“L‘introduzione del bergamotto a Reggio Calabria si perde nel campo oscuro della leggenda, nonostante la brevità del tempo trascorso dalla sua apparizione ad oggi, come nella leggenda si perdono tutte le origini delle antiche divinità. Mi piace avvicinare questi due elementi – Divinità e bergamotto – poiché entrambi hanno in comune un attributo essenziale: quello di essere benefici.”
A. Spinelli. “L’essenza di bergamotto, nuovo antisettico nella pratica chirurgica”, Policlinico (Sezione Chirurgia, 49, 1932).
Reggio Calabria è una delle più belle città d’Italia. È situata sul mare e gode di una stupenda posizione. Il suo territorio dal clima mite ha ancora la fortuna di vedere crescere un albero che non cresce in nessun’altra parte del pianeta: il bergamotto. Si tratta del più straordinario agrume che si conosca, sia perchè si ostina a crescere solo su una sottile striscia di terra lunga circa 80 km, fra Villa San Giovanni e Gioiosa Ionica, sia perché la sua essenza possiede proprietà certamente ineguagliabili. Nonostante siano stati effettuati numerosi tentativi in diverse aree agrumarie del mondo (dalla California all’Africa del Nord, al sud America, alla Costa d’Avorio) per ottenere l’acclimatizzazione di questa pianta, ancora oggi si può affermare che la quasi totalità della produzione mondiale si concentra nella provincia di Reggio Calabria. Per spiegare questo fenomeno molti fanno riferimento al microclima di cui godono le coste del bergamotto dove c’è il sole per gran parte dell’anno, la temperatura non scende mai sotto i dieci gradi, le giornate più calde sono temperate dalla brezza marina ed i terreni sono particolarmente ricchi di sostanze minerali. Questi sono soltanto alcuni dei fattori che, probabilmente, contribuiscono alla perfezione organolettica dell’olio essenziale di bergamotto, un composto di 354 elementi chimici che lo rendono unico rispetto agli altri agrumi non solo per il numero delle sostanze ma per le proprietà esclusive che le contraddistinguono. Alla sua particolare nota olfattiva si affianca una proprietà fissativa che in passato, quando i profumi erano creati esclusivamente con prodotti naturali, lo rese unico.
Le origini della pianta sono avvolte da un alone di mistero, alcune leggende narrano che la pianta sia stata importata da Cristoforo Colombo che l’aveva trapiantata dalle Isole Canarie; da queste isole Colombo avrebbe portato la pianta in Europa ed in Calabria sarebbe giunta dalla città di Berga, vicina a Barcellona, da cui prese il nome di bergamotto. Non è da escludere che il bergamotto sia proprio originario della Calabria, derivando per innesto da altri agrumi, il cedro ed il pompelmo o l’arancia amara. Nel periodo della comparsa del bergamotto in Calabria, nella metà del 1600, i primi produttori notarono che dalla pressione della buccia su una spugna di mare si estraeva un olio profumato utilizzato dalla medicina naturale per le sue proprietà antisettiche ed antibatteriche. Ma soltanto ad inizio del ‘700 l’uso dell’essenza del bergamotto acquista una nuova prospettiva grazie all’intuizione di un profumiere italiano, Gian Paolo Feminis, che a Colonia, città tedesca in cui viveva, percepì che un’acqua profumata ricavata aggiungendo essenza di bergamotto non aveva solo proprietà aromatiche ma si mostrava decisamente persistente. Questa singolare capacità per quel tempo di conservare le fragranze conferì a quell’acqua profumata l’appellativo “admirabilis”. Poco tempo più tardi un commerciante di cosmetici, Giovanni Maria Farina, sfruttando le caratteristiche dell’Acqua Admirabilis, brevettò un’acqua al bergamotto, l’Acqua di Colonia, che prese il nome dalla città di produzione. Questo profumo ebbe una fama enorme e, a partire da questo momento, il bergamotto e le sue molteplici proprietà iniziarono ad essere oggetto di studio.
