Il terremoto del 23 novembre 1980: la resilienza di alcuni paesi 40 anni dopo

La resilienza dei paesi colpiti dal terremoto del 23 novembre 1980 40 anni dopo
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L’impatto dei forti terremoti sull’ambiente fisico ed antropico è un tema di cruciale interesse in un territorio densamente popolato e con un patrimonio artistico, storico e culturale di inestimabile valore come quello italiano. Analizzare le interazioni uomo-ambiente in un contesto specifico di grande vulnerabilità, come quello delle aree interne dell’Appennino meridionale, può fornire molti spunti di riflessione sia dal punto di vista scientifico sia dal punto di vista sociale.

Abbiamo esaminato la “Resilienza” delle comunità di alcun paesi colpiti dal terremoto, nell’intento di verificarne: “la capacità di raggiungere un adattamento positivo a fronte di eventi significativamente stressanti e traumatici che, diversamente, potrebbero risultare gravemente invalidanti”.

Il terremoto del 23 novembre 1980 è stato il più forte evento sismico che ha colpito l’Appennino meridionale negli ultimi 100 anni con una energia pari a magnitudo Mw 6.9 ed una intensità epicentrale Io pari a X scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS) e a IX ESI-07* (Postpischl et al., 1985; Rovida et al., 2016, Serva et al, 2007). Le regioni più colpite furono la Campania e la Basilicata, ma fu avvertito in quasi tutta Italia, dalla Sicilia fino all’Emilia Romagna e la Liguria (Figura 1).

Causò gravi danni in oltre 800 località con la distruzione di oltre 75.000 abitazioni e 275.000 gravemente danneggiate. Le vittime furono quasi 3000, i feriti circa 10.000.

Numerosi e devastanti furono anche gli effetti sull’ambiente naturale, come gli effetti primari, quali la fagliazione superficiale (Westaway and Jackson, 1984; Pantosti and Valensise, 1990; Blumetti et al., 2002) e come gli effetti secondari, quali frane, fratture nel suolo, fenomeni di liquefazione e variazioni idrologiche nelle sorgenti (Cotecchia, 1986; Porfido et al., 2007; Serva et al., 2007).

Le condizioni geologiche, geotecniche e sismologiche contribuirono a condizionare la ricostruzione, talvolta coinvolgendo l’assetto degli originari insediamenti abitativi.

Abbiamo esaminato le relazioni tecniche effettuate immediatamente dopo il sisma, partendo da un dato storico costituito dalle microzonazioni sismiche preliminari redatte nell’ambito del Progetto Finalizzato Geodinamica del CNR (AA.VV., 1983), relative all’intervento urgente in 39 centri abitati dell’area epicentrale della Campania e Basilicata gravemente colpiti dal terremoto.

Nell’ottica di studiare lo stato della ricostruzione a 40 anni di distanza, abbiamo esaminato lo sviluppo di tre paesi irpini gravemente colpiti dal terremoto: Calitri, San Mango sul Calore e Conza della Campania con intensità I ? VIII MCS/ESI-07 (Postpischl et al. 1985; Rovida et al., 2016; Serva et al., 2007).

La memoria storica 

Calitri (AV)

Calitri, piccolo comune dell’entroterra appenninico, fu colpito dal terremoto del 1980 con una intensità pari all’VIII grado MCS /ESI-07 ed ebbe 6 vittime. Oltre al danneggiamento all’edificato, il paese fu interessato da molteplici e differenti effetti ambientali quali fenomeni di liquefazione, fratture del suolo e notevoli fenomeni gravitativi.

Tra questi ultimi risultò particolarmente devastante, l’esteso movimento franoso classificato come “slump-earth flow”, che mobilizzò 23 milioni di m3 di terreno con conseguenze drammatiche sull’assetto urbano del centro storico (Figure 2 e 3) (Del Prete e Trisorio Liuzzi, 1981; Samuelli-Ferretti e Siro, 1983; Porfido et al., 2007 e bibliografia contenuta in esso).

Il paese, anche in passato era già stato colpito da fenomeni gravitativi innescati dai forti terremoti appenninici avvenuti nel 1694, 1805, 1910 e 1930 (Porfido et al., 2007).

San Mango sul Calore (AV)

San Mango sul Calore fu quasi totalmente distrutto dal terremoto (Figura 4), con intensità pari a IX MCS, VIII ESI-07 e la perdita di 84 persone.

La microzonazione sismica effettuata subito dopo il terremoto evidenziò che le cause della distruzione erano da ricondurre sia alla cattiva qualità abitativa e alla sfavorevole posizione di cresta, sia all’assetto geologico-idrogeologico del territorio con diffusi fenomeni di dissesto più o meno accentuati lungo i versanti (Samuelli-Ferretti e Siro, 1983) (Figura 5).

La storia sismica di San Mango sul Calore mostra che fu violentemente colpito anche dai terremoti appenninici del 1694 e del 1732, con elevato livello di danno, rispettivamente VIII e X MCS.

