Nel 2020 il numero di nuovi casi di tumore del fegato registrati nel nostro Paese ammontano a 13.000. Di questi 9.100 sono stati causati dai virus dell’epatite B e C e i rimanenti da altre malattie del fegato. I decessi totali sono stati 7.800 e, a differenza di altre patologie oncologiche, non si registrano significativi miglioramenti in termini di sopravvivenza negli ultimi anni. Diventa così fondamentale favorire la prevenzione, che deve passare anche da stili di vita sani. Nelle Regioni del Nord d’Italia infatti l’abuso di alcol è responsabile di un terzo di tutti gli epatocarcinomi. È quanto è emerso oggi in un media tutorial al quale hanno partecipato rappresentanti dei clinici e dei pazienti. L’evento è promosso dall’Associazione EpaC Onlus e realizzato grazie a un grant incondizionato di Ipsen.
“Le due patologie infiammatorie epatiche sono le principali responsabili del 70% delle neoplasie – sottolinea il prof. Antonio Gasbarrini, Direttore di Medicina interna Gastroenterologia presso l’Università Cattolica Fondazione-Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma –. Un singolo virus dell’epatite B o C aumenta il rischio di sviluppo di tumore del fegato di 20 volte, mentre la coinfezione di entrambi gli agenti patogeni determina un incremento addirittura di 80 volte. Gli altri principali fattori di rischio sono invece riconducibili al grave eccesso di peso soprattutto se complicato ulteriormente dal diabete. Un ruolo nefasto, anche in questa malattia oncologica, è quello svolto dal fumo di sigaretta. Il tumore del fegato si manifesta nella quasi totalità dei casi durante la fase della cirrosi epatica, sempre più spesso legata all’abuso di bevande alcoliche. In Italia colpisce oltre 450mila persone e si calcola che fino al 3% di queste svilupperà anche un epatocarcinoma. La prevenzione primaria deve prevedere quindi la promozione di comportamenti individuali virtuosi e salutari. Fondamentale è anche la vaccinazione contro l’infezione da HBV che deve essere svolta in età pediatrica. Attualmente il tasso di copertura registrato a livello nazionale è del 94% però rischiamo, nei prossimi anni, un calo delle immunizzazioni come conseguenza indiretta della pandemia”.
Al media tutorial ampio spazio è dedicato anche alle cure a disposizione di pazienti e caregiver. “Attualmente solo il 20% dei pazienti sopravvive a cinque anni dalla diagnosi – aggiunge il prof. Bruno Daniele, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Oncologia dell’Ospedale del Mare di Napoli -. E’ un tumore infatti molto aggressivo che spesso insorge in un fegato cirrotico in pazienti con ridotta funzione epatica. Appena in un caso su dieci possiamo intervenire in modo efficace con interventi chirurgici mentre la radioterapia è scarsamente utilizzata. Il trapianto rappresenta un trattamento ottimale del paziente perché affronta e risolve anche il serio problema della cirrosi epatica. Tuttavia il trapianto viene effettuato ad una minoranza di malati. Oggi si stanno affacciando nuove cure tra le quali si segnala cabozantinib. E’ una terapia orale di seconda e terza linea già utilizzata per il carcinoma a cellule renali. Da alcuni mesi è disponibile in Italia anche contro le forme più avanzate di epatocarcinoma”.
In Italia vivono 33.800 persone con una diagnosi di tumore del fegato: 25.300 uomini e 8.500 donne. “E’ un numero in leggera crescita negli ultimi anni – sostiene Ivan Gardini, Presidente dell’Associazione EpaC Onlus -. La nostra associazione è da anni impegnata per tutelarne i diritti e come rappresentati dei pazienti siamo convinti che la malattia vada gestita in strutture specializzate da un team multidisciplinare. Il paziente deve essere sempre più preso in carico e valutato da una squadra composta da epatologi, oncologi, chirurghi e radiologi diagnostici ed interventistici. Ognuno di questi professionisti può portare la sua esperienza e dare un contributo per curare una forma di cancro davvero molto complessa. Questo approccio deve essere reso operativo e garantito soprattutto in questo momento preciso storico ed è auspicabile la creazione di una rete regionale di strutture in grado di offrire le cure migliori e più appropriate. Stanno sopraggiungendo nuove e più efficaci terapie dopo anni di sostanziale immobilismo”.
“Il fegato è un organo estremamente delicato, un vero e proprio “filtro” del nostro corpo – conclude il prof. Gasbarrini –. Ogni volta che andiamo ad eseguire un trattamento in questa zona dell’organismo dobbiamo prestare molta attenzione a possibili complicanze ed effetti collaterali. I nuovi farmaci disponibili ora e in futuro sono efficaci ma anche delicati da gestire. Vanno perciò somministrati tendendo conto dello stato di salute generale del paziente. Dobbiamo, infatti, evitare che terapia antitumorale determini un danneggiamento della funzione epatica tale da compromettere i potenziali vantaggi dell’azione antineoplastica. Per questo è necessario un intervento da parte di un team multidisciplinare che possa valutare a 360 gradi le migliori cure possibili per ogni singolo malato”.