Se la storia dello sviluppo delle coltivazioni a bergamotto è legata alla fortuna incontrata in profumeria dall’Acqua di Colonia, sono molti gli usi del bergamotto nella medicina popolare calabrese per le sue proprietà antisettiche, cicatrizzanti, analgesiche, vermifughe, battericide e nelle malattie respiratorie. Già nel 1804 Francesco Calabrò Anzalone nella memoria “Della Balsamica virtù dell’essenza di bergamotta nelle ferite” constatava che le donne calabresi che lavoravano le bucce del bergamotto utilizzando coltelli affilati si procuravano tagli che rapidamente si cicatrizzavano grazie alle virtù della sua essenza. Più tardi un’altra sua straordinaria ricerca affronta le cure per la febbre malarica con l’uso dell’essenza di bergamotto. Nel 1850 si affianca “Sulla virtù medicamentosa della essenza di bergamotta”, uno studio di Vincenzo De Domenico sugli usi terapeutici di questa essenza. Che avesse un fortissimo potere battericida e che potesse essere utilizzato come nuovo antisettico in chirurgia fu documentato nel 1932 dal chirurgo Antonino Spinelli, primario degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria, e la sua tesi venne successivamente convalidata da altri studi. Fu merito, dunque, di un gruppo di medici reggini se l’essenza del bergamotto ebbe, nella prima metà dell’Ottocento, un clamoroso interesse. Da allora le successive applicazioni in campo medico confermarono l’efficacia di questa “miracolosa” essenza. Oggi è adoperata, nell’industria farmaceutica per il suo potere antisettico, antimicrobico, antibatterico, antivirale, antimicotico e antidepressivo, in quanto modula il rilascio naturale della melatonina ma le sue applicazioni si estendono alla sepsi chirurgica, dermatologia, odontoiatria, oftalmologia ed altre ancora in virtù dei 350 componenti chimici presenti nell’essenza.
Anche il suo primo utilizzo in gastronomia ha origini antiche, infatti sembra risalire al 1536 quando, in un banchetto organizzato a Roma in onore di Carlo V, furono serviti i bergamini, confetti realizzati con le bucce candite di bergamotto. In Francia al tempo di Luigi XIV venivano confezionati i famosi sorbetti agli agrumi ed al bergamotto e verso la fine del ‘700 nascono les bonbons a le bergamotte, caramelle aromatizzate con il suo olio essenziale. Oggi gli chef più famosi utilizzano il bergamotto nei loro piatti, infatti la marinatura con questo agrume non altera le caratteristiche organolettiche delle pietanze, esalta la parte più gustosa delle carni dai sapori intensi e valorizza molti piatti a base di pesce. Il bergamotto dona al risotto ed alla pasta un aroma delicato e, per la sua indefinita dolcezza, è un ingrediente vincente in dolci, gelati, marmellate e liquori fatti in casa. Una vera leccornia sono le creme al bergamotto che farciscono i dolci realizzati dalla pasticceria reggina.
I flavonoidi
Da sempre conosciuto per la realizzazione dei profumi grazie al suo olio essenziale, il bergamotto è al centro di un numero infinito di ricerche mediche e scientifiche e la sua richiesta, proveniente dal settore farmaceutico e nutraceutico, è in continua ascesa. Caparbio e generoso come la terra in cui ha scelto ostinatamente di crescere, questo frutto è una miniera di sostanze dalle proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e vaso-protettive di cui gode in una concentrazione così ricca come nessun altro agrume. Che al suo interno siano racchiusi 354 polifenoli e che l’uso degli estratti nutraceutici del bergamotto siano in grado di mettere in atto proprietà terapeutiche utili per contrastare diversi disturbi metabolici legati allo stile di vita delle aree industrializzate, è un dato convalidato ormai da anni dalla letteratura scientifica internazionale.
