Coronavirus, la vitamina D utile per la prevenzione ed il trattamento dei pazienti Covid-19: gli esperti richiamano l’attenzione delle Istituzioni

Spesso si è parlato di un legame tra Vitamina D e coronavirus, in particolar modo della sua utilità nella prevenzione e nel trattamento del COVID-19. La nuova documentazione degli esperti
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Con l’intento di fornire un utile contributo ed un supporto scientifico alle Istituzioni per contrastare la pandemia da COVID-19, l’Accademia di Medicina di Torino ha istituito un gruppo di lavoro, coordinato dal suo Presidente, Prof Giancarlo Isaia,  Professore di Geriatria e da Antonio D’Avolio, Professore di Farmacologia all’Università di Torino, e composto da 61 Medici di molte città italiane; è stato elaborato un documento, inviato alle autorità sanitarie nazionali e regionali, che riporta sinteticamente le più recenti e convincenti evidenze scientifiche sugli effetti positivi della vitamina D, sia nella prevenzione che nelle complicanze del coronavirus, e che può essere condiviso inviando una mail all’Accademia di Medicina di Torino (accademia.medicina@unito.it).

La pandemia da Coronavirus si è manifestata e diffusa con caratteristiche peculiari e, nonostante sia presente da circa un anno, la ricerca scientifica, orientata prevalentemente verso la sintesi di anticorpi specifici diretti sull’agente etiologico e la produzione di un vaccino, non ha fornito sufficienti conoscenze: poco si sa delle caratteristiche fisiopatologiche della malattia, dei meccanismi che ne favoriscono l’aggressione alla specie umana, dei target verso cui indirizzare un trattamento farmacologico, e, infine, neppure delle caratteristiche immunologiche del virus. Tutto ciò rende molto problematiche le strategie difensive, ad oggi di fatto limitate alle indiscutibili e fondamentali misure di distanziamento fisico e di igiene individuale.

Sulla base di queste premesse, ci permettiamo di richiamare l’attenzione delle Istituzioni, del mondo scientifico e dell’opinione pubblica su un aspetto, già sollevato nei mesi scorsi (Isaia G & Medico E, https//doi:10.1007/s40520-020-01650-9) che si è via via accreditato con numerose evidenze scientifiche: ci riferiamo alla carenza di vitamina D, della quale sono noti da tempo gli effetti sulla risposta immunitaria, sia innata che adattiva (Charoenngam N & Holick M, https://doi.org/10.3390/nu12072097) e che si sviluppa nei pazienti affetti da COVID-19 in conseguenza di differenti meccanismi fisiopatologici (Aygun H et al., https://doi.org/10.1007/s00210-020-01911-4), ma forse anche a seguito di una ridotta disponibilità di 7-deidrocolesterolo e di conseguenza del suo metabolita colecalciferolo, per la  marcata riduzione della colesterolemia osservata nei pazienti con forme moderate o severe di COVID-19 (Marcello A. et al., https://doi.org/10.1016/j.redox.2020.101682).

Ad oggi è possibile reperire su PubMed circa 300 lavori, editi nel 2020, con oggetto il legame tra COVID-19 e vitamina D, condotti sia retrospettivamente (Meltzer D et al., https://doi:10.1001/jamanetworkopen.2020.19722), che con metanalisi (Pereira M et al., https://doi.org/10.1080/10408398.2020.1841090), che hanno confermato la presenza di ipovitaminosi D nella maggioranza dei pazienti affetti da COVID-19, soprattutto se in forma severa (Kohlmeier M et al., https://doi:10.1136/bmjnph-2020-000096) e di una più elevata mortalità (OR 3,87) ad essa associata (De Smet D et al., https://doi:10.1093/ajcp/aqaa252): tutti questi dati forniscono a nostro giudizio interessanti elementi di riflessione e di ripensamento su un intervento potenzialmente utile a tutta la popolazione anziana, che in Italia è in larga misura carente di vitamina D (Isaia G et al., https://doi.org/10.1007/s00198-003-1390-7). E’ stata infatti largamente evidenziata, con un’unica eccezione riportata in un lavoro, peraltro non ancora pubblicato e condotto su pazienti in uno stadio molto avanzato della malattia (Murai IH et al., https://doi.org/10.1101/2020.11.16.20232397), l’utilità della somministrazione di Vitamina D (in prevalenza colecalciferolo) a pazienti COVID-19. A scopo propositivo, abbiamo selezionato alcuni dati, ottenuti con adeguata sperimentazione clinica, che a nostro parere, nonostante alcuni limiti metodologici, sono degni di attenzione da parte delle autorità sanitarie, al fine di considerare l’utilizzo della Vitamina D sia per la prevenzione che per il trattamento dei pazienti COVID-19.

