Estrarre minerali su altri pianeti: dai batteri terrestri un potenziale aiuto per una presenza umana autosufficiente nello spazio

I primi esperimenti minerari condotti nello spazio potrebbero aprire la strada a nuove tecnologie per aiutare gli esseri umani a esplorare e stabilire insediamenti su mondi lontani
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I test eseguiti dagli astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale suggeriscono che i batteri possono estrarre materiali utili dalle rocce su Marte e sulla Luna. I risultati di uno studio condotto da ricercatori della School of Physics and Astronomy dell’Universita’ di Edimburgo, pubblicati sulla rivista Nature Communications, potrebbero aiutare gli sforzi per sviluppare modalita’ di approvvigionamento di metalli e minerali, come ferro e magnesio, essenziali per la sopravvivenza degli esseri umani nello spazio. I batteri potrebbero un giorno essere usati per abbattere le rocce nel terreno per la coltivazione di colture o per fornire minerali per i sistemi di supporto vitale che producono aria e acqua, dicono i ricercatori.

Gli elementi delle terre rare sono ampiamente utilizzati nelle tecnologie, inclusi telefoni cellulari, computer e magneti. I microbi sono anche usati abitualmente sulla Terra nel processo di cosiddetta biomining per estrarre elementi economicamente utili come il rame e l’oro dalle rocce. I dispositivi minerari delle dimensioni di una scatola di fiammiferi, chiamati “reattori biomining”, sono stati sviluppati dagli scienziati del Centre for Astrobiology del Regno Unito presso l’Universita’ di Edimburgo per un periodo di 10 anni. Diciotto dei dispositivi sono stati trasportati alla stazione spaziale – che orbita attorno alla Terra a un’altitudine di circa 250 miglia – nel luglio 2019. Piccoli pezzi di basalto – una roccia comune sulla Luna e su Marte – sono stati caricati in ogni dispositivo e immersi in una soluzione batterica. L’esperimento di tre settimane e’ stato condotto in condizioni di gravita’ spaziale per simulare ambienti su Marte e sulla Luna. I risultati del team suggeriscono che i batteri potrebbero migliorare la rimozione di elementi di terre rare dal basalto nei paesaggi lunari e marziani fino a circa il 400 per cento. I nuovi esperimenti hanno anche fornito nuovi dati su come la gravita’ influenza la crescita delle comunita’ di microbi qui sulla Terra.

I reattori minerari in miniatura utilizzati nell’esperimento sono stati costruiti dalla societa’ di ingegneria Kayser Italia. “I nostri esperimenti – ha detto Charles Cockell, della School of Physics and Astronomy dell’Universita’ di Edimburgo, che ha guidato il progetto – forniscono supporto alla fattibilita’ scientifica e tecnica dell’estrazione elementare biologicamente potenziata attraverso il Sistema Solare. Anche se non e’ economicamente fattibile per estrarre questi elementi nello spazio e portarli sulla Terra, la biominazione spaziale potrebbe potenzialmente supportare una presenza umana autosufficiente nello spazio”. “Ad esempio – ha aggiunto – i nostri risultati suggeriscono che la costruzione di miniere robotiche e gestite dall’uomo nella regione della Luna Oceanus Procellarum, che ha rocce con concentrazioni arricchite di elementi di terre rare, potrebbe essere una direzione fruttuosa dello sviluppo scientifico ed economico umano oltre la Terra”.

I microrganismi – ha spiegato Rosa Santomartino, scienziata che ha lavorato al progetto – sono molto versatili e mentre ci spostiamo nello spazio, possono essere utilizzati per realizzare una varieta’ di processi. L’estrazione elementare e’ potenzialmente uno di loro”. “E’ meraviglioso – ha detto Libby Jackson, responsabile del programma di esplorazione umana presso l’Agenzia spaziale britannica – vedere i risultati scientifici pubblicati da BioRock. I risultati di esperimenti come BioRock non solo aiuteranno a sviluppare una tecnologia che permettera’ agli esseri umani di esplorare ulteriormente il nostro Sistema Solare, ma aiutera’ anche gli scienziati di una vasta gamma di discipline ad acquisire conoscenze che possono beneficiare tutti noi sulla Terra”.

Lo studio ha ricevuto finanziamenti dall’Agenzia spaziale britannica e dall’Agenzia spaziale europea. La ricerca e’ stata sostenuta dal Science and Technology Facilities Council, parte del UK Research and Innovation.

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