“Non avevo mai incontrato un artista così fortemente concentrato, così energico, così interiore” scriveva un Goethe stupefatto dalla seducente personalità di Ludwig van Beethoven. Di questo compositore, che come pochi ha segnato la storia universale della musica, si celebrano il 16 dicembre i 250 anni dalla sua nascita e della sua tormentata vita che trovò nella musica la via della trascendenza.
Fu Beethoven un personaggio tragico e la sua esistenza fu una progressione verso l’assoluto, con ogni partitura che rappresenta di volta in volta un modo nuovo di rinnovare lo sguardo. Ecco che un ritratto della sua vita e della sua arte possono dunque permetterci di percepire tutta la contemporaneità di questo genio furioso.
L’infanzia e la gioventù di Beethoven
Ludwig van Beehthoven nacque a Bonn nel 1770 e fu un compositore e pianista. Ultimo rappresentante del classicismo viennese egli preparò l’evoluzione verso il romanticismo musicale e influenzò la musica occidentale nella sua totalità per gran parte del XIX secolo.
La famiglia nella quale nacque era di modeste condizioni ma portava avanti una tradizione musicale da almeno due generazioni. Il padre era musicista e tenore dal carattere brutale acuito dall’uso di alcool che educò i figli con severità e rigore. Egli individuò presto il talento musicale dei figli e tentò di trarre il maggior beneficio economico possibile dalle loro eccezionali doti.
Presto Ludwig fu ospitato dalla famiglia von Breuning che desiderava un insegnante di piano per i figli; qui si trovò a suo agio ed ebbe modo di muoversi in un ambiente intellettuale nel quale con disinvoltura si sviluppò con pieno la sua personalità, sebbene sua caratteristica rimanesse un carattere stravagante e scontroso.
Tra 1782 e 1783 compose le sue prime opere per pianoforte e nel 1789 si iscrisse all’Università di Bonn per saziare le proprie curiosità intellettuali. Qui conobbe Franz Joseph Haydn che invitò il giovane Beethoven a proseguire a Vienna gli studi sotto la sua direzione. Alla fine del XVIII secolo Vienna era la capitale incontrastata della musica occidentale e rappresentava la possibilità migliore per un musicista che volesse fare carriera. Sebbene l’insegnamento di Haydn risultò insoddisfacente per entrambi questo periodo ebbe un’influenza duratura e profonda sull’opera di Beethoven.
Più tardi si immerse nella lettura dei classici greci, di Shakespeare e dei capi della corrente dello Sturm und drang cioè Goethe e Schiller che influenzarono notevolmente l’idealismo e il temperamento del musicista, già acquisito d’altra parte agli ideali democratici degli illuministi e della Rivoluzione Francese che si diffondevano allora in Europa.
La sua attività creatrice si intensificò e a questo periodo risalgono le sue prime Sonate per violino e pianoforte. Alla fine del Settecento iniziarono ad arrivare anche i primi capolavori, che comprendono il Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 del 1798, i primi sei Quartetti d’archi, il Settimino per archi e fiati e le due opere che iniziarono a intravedere il carattere del musicista: la Sonata per pianoforte n. 8, detta Patetica e la Prima Sinfonia del 1800.
Il periodo eroico
A partire dal 1802 Beethoven si guadagnò una reputazione di misantropo di cui soffrì per tutta la vita, ciò avvenne perché aveva preso coscienza della sordità che era irrimediabilmente destinata a progredire e che lo costrinse a isolarsi dal pubblico per timore di dover rivelare la sua drammatica condizione.
Privato della possibilità di esprimere tutto il suo talento e guadagnarsi da vivere come interprete, si dedicò interamente alla composizione con coraggio e forza di carattere, annunciando un eroismo trionfante nella Terza Sinfonia. Questa sinfonia detta “eroica” segna una tappa capitale in tutta l’opera del compositore, sia per la sua potenza espressiva sia perché inaugura una stagione di opere brillanti ed energiche che sono tipiche del secondo periodo di Beethoven detto appunto “stile eroico”.
L’evoluzione era percepibile anche nella scrittura pianistica con la Sonata per pianoforte n°21 che si distingueva per la grande virtuosità che esigeva nell’uso dello strumento.
Nel 1805 finalmente Beethoven si cimentò con la lirica con l’opera Fidelio che vide una genesi complessa e una stesura di almeno tre versioni delle quali solo l’ultima fu accolta adeguatamente.
Gli anni tra il 1806 e il 1808 furono quelli più fertili di capolavori in tutta la sua vita: il solo anno 1806 vide la composizione del Concerto per pianoforte n. 4, dei tre Quartetti per archi n. 7, n. 8 e n. 9 e della Quarta Sinfonia e del Concerto per violino.
