultati degli esperimenti di decompressione (figura 3), insieme alle simulazioni numeriche dei processi fisici (figura 4), hanno fornito preziose informazioni sulla cinetica del degassamento magmatico e quindi in altri termini, sulle relazioni tra il contenuto in gas, la velocità di risalita del magma nel condotto e il carattere esplosivo dell’eruzione.
Il nuovo studio ha messo in evidenza che in magmi ricchi in H2O, la decompressione rapida genera un numero elevato di bolle isolate, mentre lente decompressioni garantiscono la formazione di un reticolo di bolle altamente interconnesse attraverso cui il gas può allontanarsi dal magma (figura 3).
Inoltre, la presenza di CO2 favorisce la nucleazione di nuove bolle a scapito della crescita delle bolle già formate, in tal modo ritardando il processo di interconnessione delle bolle e quindi l’allontanamento della fase gassosa, contribuendo così ad aumentare il grado di esplosività dell’eruzione. In particolare, grazie a questo tipo di studi, si riesce a conoscere il contenuto di gas liberato dal magma quando questo fuoriesce dal condotto vulcanico e a prevedere se un’eruzione sarà effusiva o esplosiva. Infine, la simulazione dei processi di dispersione dei prodotti vulcanici all’esterno del vulcano permette di stimarne gli effetti sull’ambiente e di definire quanto l’eruzione può essere distruttiva.
Queste conoscenze sono fondamentali perché permettono di correlare le variazioni dei parametri geochimici e geofisici registrati in superficie dalle reti di monitoraggio durante le crisi pre-eruttive al grado di esplosività dell’eruzione attesa.
In futuro, grazie a questo tipo di approcci multidisciplinari, sarà forse possibile, attraverso il monitoraggio vulcanico, non solo prevedere in tempo utile l’arrivo di una prossima eruzione, ma anche stimarne la sua intensità. L’INGV ha recentemente finanziato il progetto triennale “LOVE-CF” con l’obiettivo di approfondire queste tematiche per l’area vulcanica dei Campi Flegrei”, conclude l’articolo pubblicato su INGVvulcani.