Il test genomico può evitare la chemioterapia nella maggior parte delle donne in postmenopausa con carcinoma della mammella in stadio iniziale con linfonodi positivi. Lo dimostra lo studio di fase III RxPONDER, che verrà presentato in sessione plenaria al “San Antonio Breast Cancer Symposium”, il più importante congresso internazionale dedicato a questa neoplasia, in corso fino all’11 dicembre in forma virtuale. La ricerca ha coinvolto 5.083 donne con tumore del seno in stadio iniziale (II-III), che esprime i recettori estrogenici ma non la proteina HER2 (ER+/HER2-), con coinvolgimento dei linfonodi ascellari (da uno a tre). Circa due terzi erano in postmenopausa. Le pazienti sono state sottoposte al test genomico Oncotype DX, in grado di stabilire, in base a uno specifico punteggio, quanto la neoplasia è aggressiva e la risposta alla chemioterapia. Quasi il 92% (91,9%) delle donne in postmenopausa trattate con la sola terapia ormonale, a 5 anni, era vivo e libero da malattia invasiva, senza differenze significative rispetto alle pazienti che hanno ricevuto anche la chemioterapia (91,6%) dopo l’intervento (sono state considerate le pazienti che esprimevano un punteggio del test pari o inferiore a 25). In Italia, nel 2020, sono stimati quasi 55mila nuovi casi di tumore della mammella (54.976).
“Circa il 25% delle pazienti con carcinoma mammario in fase iniziale, che esprime i recettori estrogenici ma non la proteina HER2, ha una malattia che si è diffusa ai linfonodi e due su tre sono in postmenopausa. La maggioranza attualmente riceve la chemioterapia dopo l’intervento – afferma Saverio Cinieri, Presidente eletto Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) e Direttore Oncologia Medica e Breast Unit dell’Ospedale ‘Perrino’ di Brindisi –. L’obiettivo del trattamento adiuvante, cioè successivo alla chirurgia, è offrire a ogni paziente con carcinoma mammario in fase precoce le migliori possibilità di cura. In questi casi, dopo la chirurgia, la terapia prevede il trattamento ormonale, che può essere associato a chemioterapia nei casi ritenuti a maggior rischio di recidiva, ad esempio in presenza di un interessamento dei linfonodi. I test genomici sono uno strumento estremamente importante nella scelta del trattamento per le donne che, in base alle caratteristiche anatomopatologiche e cliniche, sono in una sorta di ‘zona grigia’, in una fase in cui non si può includere o escludere con certezza la chemioterapia rispetto alla sola terapia ormonale. I risultati dello studio RxPONDER possono cambiare la pratica clinica e dimostrano che la grande maggioranza delle donne in postmenopausa può evitare chemioterapie inappropriate e ricevere solo la terapia ormonale. Si tratta di un risultato molto importante soprattutto durante la pandemia, perché la chemioterapia rende le pazienti più vulnerabili a complicanze in caso di contagio”.
Lo studio RxPONDER è stato condotto da SWOG Cancer Research Network con il supporto del National Cancer Institute (USA). L’obiettivo era determinare quali pazienti con tumore del seno HR-positivo, HER2-negativo e linfonodi ascellari positivi (da uno a tre) traessero vantaggio dalla chemioterapia e quali invece potessero evitarla in sicurezza e ottenere risultati simili solo con la terapia ormonale. “Ad oggi non erano disponibili dati di un grande studio clinico randomizzato in grado di indirizzare la decisione – spiega Giuseppe Curigliano, Professore di Oncologia Medica all’Università di Milano e Direttore Divisione Sviluppo di Nuovi Farmaci per Terapie Innovative all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano –. Lo studio RxPONDER ha mostrato un effetto diverso della chemioterapia, sulla base dei risultati del test genomico, per le donne in postmenopausa e in premenopausa. I risultati evidenziano che le pazienti in postmenopausa con questo tipo di malattia e con un risultato Recurrence Score, cioè un punteggio del test genomico, pari o inferiore a 25, possono evitare in sicurezza la chemioterapia dopo la chirurgia. Al contrario, lo studio ha dimostrato che le pazienti in premenopausa con tumore del seno con le stesse caratteristiche dovrebbero considerare la chemioterapia adiuvante. Il tasso di sopravvivenza libera da malattia invasiva infatti è migliorato del 5%, passando dall’89% con la sola terapia ormonale al 94,2% aggiungendo la chemioterapia nelle donne in premenopausa”.
Il risultato Recurrence Score, che va da zero a 100, è stato calcolato con il test genomico Oncotype DX, che fornisce la determinazione individualizzata del rischio basata sul genoma nel tumore del seno invasivo in stadio iniziale. Oncotype DX, che è eseguito su campione tumorale proveniente da tessuto chirurgico, è un test multigenico scientificamente validato ed estesamente utilizzato nella pratica clinica. I test genomici sono raccomandati dalle più importanti linee guida internazionali, come quelle della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO), del National Comprehensive Cancer Network (NCCN) e della St. Gallen International Breast Cancer Conference.
“Queste analisi molecolari – conclude Saverio Cinieri – sono in grado di identificare, in alcune tipologie di pazienti, coloro che hanno migliore o peggiore prognosi e maggiore o minore probabilità di trarre beneficio dalla chemioterapia adiuvante o dalla sola terapia ormonale. Ad oggi in Italia, solo la Lombardia, la Toscana e la Provincia Autonoma di Bolzano ne hanno approvato la rimborsabilità, pur trattandosi di una tematica dibattuta a livello regionale, come dimostrano le mozioni a favore della gratuità presentate nei Consigli regionali di Sardegna, Emilia-Romagna e Lazio. L’obiettivo di AIOM è che tutte le Regioni stabiliscano la rimborsabilità dei test, consentendo così a tutte le donne, indipendentemente dalla residenza, di accedervi senza disuguaglianze a livello territoriale. È infatti dimostrato che l’adozione dei test genomici comporta evidenti benefici clinici, migliora la qualità di vita delle pazienti e permette un risparmio economico per il sistema sanitario, evitando chemioterapie inappropriate”.