In queste ore, la nuova variante di SARS-CoV-2, il virus responsabile della pandemia in atto, è al centro dell’attenzione. Pochi giorni fa, il Regno Unito ha comunicato che la variante sembra essere più contagiosa, ma non più letale o aggressiva di quella in atto, e rassicurazioni simili arrivano da molteplici esperti, nazionali e internazionali. Gli esperti dell’Unione Europea, inoltre, hanno assicurato che la nuova variante non ha alcun impatto sull’efficacia dei vaccini sviluppati contro SARS-CoV-2.
La nuova variante, però, ha portato il Regno Unito ad inasprire le misure a Londra e nell’Inghilterra meridionale e la sua presenza è stata scoperta anche in altri Paesi, come Danimarca, Olanda e Australia. La notizia della nuova variante ha gettato più di un Paese nel panico, non solo la popolazione, ma anche diversi governi che si sono precipitati a interrompere i collegamenti con il Regno Unito. Tra questi, c’è anche l’Italia che, nel pomeriggio di ieri, ha sospeso i voli con il Regno Unito, scoprendo poi in serata il primo caso positivo alla variante nel nostro Paese.
Da più parti, giungono voci di esperti autorevoli che indicano la necessità di non cedere al panico e all’allarmismo. “I virus mutano continuamente. E’ il loro modo di vivere: cambiare per sopravvivere”, spiega Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova. “Dal prototipo di Wuhan sono già avvenute migliaia di mutazioni, che ci consentono di tracciare l’evoluzione del virus e classificare i diversi genotipi, che hanno un unico progenitore. Finora nessuna di queste mutazioni è stata correlata con un aumento della virulenza, cioè con una capacità del virus di fare più male, di uccidere di più“, rassicura Giorgio Palù, virologo dell’università di Padova e presidente dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il fatto che il Regno Unito abbia individuato la variante non significa che il Paese versi in condizioni peggiori dal punto di vista della pandemia rispetto ad altri Paesi. Anzi, tutto il contrario. Il rilevamento della variante è indice dell’alto monitoraggio condotto oltremanica. Dalla mappa in alto, è possibile estrapolare quante sequenze genomiche del virus SARS-CoV-2 ogni 1000 casi sono state rilevate in ogni Paese. I Paesi con il maggior numero di sequenze rilevate sono Regno Unito, Australia, Danimarca (tutte hanno rilevato anche l’ultima variante), Nuova Zelanda, Islanda, Gambia, Taiwan, Giappone, Thailandia e Vietnam. In questo intervallo, si va dalle 469sequenze per 1.000 casi rilevate in Australia alle 31 per 1.000 casi rilevate in Vietnam.
E l’Italia? Il nostro Paese si trova tra le ultime posizioni in questa classifica con appena 0,422 sequenze genomiche rilevate ogni 1.000 casi. A spiegare questa enorme differenza tra Regno Unito e Italia, tornano utili le dichiarazioni di Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’ospedale San Raffaele di Milano e docente dell’università Vita-Salute: “Potrei rilevare che l’Inghilterra ha una rete di laboratori universitari finanziata dal Governo con milioni di sterline. Noi in Italia abbiamo fatto una piccola rete di pochi laboratori nel Centro-Nordtotalmente autofinanziata e qualche dato lo abbiamo avuto anche noi, ma il tutto limitato da possibilità economiche che abbiamo. C’è anche nel nostro Paese una sorveglianza di questo tipo, tanto che quando sono state rilevate varianti virali si è studiato come stavano diffondendosi. Non siamo in mezzo al deserto“.
Ovviamente, nei Paesi dove il monitoraggio è maggiore, si trovano più mutazioni di SARS-CoV-2. Potrebbero essercene centinaia anche nel nostro Paese ma non lo sappiamo per via di un monitoraggio più scarso. Se il confronto con Australia, Danimarca, Nuova Zelanda e Islanda può essere impari, in quanto si tratta di nazioni con meno casi e meno abitanti dell’Italia, il confronto con il Regno Unito è impietoso. Il Regno Unito ha una popolazione simile alla nostra, con i suoi 66 milioni di abitanti, e anche una situazione epidemiologica simile nei numeri della pandemia: entrambi i Paesi registrano circa 2 milioni di casi di SARS-CoV-2 e circa 68mila vittime. Il Regno Unito, però, ha rilevato 56 sequenze genomiche ogni 1.000 casi, che lo rendono il miglio Paese in Europa da questo punto di vista, mentre l’Italia solo 0,422 sequenze ogni 1.000 abitanti.