Tra le festività di dicembre in tutto il mondo gli antichi romani celebravano i Saturnalia, le feste in onore di Saturno, il dio dell’età dell’oro e del tempo che accompagnava verso la chiusura del ciclo del vecchio anno e ne apriva uno nuovo.
Allora come oggi, durante le feste di dicembre, si facevano banchetti e ci si scambiava doni, si giocava e si partecipava alle celebrazioni, ci si scambiava gli auguri di buone feste e per l’anno futuro e si brindava con ricolmi bicchieri di vino che di tanto in tanto portavano a oltrepassare qualche limite. Un’ analogia con un’era passata che ci fa comprendere quanto ancora siamo legati all’antico popolo romano.
Cos’erano i Saturnalia
La loro origine si fa risalire secondo la tradizione al periodo monarchico, ma l’organizzazione definitiva della festa avvenne nel 217 a.C. a seguito della spinta generata dai disastri militari delle guerre puniche.
La durata dei giorni fu portata a due con Cesare e a quattro sotto Caligola, a sette infine venne fissato definitivamente in epoca imperiale da Domiziano.
Inizialmente questa festività non era particolarmente importante e faceva parte del ciclo di feste agrarie celebrate in onore di Ops, la dea dell’abbondanza e dei frutti della terra nonché sposa di Saturno; assunsero in seguito il significato di un rito che richiamava l’antica età dell’oro, quando proprio sotto il regno di Saturno, si viveva in pace e nell’abbondanza.
Esiodo nelle sue parole de Le opere e i giorni descriveva così questo tempo mitico: “un’aurea stirpe di uomini mortali crearono nei primissimi tempi gli immortali che hanno la dimora sull’Olimpo. Essi vissero ai tempi di Crono [ossia Saturno, ndr], quando regnava nel cielo; come Dei passavan la vita con l’animo sgombro da angosce, lontani dalle fatiche e dalla miseria; né la misera vecchiaia incombeva su loro… tutte le cose belle essi avevano”
In onore di Saturno, dunque, per sette giorni si commemoravano i tempi del suo regno felice, cercando di ricrearlo con divertimento, scambi di doni e banchetti, persino gli schiavi venivano equiparati ai padroni perché non dovevano esserci differenze di ceto sotto il regno della divinità.
Egli si assicurava del buon andamento delle celebrazioni e allo stesso tempo aveva la funzione satirica di riproporre un’antitesi del senatus princeps (l’imperatore) e quella di rappresentare Saturno stesso, protettore delle campagne e dei raccolti.
Proprio alle divinità degli inferi, in particolare a Saturno, Plutone e Proserpina, erano dedicati i sacrifici rituali. Si riteneva che, in quei giorni, quando queste divinità vagavano sulla superficie abbandonando il sottosuolo la terra riposasse incolta nel gelo invernale e che l’offerta di doni, sacrifici e feste in loro onore potesse renderli benevoli e farli ritornare nell’aldilà, permettendo così alla terra di tornare a germogliare in primavera.
In seguito, il Senato indiceva un lectisternium, rito rivolto all’immagine del dio Saturno che si concludeva con un convivium publicum, ovvero un banchetto collettivo.
In questo momento le statue di Giove e dei 12 dèi principali venivano stese sui letti in atteggiamento commensale, a loro si parlava, e con grande rispetto si chiedeva la protezione di Roma e dei cittadini.
I Saturnali prevedevano banchetti e processioni, fiumi di vino scorrevano nelle case dei romani e non mancavano gli sconfinamenti in rapporti piuttosto licenziosi, inoltre, in deroga alla proibizione del gioco d’azzardo anch’esso era concesso durante questi sette giorni.
I Saturnalia rappresentavano il passaggio tra l’anno vecchio e il nuovo, il ricongiungimento di due cicli cosmici.
Per questo motivo i giorni fino a Capodanno venivano vissuti, nell’apparente contraddizione fra euforia, confusione e desiderio di rinnovamento, in attesa di una rinascita. Di Saturno, appunto che chiudesse un ciclo e ne aprisse uno nuovo.
Le celebrazioni dei Saturnalia: usanze e tradizioni come il nostro Natale
Proprio come le attuali festività di dicembre in tutto il mondo, durante questi giorni si scambiavano doni come noci, datteri, miele, ceri o statuette d’argilla creati con la pasta rossa detta sigillata, chiamati strenne dal nome della déa Strenua (la dèa del solstizio d’inverno).
Venivano composti epigrammi che si accompagnavano ai doni, analogamente a quanto accade oggi con le melodie natalizie, e talvolta venivano utilizzati per fare pubblicità al commercio di oggetti che si svolgeva ai margini della festa, dei veri e propri jingle pubblicitari.
Durante i giorni della festività di dicembre in tutto il mondo romano ci si scambiava un augurio con la frase “ego Saturnalia”, l’abbreviazione di “ego tibi optimis Saturnalia auspico” cioè io ti auguro di trascorrere lieti Saturnalia.
Lo stesso Cristo tra il II e il IV secolo d.C. fu indentificato come un Dio Sole, ribadendo nella simbologia le tracce dell’antica civiltà romana che ancora permangono nell’immaginario collettivo di tutta l’umanità e su cui si basano le radici profonde delle celebrazioni e delle festività del nostro Natale cristiano.