I flavonoidi hanno nel succo di bergamotto valori più alti rispetto agli altri succhi di agrumi e questo valore varia tra 600 e 1200 mg/L per frutti raccolti fra novembre e gennaio. A questi composti sono attribuiti importanti proprietà: favoriscono sia l’azione che l’assunzione della vitamina C da parte delle cellule, hanno azione capillaroprotettrice e antiossidante, grazie alla loro struttura fenolica, tanto da essere chiamati “molecole spazzino” per la loro capacità di bloccare l’azione dei radicali liberi, che sono i principali responsabili dell’invecchiamento e di gravi patologie degenerative come il cancro e l’arteriosclerosi.
Numerose prove sperimentali dimostrano che i polifenoli, in particolare i flavonoidi, influiscono attivamente nel migliorare i fattori di rischio che portano allo sviluppo della sindrome metabolica. La sua definizione clinica richiede la presenza di almeno tre fattori di rischio fra obesità addominale, trigliceridi elevati, basso livello di HDL nel plasma, ipertensione ed iperglicemia a digiuno. Ricerche sperimentali ed epidemiologiche hanno dimostrato che la frazione polifenolica del bergamotto (identificata con l’acronimo BPF) migliora il profilo lipidico e normalizza la pressione sanguigna nei pazienti affetti da sindrome metabolica. I frutti più ricchi di questa combinazione particolare di polifenoli sono quelli che si producono nell’area jonico reggina, l’unica capace di offrire a questo agrume tutti i suoi componenti.
I flavonoidi esplicano la loro azione sul sistema cardiovascolare attraverso diversi sistemi, in particolare sono capaci di proteggere le cellule dall’azione dei radicali liberi che si ritiene causi progressive alterazioni delle cellule e sia all’origine dell’invecchiamento e di molte malattie croniche degenerative come l’arteriosclerosi. In tal senso sono stati realizzati diversi lavori scientifici: ad alcuni pazienti, ai quali è stata sospesa la terapia con statina a causa degli effetti collaterali, è stata somministrata la frazione polifenolica di succo concentrato di bergamotto. I risultati finali hanno dimostrato un aumento del colesterolo buono ed una diminuzione evidente del colesterolo cattivo, totale e dei trigliceridi. Fra tutti i flavonoidi la naringenina, presente anche nel pompelmo e già conosciuta per gli studi su modelli animali di aterosclerosi indotta sperimentalmente, risulta particolarmente preziosa. Oggi è più che mai dimostrato che l’approccio nutraceutico alla gestione della sindrome metabolica rappresenta una valida strategia nella prevenzione del rischio cardio-metabolico. Ma la BPF ha rivelato a più riprese la sua efficacia, infatti, uno studio pubblicato dalla rivista internazionale Nature Scientific Reports, che ha coinvolto i ricercatori dell’Università “Magna Grecia” di Catanzaro e che ha interessato i maggiori luminari nel settore delle malattie epatiche, documenta il beneficio dell’uso prolungato della BPF sul “fegato grasso” o steatosi epatica che riguarda diverse fasce di popolazione nel mondo occidentale. La frazione polifenolica del bergamotto previene la formazione dell’accumulo di grasso a livello epatico, ma anche lo sviluppo dello stato infiammatorio che conduce alla fibrosi epatica. Le ricerche riguardanti questo agrume non smettono di stupire perché uno studio recente, condotto dall’Università Sapienza di Roma in collaborazione con altre università, ha come oggetto le potenziali capacità antivirali contro l’infezione da Covid-19 della naringenina. Questo composto della famiglia dei flavonoidi, solitamente presente nelle piante, ha una funzione antiossidante e di protezione del sistema immunitario e, secondo i primi test effettuati su cellule umane in provetta, la molecola sembra in grado di arrestare l’infezione da covid. Ma c’è di più, il trattamento di cellule con naringenina ha dimostrato saper arrestare anche la SARS-CoV-2, un altro tipo di coronavirus. Lo studio dell’università romana, pur nella sua fase iniziale, promette ottimi risultati infatti sin da subito è stato evidente il potere della naringenina nel contrastare la produzione delle molecole infiammatorie prodotte nel corso dell’infezione virale. Lo studio ha rivelato l’azione positiva anche di un’altra sostanza, la quercetina, presente in alcuni alimenti fra cui i capperi, efficace nell’ostacolare una proteina responsabile della replicazione del Covid-19. Nuove ricerche già in corso fanno che presagire altri impieghi del bergamotto: alcune sperimentazioni riguardano la buccia del frutto composta dal flavedo, lo strato esterno, e dall’albedo, quello interno. All’interno della buccia sono presenti un gruppo particolare di flavonoidi, i polimetossiflavoni, dalle proprietà neuroprotettive oltre che antiossidanti e antinfiammatorie, capaci di agire sugli enzimi che causano la progressiva morte dei neuroni, la perdita di memoria ed altre conseguenze che caratterizzano le malattie neurodegenerative.