  • In uno studio osservazionale di 6 settimane su 154 pazienti, la prevalenza di soggetti ipovitaminosici D (<20 ng/mL) è risultata del 31,86% negli asintomatici e del 96,82% in quelli che sono stati poi ricoverati in terapia intensiva (Jain A et al., https://doi.org/10.1038/s41598-020-77093-z)
  • In uno studio randomizzato su 76 pazienti oligosintomatici, la percentuale di soggetti per i quali è stato necessario, successivamente, il ricovero in terapia intensiva, è stata del 2% (1/50) se trattati con dosi elevate di calcifediolo e del 50% (13/26) nei pazienti non trattati (Castillo ME et al., https://doi.org/10.1016/j.jsbmb.2020.105751).
  • Uno studio retrospettivo su oltre 190.000 pazienti ha evidenziato la presenza di una significativa correlazione fra la bassa percentuale dei soggetti positivi alla malattia e più elevati livelli circolanti di 25OHD (Kaufman HW et al., https://doi.org/10.1371/journal.pone.0239252)
  • In 77 soggetti anziani ospedalizzati per COVID-19, la probabilità di sopravvivenza alla malattia, stimata con la curva di Kaplan–Meier, è risultata significativamente correlata con la somministrazione di colecalciferolo, assunto nell’anno precedente alla dose di 50.000 UI al mese, oppure di 80.000-100.000 UI per 2-3 mesi, oppure ancora di 80.000 UI al momento della diagnosi. (Annweiler G. et al., GERIA-COVID Study https://doi.org/10.3390/nu12113377)
  • Nei pazienti PCR-positivi per SARS-CoV-2, i livelli di vitamina D sono risultati significativamente minori (p=0.004) rispetto a quelli dei pazienti PCR-negativi (dato poi confermato da altri lavori in termini di maggiore velocità di clearance virale e guarigione per coloro che hanno livelli ematici più elevati di vitamina D) (D’Avolio et al., https://doi.org/10.3390/nu12051359).
  • In una sperimentazione clinica su 40 pazienti asintomatici o paucisintomatici è stata osservata la negativizzazione della malattia nel 62,5% (10/16) dei pazienti trattati con alte dosi di colecalciferolo (60.000 UI/die per 7 giorni), contro il 20,8% (5/24) dei pazienti del gruppo di controllo. Nei pazienti trattati è stata inoltre riscontrata una riduzione significativa dei livelli plasmatici di fibrinogeno (Rastogi A. et al., SHADE Study http://dx.doi.org/10.1136/postgradmedj-2020-139065)

Sulla base dei risultati di questi e di altri studi, formuliamo le seguenti considerazioni:

  • Anche se sono necessari ulteriori studi controllati, la vitamina D sembra più efficace contro il COVID-19 (sia per la velocità di negativizzazione, sia per l’evoluzione benigna della malattia in caso di infezione) se somministrata con obiettivi di prevenzione (Balla M et al., https://doi.org/10.1080/20009666.2020.1811074), soprattutto nei soggetti anziani, fragili e istituzionalizzati.
  • Il target plasmatico minimo ottimale del 25(OH)D da raggiungere in ambito PREVENTIVO sarebbe di 40 ng/mL (Maghbooli Z. et al., https://doi.org/10.1371/journal.pone.0239799), per ottenere il quale occorre somministrare elevate dosi di colecalciferolo, anche in relazione ai livelli basali del paziente, e fino a 4000 UI/die (Arboleda JF & Urcuqui-Inchima S, https://doi.org/10.3389/fimmu.2020.01523)
  • In ambito TERAPEUTICO, gli studi randomizzati indicano l’utilità di un’unica somministrazione in bolo di 80.000 UI di colecalciferolo (N° 4, Annweiler G et al.), oppure di calcifediolo (0,532 mg il 1° giorno, 0,266 mg il 3°, il 7° giorno e poi una volta alla settimana) (N° 2, Castillo ME et al.), oppure ancora di 60000 IU di colecalciferolo per 7 giorni, con l’obiettivo di raggiungere 50 ng/mL di 25 (OH)D (N° 6, Rastogi A et al.).

