E’ ormai noto che Wuhan e la Pianura Padana, tra le aree per prima colpite dalla pandemia di coronavirus, presentino delle caratteristiche simili per condizioni meteo-climatiche, ambientali e anche dal punto di vista demografico e dello sviluppo industriale. In Pianura Padana, il contagio ha dilagato a febbraio-marzo scorsi, provocando un’ecatombe. Giuseppe Cugno, geologo e specialista di territorio, ambiente, clima mediterraneo, rilevatore e coautore di carte geologiche della Sicilia sud-orientale e autore del libro “Scenari meteorologici ambientali mediterranei”, fornisce un’analisi dell’epidemia di coronavirus in Italia in base all’inquinamento e alle condizioni meteorologiche, con particolare focus sulla diffusione del Covid-19 in Pianura Padana, ma anche in altre “aree metropolitane del mondo e d’Italia con alto tasso d’inquinamento atmosferico”.
Cugno sottolinea come “le condizioni meteo morfo climatiche e la stagnazione dell’aria con tutta la miscellanea dell’inquinamento atmosferico e polveri sottili PM 10 e PM 2,5 dentro la cornice alpino appenninica incassante la conca della pianura padana, rappresenta un caso specifico di bacino morfo espositivo che si è svelato di particolare “coltura” diffusiva del coronavirus. La diffusione del coronavirus (si noti molto bene, detto una sola volta ma valido per tutto l’articolo e per tutte le argomentazioni) a parità di densità di popolazione, di densità urbana, di intensità di contatti per specifiche attività e condizioni socioeconomiche, si è manifestata con particolare e specifica maggiore concentrazione in ambiti geografici meteo morfo climatici ben precisi. Il percorso di diffusione del coronavirus nei suoi acuti si è sviluppato come a rincorrere, in grande preferenza, ambienti atmosferici di bacini e aree metropolitane che, sotto scenari meteorologici invernali di calma di alta pressione stagnante, sono predisposte ad alti tassi di inquinamento atmosferico. Il tutto entro una direttrice generale d’indirizzo tendente a inseguire la bassa inclinazione astronomica del sole invernale”.
“Risultato. Con uno scenario di bel tempo di alta pressione intorno al solstizio estivo si è registrata una scarsissima diffusione del virus. Viceversa sotto uno scenario di calma di alta pressione invernale (da cui freddo umido, nebbia, cappe inquinanti, come nel caso della Pianura Padana) si è registrato un alto tasso di diffusione del coronavirus. Dopo l’ondata complessiva “in andata” di febbraio marzo aprile 2020 e dopo la sensibile attenuazione attorno all’apice di calura e insolazione del solstizio estivo, la diffusione di coronavirus ricomincia “in ritorno” ripassando in prevalenza dagli stessi ambiti meteo morfo climatici ma con varianti di frastagliamento locale e progredendo complessivamente verso un maggiore rimescolamento di casi diffusivi, ora distribuiti con più omogeneità (relativa) nel territorio italiano, ma ancora molto variabili da luogo a luogo”, dettaglia Cugno.
“Questa seconda diffusione del virus è ricominciata in coincidenza della fine estate ed in particolare: poco dopo un repentino e anticipato picco freddo di un tipico scenario meteorologico d’irruzione d’aria dai quadranti settentrionali (così espressa per sintesi); dopo il rimescolamento complessivo di contatti estivi; dopo varie circostanze d’assembramento fra cui le elezioni regionali e referendum, l’apertura scuole (comunque la più comprensibile e ragionevolmente combattuta delle scelte, con i pro e i contro difficili da evitare) coi riflessi sul trasporto pubblico complessivo. Di fatto si è registrata una ripartenza di diffusione del coronavirus probabilmente accesa da innumerevoli micce d’occasione contagio nel contesto di un ambiente atmosferico meteo climatico naturale non più protettivo come nel periodo migliore della prorompente estate di sole della nostra generosa madre natura mediterranea”, afferma Cugno.
“Nel palcoscenico della natura meteorologica del Mediterraneo (studiata più in profondità) e del pianeta Terra vi sono delle piste preferenziali di movimenti atmosferici. Questi moti atmosferici portano con sé anche le emissioni della civiltà industriale moderna. I fumi vanno dove li porta il vento. Quando il vento c’è. Quando il vento non c’è, c’è la calma. E proprio nell’ambiente atmosferico di queste calme stagnanti (generalmente più inquinate) il coronavirus si è insinuato maggiormente mostrando di fatto una maggiore diffusione complessiva. Si tratta dello scenario di calma di alta pressione atmosferica, importantissimo anche a fini ambientali. E pertanto da questo scenario generale, di norma vasto, rappresentativo del Mediterraneo, ad alta percentuale di frequenza, ma valido, nelle condizioni fisiche, per tutto il pianeta, ecco di seguito la ricognizione illustrativa dentro lo scenario del bel tempo di alta pressione anticiclonica per gli effetti sull’inquinamento atmosferico. Cosa avviene nell’atmosfera dei luoghi interessati?”, continua l’esperto.