L’utilizzo nei profumi
Ingrediente indispensabile dei profumi più venduti al mondo, l’olio essenziale di bergamotto è un componente di cui le case produttrici più grandi come Chanel, Guerlain o Dior non possono fare a meno. La metà delle fragranze maschili e circa due terzi di quelle femminili circolanti racchiudono l’aroma inconfondibile dell’olio di bergamotto ma il suo successo straordinario inizia, quasi per caso, a Versailles, alla corte di Luigi XIV. Francesco Procopio, un nobile siciliano, vi arrivò portando grandi contenitori di rame contenenti un liquido misterioso e dal profumo intenso. Il divieto di utilizzare l’acqua, responsabile secondo i medici della diffusione della peste, aveva creato parecchi problemi e l’arrivo di questa acqua dal profumo persistente e fresco e dalle proprietà igienizzanti fu una soluzione inaspettata e gradita tanto che il suo uso si diffuse con rapidità in tutta Europa. La popolarità del bergamotto, durante il ‘700, fu merito di un altro italiano, Gian Paolo Feminis, a cui si deve la primissima acqua di toeletta, detta “admirabilis” e divenuta, poi, la celebre Acqua di Colonia. L’ essenza di bergamotto divenne, da quel momento in poi, l’ingrediente più ricercato nella composizione dei profumi e utilizzato con successo anche nella cosmetica. La biodiversità calabrese è all’origine della perfezione organolettica dell’olio essenziale di bergamotto, estratto dalla buccia del frutto mediante un procedimento “a freddo” con dei rulli cilindrici che lo “grattugiano” mentre leggeri getti d’acqua lavano la scorza e trasportano l’olio essenziale nelle centrifughe. L’olio essenziale così ricavato è composto da circa 350 elementi chimici che lo distinguono dagli altri oli essenziali di agrumi sia per il numero così alto di sostanze sia per le sue proprietà uniche nell’ambito degli oli essenziali. Non sono soltanto le particolari note olfattive ad averne determinato il successo ma soprattutto le sue proprietà fissative. I primi ad aver osservato le sue proprietà curative sono stati i contadini direttamente sulle zone di raccolta: si accorgevano che i tagli sulle dita si rimarginavano rapidamente grazie ad una proprietà cicatrizzante ed i luoghi di lavoro si mantenevano salubri grazie al forte potere antisettico; la prova della sua forza antibatterica fu chiara nel 1900 quando, durante la peste, gli unici a non infettarsi furono gli addetti di una fiera agrumaria. Quando la pianta comparve per la prima volta a Reggio Calabria i produttori notarono che dalla pressione della buccia su una spugna di mare si poteva estrarre un olio profumato.
