Nell’anno di grazia 2020, dopo quanto accaduto negli ultimi mesi, alla Calabria tocca finanche un’alluvione. In queste ore, la fascia jonica è colpita da piogge straordinarie, capaci di mettere in crisi la stabilità dei pendii e la rete di deflusso, con conseguenze disastrose sulle infrastrutture e nelle aree urbanizzate. Siamo sostenuti dalla speranza di non contare vittime, ma i danni sono evidenti e la disperazione della popolazione – già provata da troppe amarezze in questi mesi orribili di pandemia, teatrini istituzionali ed inchieste giudiziarie – è palpabile. Non è la prima volta che questa parte della Regione viene interessata da eventi alluvionali. Superfluo ricordare i vari episodi del secolo scorso, che a più riprese misero a dura prova il tessuto socio-economico di zone colpevolmente trascurate dalla politica anche in tempi di pace.
Tra i disastri più recenti su Crotone, l’inondazione del 14 ottobre 1996 fu accompagnata da piene e straripamenti dei corsi d’acqua. Bastarono 120 mm di pioggia caduti sul bacino del fiume Esaro durante la mattinata (in aggiunta alle piogge dei giorni precedenti, per un totale di 330 mm in una settimana), e il reticolo degli affluenti dell’Esaro andò in crisi, provocando l’inondazione della periferia ovest, della zona industriale e del centro storico della città fondata dagli Achei. Furono registrate 6 vittime, con danni ingenti al tessuto commerciale e produttivo. A 24 anni da quei tragici eventi, siamo costretti a parlare degli stessi problemi che continuano a colpire i medesimi territori. In un paese moderno, si dovrebbe far tesoro delle lezioni apprese in occasione di eventi calamitosi per evitare che possano ripetersi, imparando dagli errori commessi.
Ma è ormai chiaro a tutti come l’Italia registri un serio ritardo in tema di prevenzione, malgrado sia nota da tempo l’importanza vitale di tale tipo di attività a scopi di Protezione Civile. I progressi scientifici maturati nell’ambito della previsione sono significativi, ma non potranno mai essere sufficienti, da soli, a salvarci la vita. Analogamente, solo gli incompetenti possono immaginare di poter tutelare l’incolumità di persone e beni limitandosi a portar cerotti (soccorso) e a gestire il superamento dei momenti di crisi (gestione dell’emergenza). Dei 4 tipi di attività previsti fin dall’istituzione del Servizio Nazionale della Protezione Civile (L.225/92), la prevenzione è tuttavia quello meno congeniale allo spirito italico: siamo troppo portati al fatalismo, alla superstizione, all’individualismo, alla cura dei nostri interessi più diretti e immediati, per riuscire a digerire norme ispirate al senso di comunità, alla pianificazione, alla mitigazione dei rischi per favorire il bene comune.
Senza prevenzione, ci ha insegnato il compianto Zamberletti, non si va lontano. Bisogna far tesoro delle conoscenze acquisite, e implementare sistemi di mitigazione all’avanguardia. Non serve a niente il lavoro svolto per riuscire a prevedere “dove” succederà qualcosa, con quali caratteri di “intensità”, e “quando”, se poi adottiamo la politica dello struzzo, ci limitiamo a fare scongiuri e a cercare scorciatoie, violentando il territorio con una miriade di abusi e poi aspettando che qualcuno che ci tiri fuori dalle macerie. Simili discorsi non sono validi soltanto per gli eventi alluvionali, ma possono essere estesi ad altri fenomeni naturali potenzialmente disastrosi – come i terremoti – da cui è doveroso proteggersi in maniera razionale e moderna. Purtroppo, le politiche di prevenzione stentano a decollare un po’ ovunque in Italia, con la complicità di una classe dirigente inadeguata. Da cittadini calabresi, prima che da Geologi, dobbiamo pretendere di fermare questa assurda giostra: basta con queste scene da terzo mondo! Non è possibile continuare a portare i cerotti e contare i danni.
“Il territorio di Crotone non è nuovo a tali episodi. Quanto accaduto questa notte, ci ricorda che viviamo in un territorio dinamicamente attivo, caratterizzato dalla coesistenza di numerosi rischi geologici e dimostra, qualora ce ne fosse bisogno, come la Calabria (al pari dell’intera Nazione) sia poco incline a investire in prevenzione programmando misure adeguate di messa in sicurezza – afferma il Presidente dell’Ordine dei Geologi della Calabria Alfonso Aliperta -. Ciò vale per i rischi geologici connessi sia a frane e inondazioni sia ai terremoti che minacciano gran parte della nostra Regione. Ripetere “l’avevamo detto” è inutile quanto anacronistico: da troppi anni, questo Ordine ha chiesto al Governo regionale e a quello nazionale di mettere in campo misure più efficaci per contrastare i rischi, andando possibilmente oltre le “mappe colorate di rosso” (es. realizzando gli interventi necessari sul territorio, potenziando le strutture tecniche regionali esistenti, istituendo il Servizio Geologico con connesso Centro Cartografico) e implementando concrete azioni di mitigazione del rischio. Dopo anni di rinvii e di promesse, siamo stufi di assistere a scene come quella odierna sulla costa jonica, indegne di un paese civile”.