In Italia sono 4,5 milioni le persone affette da osteoporosi, per i due terzi donne [1], costrette a fare i conti con ossa fragili e sottili, a rischio frattura, anche in assenza di traumi. In particolare, si stima che dopo i 50 anni, 1 donna su 3 e 1 uomo su 5 siano destinati a subire una frattura [1], che in genere si manifesta in forma clinicamente più grave nel sesso maschile. Nonostante l’impatto epidemiologico e sociale, si registrano ancora forti ritardi nella diagnosi. Inoltre, se non trattata in maniera adeguata, la malattia può pregiudicare significativamente la qualità e l’aspettativa di vita dei pazienti.
A richiamare l’attenzione sulla centralità di un’attenta valutazione dei fattori di rischio ai fini della diagnosi precoce, e sull’importanza di promuovere l’appropriatezza e l’aderenza terapeutica per ridurre il rischio di fratture, sono stati gli esperti riuniti nell’edizione 2020 di OsteoDay, l’evento scientifico annuale che ha riunito in modalità virtuale i diversi specialisti coinvolti nella presa in carico del paziente con osteopenie: ortopedici, reumatologi, geriatri, fisiatri, internisti. L’iniziativa è stata realizzata con il contributo incondizionato di Chiesi Italia, la filiale italiana del Gruppo Chiesi. “L’80% dei pazienti con osteoporosi arriva in ritardo alla diagnosi anche quando avviene a seguito di una frattura del femore, che dovrebbe far porre il sospetto. A maggior ragione, pertanto, si tende a trascurare l’impatto delle fratture vertebrali che, nella metà dei casi, sono silenti o paucisintomatiche – spiega Bruno Frediani, professore ordinario di Reumatologia all’Università di Siena e responsabile scientifico dell’evento -. Per questo motivo è fondamentale una valutazione approfondita dei fattori di rischio: età, predisposizione genetica, presenza di patologie infiammatorie concomitanti, assunzione di specifiche categorie di farmaci, cambiamenti ormonali, senza trascurare che il calo degli estrogeni (gli ormoni che contribuiscono a mantenere la salute dell’osso) tipicamente associato alla menopausa, interessa anche l’uomo. Una strategia diagnostica efficace dovrebbe prevedere, a partire dai 60 anni per la donna e dai 70 anni per l’uomo, l’esecuzione di un esame radiologico della colonna, da ripetersi ogni due anni, finalizzato a valutare l’eventuale abbassamento del corpo vertebrale, per prevenire il rischio di ulteriori fratture”.
Gli esperti hanno focalizzato l’attenzione anche sul ruolo dello stile di vita – assunzione di calcio tramite la dieta e attività fisica – per la prevenzione dell’osteoporosi. “Il raggiungimento del picco di massa ossea – aggiunge il prof. Frediani – che si realizza intorno ai 30 anni, è ascrivibile per l’80% a fattori genetici e per il 20% a corrette abitudini di vita. Arrivare in età adulta, a ridosso della menopausa, con una riserva di massa ossea del 20% in più o in meno rispetto a quella ricevuta da madre natura, può cambiare le prospettive dei pazienti”.
Due aspetti cruciali ai fini di una corretta gestione dell’osteoporosi sono da un lato l’appropriatezza terapeutica e dall’altro l’aderenza al trattamento, ma per entrambi permangono delle criticità. “Solo 2 pazienti su 10 – conclude il prof. Frediani – ricevono una terapia appropriata, che dovrebbe sempre prevedere l’associazione di farmaci anti-fratturativi, bisfosfonati in prima linea, e vitamina D. La sola terapia di integrazione con la vitamina D, infatti, si è dimostrata inefficace nella prevenzione delle fratture. Un monito per gli specialisti, ma anche per i pazienti che, nel 50% dei casi, abbandonano le terapie entro un anno dall’inizio del trattamento”.
“Il supporto alla formazione della classe medica è da sempre una parte rilevante del nostro impegno e della nostra collaborazione con la comunità scientifica”, commenta Raffaello Innocenti, Direttore Generale di Chiesi Italia “Sosteniamo da oltre dieci anni questa iniziativa, con l’obiettivo di favorire il confronto e la condivisione di esperienze di pratica clinica tra i diversi professionisti coinvolti nella gestione delle osteopenie e di promuovere un approccio al paziente fragile sempre più globale e integrato, in linea con in nostri valori di azienda certificata B Corp”.