Nonostante questi ed altri dati, l’impiego della Vitamina D nella prevenzione e nella terapia del COVID-19 non è stato preso in considerazione, con la giustificazione dell’assenza di un’evidenza scientifica sufficiente, che invece, a differenza di altre vitamine o integratori, nei lavori più recenti sta a poco a poco emergendo.

In Gran Bretagna invece, e prima ancora in Scozia, con disposizione governativa, (https://www.theguardian.com/world/2020/nov/14/covid-uk-government-requests-guidance-on-vitamin-d-use) è stata recentemente disposta la supplementazione di vitamina D a 2,7 milioni di soggetti a rischio di COVID-19 (gli anziani, la popolazione di colore e i residenti nelle RSA) con un’operazione che alla Camera dei Comuni è stata definita low-cost, zero-risk, potentially highly effective action”: ne è seguito un vivace dibattito scientifico, con qualche riserva espressa dal NICE (https://www.nice.org.uk/advice/es28/resources/covid19-rapid-evidence-summary-vitamin-d-for-covid19-pdf-1158182526661), ma con il sostegno della Royal Society of London (https://doi.org/10.1098/rsos.201912https://doi.org/10.1098/rsos.201912) che la definisce  “…seems nothing to lose and potentially much to gain”

In conclusione, anche se l’utilità della Vitamina D nella prevenzione e nel trattamento del COVID-19 non è ancora del tutto ben definita, riteniamo che i dati che abbiamo sinteticamente riportato, suggeriscano un serio approfondimento in materia:

a) con l’attivazione di una consensus conference e/o di uno studio clinico randomizzato e controllato, promosso e supportato dallo Stato, sull’efficacia terapeutica della Vitamina D, a pazienti sintomatici o oligosintomatici, secondo uno dei seguenti schemi:

  • Colecalciferolo per via orale 60.000 UI/die per 7 giorni consecutivi
  • Colecalciferolo in monosomministrazione orale 80.000 (nei pazienti anziani)
  • Calcifediolo 532 mg (106 gocce) nel giorno 1 e 0,266 mg (53 gocce) nei giorni 3 e 7 e poi in monosomministrazione settimanale.

b) Con la somministrazione preventiva di Colecalciferolo orale (fino a 4000 UI/die) a soggetti a rischio di contagio (anziani, fragili, obesi, operatori sanitari, congiunti di pazienti infetti, soggetti in comunità chiuse); segnaliamo che in questo ambito l’utilizzo della vitamina D che, anche ad alte dosi, non presenta sostanziali effetti collaterali (Murai IH et al., https://doi.org/10.1101/2020.11.16.20232397), è comunque utile per correggere una situazione di specifica carenza generale della popolazione, soprattutto nel periodo invernale, indipendentemente dalla infezione da SARS-CoV-2.

A disposizione per ulteriori ragguagli, auspichiamo che questa nostra proposta, supportata da suggestive evidenze scientifiche, venga presa in seria considerazione e di conseguenza vengano assunti i provvedimenti ritenuti più opportuni,