La prima tecnica di estrazione “a mano”, merito di un abile lavoro artigianale, fu chiamata, infatti, metodo a spugna. Un vero e proprio rito, l’estrazione dell’olio essenziale avveniva di notte “alla debolissima luce degli stoppini oleosi, perché neppure la luce del giorno offendesse le virtù della fragile essenza”. Nasceva una figura nuova, quella dello “spiritaro”, il cui nome derivava dal fatto che “spiritu” era chiamata l’essenza della scorza di limone, arancia, mandarino, bergamotto e di qualsiasi altro agrume. Lo spiritaro “generalmente anziano, intelligente, praticissimo, e che, libero dal suo speciale lavoro, sorveglia l’andamento generale della lavorazione nei vari locali e spesso si reca nel bergamotteto, quando vi si effettua la raccolta dei frutti per vigilare e sorvegliare anche il loro trasporto ai locali di deposito”. Il sistema di estrazione manuale dell’essenza degli agrumi con le spugne è rimasto vivo, in Calabria, per oltre tre secoli, prima impiegato per estrarre l’essenza di limone, poi per il bergamotto anche se con l’introduzione di alcuni accorgimenti. Le prime macchine industriali hanno trasformato il metodo ma non la richiesta dell’essenza di bergamotto che rimane, ad oggi, una fra le più presenti nella composizione dei profumi sia maschili che femminili. Da Dior ad Acqua di Parma, da Guerlain a Hermès, tutte le grandi case di profumi hanno scelto il frutto calabrese non solo per il suo aroma inconfondibile, fresco e di carattere, ma perché la sua essenza ha la capacità di far durare a lungo le note di profumo. Fra gli oli essenziali che svolgono un’azione aromaterapica, dovuta al messaggio che le molecole olfattive apportano al talamo, sede cerebrale delle emozioni, il bergamotto ha una azione rilassante, scioglie i blocchi, riduce lo stress e allontana l’ansia. Le note aromatiche degli oli essenziali, che si distinguono in base all’impressione olfattiva che suscitano, si dividono in note di base, di testa e di cuore. Gli olii estratti dalle bucce del bergamotto e degli agrumi appartengono alla nota di testa: si percepiscono per primi, sono attivanti, rinfrescanti e stimolano lucidità e concentrazione tanto da essere adatti agli ambienti di studio e di lavoro. Il benessere che i profumi sanno infondere ed i benefici scientifici legati alle piante sono spiegati dall’aromacologia. Guerlain ne sa qualcosa, infatti, alla ricerca di ingredienti sani e legati alla natura, per Orange Solcia, sua recente creazione, ha scelto una fragranza energizzante e capace di suscitare buonumore grazie agli aromi di arancio e melograno, uniti a lampone, menta e bergamotto. Ma tutta l’energia positiva del bergamotto era già racchiusa in Acqua Allegoria. Sono ancora le sfumature speziate e sensuali di questo frutto ad aver regalato a Sauvage eau de Parfum di Dior la vittoria come miglior profumo maschile nel 2019. La casa francese racconta la scelta di questa essenza rara ed esclusiva attraverso un breve reportage, “La quete d’essences”, girato all’Amendolea, la splendida vallata da cui proviene l’essenza di Sauvage. Alla Maison francese viene riservato il raccolto biologico del “Bergamotto San Carlo” ed è Francois Demachy, creatore storico dei profumi, ad occuparsi personalmente della scelta dei frutti destinati ai suoi profumi. Ma il profumo intenso del frutto calabrese, simbolo di carattere e tenacia, caratterizza anche Blu Mediterraneo, la linea di Acqua di Parma ispirata al mare.