Conza della Campania (AV)

Il paese di Conza della Campania situato solo a pochi chilometri dall’epicentro, fu quasi completamente distrutto raggiungendo un’intensità pari a X MCS e VIII ESI-07. Le vittime furono 189 a causa del crollo totale del 90% degli edifici (Figura 6).

Dalla microzonazione sismica risulta evidente che il danneggiamento fu condizionato dalla cattiva qualità costruttiva, per lo più case prive di fondazioni, addossate le une alle altre e dalle peculiari condizioni geologiche e morfologiche su cui era edificato il paese: due colline costituite da alternanze di terreni estremamente eterogenei e talvolta scadenti (Guelfi et al. (1983).

La storia sismica di Conza evidenzia che il paese fu colpito da numerosi terremoti con I? VII (1466; 1517; 1692; 1694; 1732; 1910; 1930).

La ricostruzione

Per comprendere la resilienza delle comunità dei paesi di Calitri, San Mango sul Calore e Conza della Campania, si deve necessariamente tenere conto non solo dei diversi fattori ambientali e geologico-geomorfologici, ma anche delle differenti situazioni politiche, sociali ed economiche dell’epoca (Alexander, 1984; Guadagno, 2010; AA.VV., 1983; Porfido et al., 2016).

Dei tre paesi esaminati, che hanno caratteristiche geologiche, geomorfologiche e sismologiche molto differenti, Calitri e San Mango sul Calore hanno optato per una ricostruzione in situ, mentre Conza della Campania è stato ricostruito lontano dalla sua posizione geografica originaria. La comunità di Calitri, estremamente radicata al proprio territorio e alle proprie tradizioni, nonostante i gravi danni provocati dall’ormai storico movimento franoso, decise di non abbandonare il paese recuperando il centro storico quanto più possibile e ricostruendo in loco. Calitri ha mantenuto, più degli altri paesi, il suo antico assetto urbanistico, conservando ancora oggi un suggestivo panorama che gli ha consentito di essere una meta turistica alternativa, mantenendo anche la funzione socio-economica di paese a cavallo tra la Campania e la Puglia (Figura 7).

San Mango sul Calore è stato completamente ricostruito ex-novo nel sito originale dopo gli interventi di bonifica del suolo, modificandone leggermente il profilo originario, ma mantenendo l’assetto complessivo del paese distrutto (Figura 8). Infine, le amministrazioni hanno avuto la capacità di riutilizzare a fini turistici il villaggio Santo Stefano, costituito da casette provvisorie in legno per la popolazione in attesa degli alloggi definitivi (Guadagno, 2010). Inoltre, hanno contribuito alla rinascita del paese anche i nuovi insediamenti industriali ubicati nelle vicinanze di San Mango sul Calore.

Per Conza della Campania, è prevalsa la scelta politica della rilocalizzazione (Figura 9) sostenuta anche dai risultati delle indagini geologiche e della memoria storica delle distruzioni subite dalla comunità nei terremoti passati (1466, 1517,1694, 1732 e 1930). Attualmente convivono due borghi di Conza: l’antico borgo recuperato e valorizzato con l’istituzione di parco archeologico che conserva i resti dell’antica ‘Compsa’ romana, e la Conza nuova, costruita in località Piano delle Briglie, a 4 km dal nucleo originario, paese moderno caratterizzato da case antisismiche, ampie strade, realizzato su disegno dell’architetto C. Beguinot.

Considerazioni conclusive

Il nostro studio ha evidenziato che: a) il percorso della ricostruzione di questi paesi pesantemente danneggiati dal terremoto del 1980 è stato complesso e articolato ed è durato più un trentennio, un tempo decisamente troppo lungo; b) il contesto urbano e socio economico, insieme con l’assetto geologico-strutturale del territorio sono stati fattori non trascurabili nel processo di ricostruzione; c) nonostante i 40 anni dal terremoto, non c’è stata una politica di riqualificazione socio-economica dell’intero territorio che, nonostante l’insediamento di alcune fabbriche, soffre la disoccupazione e lo spopolamento.

In conclusione, sebbene il percorso per questi paesi sia stato lungo e complesso, i risultati della nostra analisi confermano il concetto di resilienza di comunità relativa al terremoto di Bruneau et al. (2003) inteso come “la capacità dei sistemi fisici e sociali di diminuire i rischi, di contenere gli effetti dei disastri una volta occorsi e di portare a termine attività di recupero tramite modalità che minimizzino le problematiche sociali e riducano l’impatto di successivi terremoti”.

A cura di S. Porfido (CNR-ISA) R. Nappi, G. Alessio, G. Gaudiosi (INGV-OV) e E. Spiga (ricercatore indipendente).

  • La scala ESI-07 (Environmental Seismic Intensity Scale) ed è una scala di intensità sismica basata sugli effetti che i terremoti producono sull’ambiente e non solo su edifici e infrastrutture.
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