  • Giancarlo Isaia Professore di Geriatria, Università di Torino e Presidente dell’Accademia di Medicina di Torino
  • Antonio D’Avolio Professore di Farmacologia, Università di Torino
  • Donato Agnusdei Endocrinologo, Siena
  • Paolo Arese Professore Emerito di Biochimica, Università di Torino
  • Marco Astegiano Responsabile ambulatori Gastroenterologia, Città della salute e della scienza di Torino
  • Mario Barbagallo Professore Ordinario di Geriatria, Università di Palermo
  • Alessandro Bargoni Professore di Storia della Medicina, Università di Torino
  • Ettore Bologna Direttore Medico-scientifico della Fondazione Piera, Pietro e Giovanni Ferrero, Alba (CN)
  • Amalia Bosia Professoressa Emerita di Biochimica, Università di Torino
  • Teresa Cammarota Primario Emerito di Radiologia AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, Vice Presidente dell’Accademia di Medicina di Torino
  • Mario Campogrande Primario Emerito di Ostetrica e Ginecologia, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino
  • Rossana Cavallo Professoressa di Microbiologia, Università di Torino
  • Paolo Cavallo Perin Professore di Medicina Interna, Università di Torino
  • Carlo Ceruti Professore di Urologia, Università di Torino
  • Alessandro Comandone Primario di Oncologia, ASL Città di Torino
  • Fausto Crapanzano Responsabile UOC di Riabilitazione, ASP di Agrigento
  • Flora D’Ambrosio Fisiatra, INRCA-IRCCS, Ancona
  • Giuseppe De Renzi Responsabile Microbiologia Laboratorio Analisi, AOU San Luigi  Orbassano (TO).
  • Umberto Dianzani Professore di Immunologia, Università del Piemonte Orientale
  • Francesco Di Carlo Professore Emerito di Farmacologia, Università di Torino,
  • Ombretta Di Munno Professoressa di Reumatologia, Università di Pisa
  • Marco Di Stefano Dirigente Medico di I livello di Geriatria, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino
  • Ligia Dominguez Professoressa di Geriatria, Università di Palermo
  • Pier Paolo Donadio già Direttore del Dip. di Anestesia, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino
  • Roberto Fantozzi Professore di Farmacologia, Università di Torino
  • Etta Finocchiaro Dirigente Medico Dietetica e Nutrizione Clinica, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino
  • Guido Forni Immunologo, Socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei
  • Cristiano Maria Francucci Endocrinologo, INRCA-IRCCS Ancona
  • Gianluca Isaia Dirigente Medico di I livello di Geriatria, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino
  • Maurizio Maggiorotti Segretario Generale della Federazione Italiana Ossigeno-Ozono
  • Fabio Malavasi Professore Emerito di Genetica Medica, Università di Torino
  • Patrizia Mecocci Professoressa di Gerontologia e Geriatria, Università d Perugia
  • Enzo Medico Professore di Istologia, Università di Torino,
  • Sivia Migliaccio Professoressa di Scienze Tecniche Applicate, Università Foro Italico di Roma
  • Marco Alessandro Minetto Professore di Medicina Fisica e Riabilitazione, Università di Torino
  • Giovanni Minisola Reumatologo, Presidente emerito SIR e Direttore Scientifico Fondazione “San Camillo-Forlanini” – Roma
  • Mario Nano Professore di Chirurgia Generale, Università di Torino
  • Fabio Orlandi Professore di Endocrinologia, Università di Torino
  • Luca Pietrogrande Professore di Ortopedia, Università di Milano
  • Giuseppe Poli Professore di Patologia Generale, Università di Torino
  • Patrizia Presbitero Primario d Cardiologia interventistica, Istituto clinico Humanitas di Rozzano (MI)
  • Pietro Quaglino, Professore di Dermatologia, Università di Torino
  • Giovanni Renato Riccardi Fisiatra, INRCA-IRCCS Ancona
  • Giovanni Ricevuti Professore di Geriatria, Università di Pavia
  • Dario Roccatello Professore di Nefrologia, Università di Torino
  • Floriano Rosina Gastroenterologo, Torino
  • Carmelinda Ruggiero Professoressa di Geriatria, Università di Perugia
  • Giuseppe Saglio Professore di Ematologia, Università di Torino
  • Sergio Salomone Ortopedico, Direttore Sanitario Centro Medico polispecialistico, Palermo
  • Anna Sapino Professoressa di Anatomia e Istologia Patologica, Università di Torino
  • Francesco Scarnati Ortopedico, Centro Medilab, Taverna di Montalto (CS)
  • Francesco Scaroina Primario Emerito di Medicina Generale, AOU Città di Torino
  • Giuseppe Segoloni Professore di Nefrologia, Università di Torino
  • Luigi Massimino Sena Professore di Patologia Generale, Università di Torino
  • Umberto Senin Professore Emerito di Gerontologia e Geriatria, Università di Perugia
  • Endrit Shahini Gastroenterologo-endoscopista, IRCCS Cancer Institute di Candiolo (TO)
  • Alberto Silvestri Dirigente medico di I livello di Medicina Interna, ASO Santa Croce e Carle di Cuneo
  • Piero Stratta Professore di Nefrologia, Università del Piemonte Orientale
  • Gabriella Tanturri Otorinolaringoiatra, già Direttrice SS day Surgery, Città della Salute e della Scienza di Torino
  • Alessandro Vercelli Professore di Anatomia Umana, Università di Torino
  • Elsa Viora Direttrice SS Ecografia e diagnosi prenatale, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino

Nota: Le sottoscrizioni sono a titolo personale, senza coinvolgimento delle rispettive Istituzioni di riferimento

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