Ricadute industriali/economiche per la produzione, la raccolta e la lavorazione nell’hinterland di Reggio Calabria
La storia economica del bergamotto ha inizio nel 1750 quando un proprietario terriero della costa reggina, Nicola Parisi, crea la prima piantagione intensiva di alberi nell’attuale centro della città. Molte famiglie proprietarie di fondi intrapresero lo stesso percorso ed il territorio costiero di Reggio si arricchì di profumati giardini di bergamotto. Ma Il periodo “d’oro” del bergamotto, che per secoli aveva contribuito allo sviluppo economico di Reggio e della sua provincia, subisce una battuta d’arresto quando l’essenza naturale viene sostituita da prodotti sintetici. Il basso costo delle nuove sostanze mette in difficoltà il mercato tanto da dimezzare, negli anni Settanta, gli ettari di terreno dedicati alla coltivazione del bergamotto e la situazione si aggrava a causa di una campagna diffamatoria sugli effetti cancerogeni di questa essenza. Uno studio lungo ed articolato del Comitato Internazionale di Difesa del Bergamotto smentisce questa tesi e nella prima metà del Novecento nasce il Consorzio Produttori Bergamotto, precursore dell’attuale Consorzio del bergamotto, a tutela del prodotto, con i compiti di stabilizzare i prezzi, garantire la purezza dell’essenza, migliorare le tecniche di coltivazione, tutelare i produttori, promuovere attività di ricerca tecnologica per la lavorazione del bergamotto e incentivare la formazione professionale per gli addetti al settore. Nel 2011 il nuovo Statuto dell’Ente favorisce la stabilizzazione dei prezzi e porta, dopo anni di incertezze, alla rivalorizzazione dell’essenza del bergamotto. Già dieci anni prima, nel 2001, l’Unione Europea aveva riconosciuto al Bergamotto di Reggio Calabria – olio essenziale, la Denominazione di Origine Protetta (D.O.P.). Il bergamotto, emblema dei tanti prodotti agroalimentari che solo la Calabria possiede, con la sua frazione polifenolica riconosciuta ormai a livello internazionale, è un alimento simbolo della nutraceutica ed un numero sempre maggiore di aziende producono integratori e preparati di successo. L’agrume calabrese più prezioso al mondo, con i suoi 354 componenti, è prodotto soltanto dalla fiera jonica nel rispetto di equilibri molto delicati legati al clima ed all’ambiente. La nuova attenzione verso tutto ciò che è naturale e prodotto con metodi naturali ha contribuito a rivitalizzare il comparto del bergamotto.
La forte domanda di prodotto biologico è ormai rafforzata per la crescente attenzione alla qualità del cibo ed alla consapevolezza dell’importanza del mangiare sano. Da prodotto utilizzato soprattutto dalle industrie di profumi e del settore farmaceutico, il bergamotto oggi ha un largo consumo grazie alla ricerca ed alle campagne di comunicazione che hanno divulgato le proprietà benefiche del frutto fresco definito “frutto del benessere”. Si può consumare a spicchi dal sapore piuttosto deciso o bevendone il succo fresco puro oppure diluito con acqua o altri succhi come la spremuta di arancia. Il succo trova largo impiego nella preparazione di bevande analcoliche e prodotti alimentari e l’industria dolciaria e dei liquori ha realizzato nuove linee di prodotti dal caratteristico aroma di bergamotto. In questi ultimi anni le superfici coltivate sono aumentate di 500 ettari, il prezzo dell’olio essenziale ha avuto un incremento del 316% ed il bergamotto offre lavoro a circa 7000 operatori: questa cifra potrebbe raddoppiare e le possibilità di impiego sono enormi.
Oggi l’olio essenziale del bergamotto è il prodotto agricolo più remunerativo esistente sul mercato e se si pensa che da un quintale di bergamotto le macchine moderne riescono a ricavare un litro di essenza si capisce quanto sia prezioso. L’intera produzione di essenza di bergamotto viene esportata e oggi, ai paesi europei ed agli Stati Uniti, si sono affiancati nuovi contatti con paesi Asiatici e Sudamericani. Un aumento regolare nei consumi degli ultimi cinque anni fa presagire concrete possibilità di sviluppo e produce a catena un input sulla intera filiera. Un ciclo produttivo, quello del frutto calabrese, rimasto incompiuto per l’assenza di industrie profumiere che sarebbero state, indubbiamente, redditizie per il territorio. L’agricoltura biologica, una sempre maggiore attenzione alla salute ed alla natura hanno incoraggiato i coltivatori di bergamotto ad incrementare le loro produzioni. Il settore agro-alimentare ha registrato dati di ripresa che fanno visualizzare percorsi di sviluppo locale in sinergia col turismo e la cultura. Questo frutto, patrimonio ineguagliabile della biodiversità calabrese, è una chance importante per l’economia del territorio, è un attrattore culturale e turistico che necessita di reti ed indotti. Il territorio della Calabria, ricco, diversificato per geografia e morfologia, prezioso per le sue tradizioni storiche, culturali, artistiche ed agro-alimentari offre segnali di vivacità nelle nuove forme di turismo enogastronomico, rurale, naturale, esperienziale.