“Si ha l’espansione progressiva del diametro della sfera dei fumi inquinanti attorno alle aree di produzione. L’insieme dei pennacchi delle sorgenti dei vari camini determina un volume di aria inquinata con raggio d’azione che si espanderà sempre più in funzione della persistenza temporale di tali condizioni fisico-meteorologiche. Questa sfera, questo volume d’aria, è il contenitore dei fumi. Può formarsi, una volta grande, una volta piccolo, può non formarsi in funzione, sempre, delle condizioni meteorologiche generali. Cioè le condizioni fisico-meteorologiche decidono e predispongono la grandezza del contenitore, indipendentemente che possa o non possa ricevere fumi. La condizione meteorologica di calma che determina le cappe inquinanti è generalmente accompagnata, soprattutto negli strati atmosferici sopra le valli, le piane alluvionali come la Pianura Padana (la più esemplare e rappresentativa), le conche locali, da un alto tasso di umidità che induce reazioni con le sostanze inquinanti, peggiorandone gli effetti. Le cappe inquinanti, umide, durante le manifestazioni di culmine si presentano come cupa caligine opprimente e visibile dalle panoramiche sulle grandi città”, chiarisce Cugno.
“Nei centri urbani industriali delle fasce costiere se non intervengono interruzioni meteorologiche e persiste immutato lo scenario di calma, il volume della cappa si estende all’entroterra. È importante, per la cognizione d’insieme della problematica, che micro-venti locali registrati dalle centraline, turbolenze dell’aria, brezze leggere localistiche impostate sulla morfologia costiera, bave di vento e brezze di versante impostate sulle varie forme dei rilievi interni e delle scarpate, in tale configurazione sono possibili e frequenti, ma non spostano le cappe significativamente con la ripulita generale dell’aria, così come avverrebbe per un forte scenario ripulente di Maestrale. Bisogna sempre tener presente la struttura a campana di alta pressione, non bisogna perdere di vista l’ambito complessivo vasto. Per caratteristiche meteo-morfo-climatiche predisponenti il sotto scenario di inversione termica è più ricorrente in tutta la Pianura Padana ove insistono i densi centri urbani-industriali del nord Italia, Milano, Torino. L’intero bacino padano, cinturato dall’arco alpino e dalla dorsale ligure-tosco-emiliana risponde di norma in maniera relativamente omogenea alle manifestazioni degli scenari meteorologici che lo investono. In particolare per lo scenario di calma, l’area abbracciata dal dominio di un’alta pressione è in genere enormemente vasta rispetto al bacino padano”.
“Venti locali di brezza, da sud-est, o da nord-ovest, o da nord-est, che hanno la stessa direzione e velocità (cosi rilevata dalle centraline) di venti estesi di origine e natura completamente diversa, provocano effetti differenziati sulla distribuzione dell’inquinamento. Le brezze locali “rigirano” i fumi entro il bacino o l’ambito ristretto considerato, i venti estesi di grandi scenari meteorologici li trascinano lontano (Scirocco, Maestrale, Grecale, ..). È anche per questo che ancora una volta si insiste sul concetto di “scenario meteorologico” che non è un insieme di due parole messe assieme tanto per, ma un modello studiato nei minimi dettagli, soppesato e supportato da migliaia di carte bariche e immagini satellitari l’una sull’altra fino all’identificazione di “Scenario meteorologico” da cui dipende tutto, o quasi tutto. Gli scenari meteorologici che via via si snodano comandano gli avvenimenti, stabiliscono intensità, durata, frequenza di episodi di inquinamento e di trasparenza dell’aria. Il modello “scenario meteorologico” funziona, aggiustato, modellato caso per caso, per altri ambiti della terra, non solo per l’Italia mediterranea. Le due tipologie di vento di uguale direzione e velocità ad attenta valutazione non sono identici: una è brezza locale e l’altro può essere uno Scirocco o un Maestrale o un Grecale”.
“L’inquinamento atmosferico è il killer numero 1 al mondo”, sottolinea Cugno. “Le stagnazioni d’aria dei macro ambienti esterni e le stagnazioni d’aria dei micro ambienti interni (culle diffusive del coronavirus) sono le condizioni ambientali principali per la diffusione del coronavirus e non solo, ma in generale di altri virus e batteri. Serve aria pura. L’aria pura e pulita serve comunque sempre e non ha mai fatto male a nessuno. Aprite le finestre quando possibile, fate circolare l’aria fresca naturale, respirate a pieni polmoni. Le nazioni più industrializzate, più ricche, ad alta tecnologia sono in grande prevalenza quelle più colpite dal coronavirus. In questi luoghi si vive sigillati con aria stagnante riscaldata d’inverno e raffreddata d’estate. Questa è la beffa paradossale del sapere dell’alta tecnologia che crea sofisticati meccanismi di altissimo livello, ma non si accorge di vivere avvolta in una bolla, in un involucro artificiale. Non si accorge di una banalità vitale, che la vita biologica dell’uomo, della natura in generale, funziona ancora a cellule e necessita di aria fresca ossigenata ricambiata e convogliata, in grande, dai movimenti d’aria rigeneranti di una delle immense risorse naturali più utili e più inavvertite della terra: il vento. Così come l’acqua stagnante crea paludi putrefatte, l’aria stagnante crea “paludi” atmosferiche infette da virus e batteri”, conclude Giuseppe Cugno.