Beethoven si affermò, poi, come artista indipendente liberandosi dal suo patronato aristocratico e come egli stesso affermava: “affrontando il suo destino alla gola”.
Mise quindi in cantiere il celebre motivo ritmico della Quinta Sinfonia (di cui tentò l’inizio ben 22 volte) ed esprimendo il trionfo dell’uomo nella lotta con il destino.
Contemporaneamente componeva la Sesta Sinfonia, la Sinfonia Pastorale, che è un’autentica anticipazione del romanticismo musicale e che porta come sottotitolo la frase dello stesso Beethoven: “espressione di sentimenti piuttosto che di pittura”. Ciascuno dei suoi movimenti porta poi un’indicazione descrittiva sancendo così la nascita della musica a programma.
L’ultimo Beethoven
Nel 1817 compose la Sonata per piano n°29 op.106, detta Hammerklavier che esplorava superandone i limiti tutte le possibilità dello strumento e che persino i pianisti contemporanei giudicarono ineseguibile. Da quel momento, ad eccezione della Nona Sinfonia, lo stesso giudizio sarà riservato a tutte le restanti opere composte e di cui era difficile accogliere la modernità di architettura sonora.
La sua infermità lo accostò alla fede cristiana e il musicista decise di comporre una grande opera religiosa, la colossale Missa Solemnis in re maggiore che richiese al compositore 4 anni di duro lavoro e che fu dedicata solo dopo il grande studio di Bach e dell’oratorio Messiah di Handel prima che portasse a termine quella che egli stesso considerava il suo più grande lavoro.
Con il completamento della Missa Solemnis coincise la composizione della Nona Sinfonia che con l’inarrivabile finale che introduce il coro esercitò una scrittura che ricalcava la linea della Quinta costituendo un messaggio universale di fraternità oltre la disperazione e la guerra.
Il furore creativo del genio moderno
Beethoven rappresenta il passaggio tra la musica antica di stampo classicista e quella moderna del romanticismo e i suoi valori visionari e aperti verso il futuro spesso non sussistono nella sensibilità di altri artisti. Di lui lo scrittore e Premio Nobel Romain Rolland diceva: “Egli è molto avanti al primo dei musicisti. È la forza più eroica dell’arte moderna”.
Moderno e tipicamente beethoveniano è il modo in cui sperimenta in ognuna delle 32 sonate una soluzione peculiare per ciascuna, sia che si tratti delle sonate più celebri sia che si pensi a quelle più minute. Tutte hanno un carattere completamente diverso le une dalle altre e di tutte lui si occupava contemporaneamente, con un modo di procedere che faceva eco al suo carattere mutevole.
Beethoven fu certamente il genio della strumentalità mentre con la vocalità ebbe sempre un rapporto conflittuale. Per lui inserire la vocalità fu sempre una lotta, una fatica; ma proprio in questa tensione sta l’elemento più toccante dal punto di vista espressivo e un dinamismo che possiamo riconoscere come di matrice spiccatamente contemporanea.
Il compositore nei suoi nove capolavori sinfonici, amplia la nozione di sinfonia traducendola nell’attraversamento di un intero mondo e imprimendo un sigillo emblematico alla musica occidentale. Della nona sinfonia sono presenti almeno tre manoscritti con tutte le note riportate dalla prima all’ultima e questo denota uno sforzo compositivo e una densità particolare che forse non esisteva prima, prova dello straordinario sviluppo delle ultime composizioni dell’autore.
Il suo ottimismo è una cifra che caratterizza tutta la sua opera e questo singolare aspetto trova forse la sua più celebre espressione proprio nell’Inno alla gioia, rivelazione melodiosa di pace e fratellanza.
Sulle parole dell’ode che il poeta e drammaturgo tedesco Friedrich Shiller scrisse nel 1875, Beethoven costruì le note del quarto e ultimo movimento della sua Nona Sinfonia. Si tratta di una lirica nella quale la gioia non è banale e semplice allegria e spensieratezza ma il risultato a cui l’uomo anela lungo un percorso sofferto, che gradualmente lo allontana da odio e meschinità per edificare un’esistenza affrancata dal male.
Una marcia gioiosa, quindi, illuminata da una speranza sincera che Beethoven creò quando aveva oramai perso l’udito. La stessa sordità nella quale era isolato diverrà per lui una risorsa, uno strumento misterioso per mutare la storia dell’espressività musicale, favorendo l’audacia e la straordinaria novità delle ultime sue composizioni consentendogli di andare oltre la materialità della musica.