Il rilancio, nel nostro territorio, di una nuova economia che pone lo sguardo alla terra e ad i suoi paesaggi, all’ambiente sano, ai prodotti tipici locali ed ai saperi artigiani può emergere in un contesto capace di accogliere nuove prospettive di sviluppo. La ripartenza da una economia della terra potrebbe essere una chiave di svolta in una regione dove l’assenza di industrie non sarebbe più un problema ma un espediente. Sono diversi i produttori di bergamotto che hanno già avviato modelli di sviluppo economico basato sulla produzione agroalimentare nel rispetto e nella tutela dell’ambiente e la proposta di considerare i giardini di bergamotto, il frutto e la sua essenza come patrimonio mondiale dell’umanità potrebbe presto divenire realtà.
Museo del Bergamotto di Reggio Calabria
La storia, l’habitat, le origini, la produttività e gli usi di un frutto reggino unico al mondo nel suo genere sono raccontati dal Museo del bergamotto. Non un semplice percorso, quello che attraversa le sale del museo, ma un lungo ed affascinante viaggio indietro nel tempo, un tempo lungo oltre tre secoli che racchiude la cultura e le tradizioni che circondano questo frutto raro, che raccontano una antica civiltà contadina ed un mestiere ormai sparito, quello dello spiritaro. Miniera di foto, immagini, documenti originali, antichi strumenti di lavoro, macchine di lavorazione, antichi contenitori di rame usati per conservare l’essenza del bergamotto e molto altro ancora, il Museo del bergamotto, fondato nel 2008 dal Prof. Caminiti, occupa una centralissima posizione a Reggio Calabria ed è affiancato dal Museo del cibo con cui condivide l’obiettivo di promuovere l’unicità del bergamotto e delle eccellenze agroalimentari del territorio calabrese. Il racconto affascinante del bergamotto inizia dalla raccolta e dalla lavorazione a mano.
Il percorso, ampiamente corredato da documenti e foto in bianco e nero ma fortemente espressive, ritrae alcuni momenti salienti come una stampa antica che raffigura le donne ed i bambini impegnati nella raccolta perché grazie alla delicatezza delle loro mani non avrebbero danneggiato i frutti. La raccolta, come raccontano ancora i “vecchjareddi”, durava diversi mesi, da novembre a marzo, ed era un momento di gioia che accomunava tutti, dai signori, “gnuri”, ai “tamarri”, i contadini. Gli uomini provvedevano a prendere i frutti dagli alberi staccandoli con le mani o tagliandoli con “‘u tagghja peri”.
I bergamotti si sistemavano all’interno di grosse ceste, dette “ggistri”, e rivestite di tela per proteggere il frutto dagli urti. Dal luogo di raccolta venivano, poi, portate in particolari zone del bergamotteto dove un anziano si occupava di un ulteriore controllo, scartando i frutti inadatti alla lavorazione. Le ceste, quindi, venivano trasportate dalle donne, sul capo, verso i “frabbichi”, i luoghi dove avveniva la lavorazione che proseguiva instancabilmente anche di notte. I contadini, grazie alla loro esperienza diretta, hanno scoperto per primi le proprietà benefiche del bergamotto e consumavano il succo ritenuto capace di difenderli dalle malattie infettive. Avevano intuito le sue proprietà antibatteriche e infatti realizzavano, macerando le foglie, una soluzione disinfettante per le piante. Lungo il percorso del museo ad uno spazio interamente destinato al materiale della chimicazione dell’olio essenziale si affianca la grande sala centrale che custodisce le macchine di estrazione e gli antichi attrezzi di lavoro dello spiritaro.
Molto abile nel trattare e selezionare i frutti, lavorare la scorza ed estrarre l’essenza, fra i suoi strumenti indispensabili c’erano due grosse spugne che, a contatto diretto con la scorza di bergamotto, dovevano essere naturali e la culina o cunculina, una catinella di terracotta col beccuccio nella quale si raccoglieva l’essenza. Essenziale era anche “u rrasteddu”, o rastrello, un cucchiaio tagliente in ferro, a forma uncinata e con una piccola paletta concava affilata che serviva a togliere dal frutto la polpa separandola dalla buccia. Il “rrasteddu”, tagliente come un rasoio, era usato prevalentemente dagli uomini anche se alcune donne si esercitavano ad utilizzarlo con particolari guanti protettivi.
Questo arnese, usato solo dall’inizio del Novecento, è rivoluzionario perché durante la lavorazione l’”agru”, il succo, non si impregnava con l’essenza, “cu u spiritu”, come accadeva precedentemente. La lavorazione richiedeva almeno tre persone: “u tagghjaturi” si occupava di tagliare i frutti per mezzo “d’ ’u cuteddu ‘i spiritaru” scegliendo, per i frutti anomali, la forma migliore per tagliarli. La cassetta piena di frutti veniva poi affidata al “cavaturi” che, uno per volta, ne prelevava la polpa usando “u rrasteddu”. Una operazione rapida e precisa, questa, al termine della quale la scorza destinata alla successiva lavorazione veniva separata dal “pastazzu”, usato come alimento per gli animali o fertilizzante.
La spumatura o sfumatura era il passaggio successivo in cui le bucce, immerse in acqua e calce per 45 minuti, diventavano più dure e compatte per facilitare l’estrazione dell’essenza. Questa era il momento più impegnativo, la conclusione di alcuni passaggi effettuati per preparare il frutto all’ultima e importante lavorazione. In passato questa operazione si faceva di notte perché la luce dei raggi solari avrebbe alterato la fragranza dei composti: lo spiritaro, seduto su uno sgabello, teneva la cunculina fra le gambe e, prendendo una per volta le scorze le faceva roteare premendo energicamente e facendo sprizzare l’essenza dagli otricoli. Quando la catinella era quasi piena la piegava in avanti e, soffiando più volte sopra il liquido faceva fuoriuscire l’essenza, versandola in un altro contenitore e lasciando l’acqua in basso. La soffiatura, “‘a hjuhhjata”, si ripeteva più volte per recuperare quanta più essenza possibile.
Al termine questa veniva finalmente conservata nelle ramiere, grossi contenitori cilindrici di rame. Gli antichi strumenti di lavoro dello spiritaro sono affiancati dalle numerose macchine industriali! L’estrazione con le spugne si era rivelata, fin dall’inizio dell’800, inadeguata alle esigenze del mercato e fu merito del reggino Nicola Barillà l’invenzione, nel 1840, di un primo sistema meccanico per l’estrazione dell’essenza. Pochi anni dopo fu presentato un nuovo prototipo, la Macchina calabrese, che dava inizio all’industrializzazione dell’estrazione dell’olio riuscendo a garantire in tempi brevi non solo una resa elevata ma anche la qualità dell’essenza. Il suo funzionamento a manovella permetteva lo sfregamento dei frutti fra di loro e la fuoriuscita dell’essenza. In merito alla sua qualità, però, alcuni testimoni del passaggio dall’estrazione manuale a quella meccanica affermavano che “…. le essenze discesero dal piano della nobiltà a quello della bontà…”.
Le macchine industriali, le ramiere, i molteplici utensili custoditi nel museo e realizzati in passato esclusivamente da artigiani ed industrie calabresi sono la testimonianza di un importante indotto intorno alla produzione dell’olio essenziale. Questo interessante viaggio indietro nel tempo non poteva che concludersi “in dolcezza” accedendo all’area enogastronomica dedicata alle specialità a base di bergamotto, squisite confetture, conserve, confetti, condimenti sia dolci che salti e prodotti dolciari realizzati col bergamotto. Se il Museo ci ha illustrato minuziosamente la storia affascinante di questo frutto, resta straordinariamente attuale il miracolo del bergamotto che continua a crescere esclusivamente in un’area ristretta della nostra provincia.