“Come anticipai il 7 gennaio, devo nuovamente ricordare, ai tanti (troppi) miei connazionali che (a tutti i livelli) continuano a sottovalutare l’urgenza di ATTIVARE CORRETTE POLITICHE DI PREVENZIONE DAI RISCHI NATURALI, che l’11 gennaio sarà l’anniversario del secondo terremoto della Val di Noto, uno dei più catastrofici che hanno colpito l’Italia, uno dei più disastrosi della storia dell’umanità”. Lo spiega ai microfoni di MeteoWeb l‘ing. Alessandro Martelli, già direttore ENEA, grandissimo esperto di sistemi antisismici. “Come pure anticipai il 7 gennaio – prosegue Martelli – , siccome la giornata di sabato 10 gennaio 1693 (successiva a quella del primo terremoto siciliano della Val di Noto, dell’VIII grado MCS circa e di magnitudo stimata pari a circa 6,5), era passata senza forti scosse, la popolazione si era illusa che tutto fosse finito. Invece, come ho già ricordato, la mattina della domenica, 11 gennaio, il terremoto iniziò nuovamente a colpire con violenza la Val di Noto. L’evento principale fu la tremenda e distruttiva scossa delle 13:30 (dell’XI grado MCS, di magnitudo stimata pari a 7,7 e di magnitudo momento stimata Mw ? 7.3). L’epicentro di tale evento è stato identificato al largo del porto di Catania (tra Catania ed Augusta) e l’ipocentro risulta essere stato ad una profondità di 18 km dalla superficie. Alcuni studiosi ritengono che si sia trattato di un terremoto distinto rispetto a quello di due giorni prima; tuttavia, l’estrema prossimità tra i due eventi e l’assenza di dati tecnici rilevati non permettono di stabilire con precisione l’esatta natura dei due eventi“.
“La scossa dell’11 gennaio 1693, assieme ai due terremoti del 1169 e del 1908, ha costituito l’evento sismico più catastrofico ad aver colpito la Sicilia orientale in tempi storici. Inoltre, essa risulta essere il ventitreesimo terremoto più disastroso della storia dell’umanità (almeno tra quelli storicamente accertati). Il terremoto fu avvertito in un’area molto vasta, che si estese dalla costa africana alla Calabria Settentrionale, alle isole Eolie. Provocò danni abbastanza gravi anche nell’isola di Malta (VIII grado MCS); però, la parte più colpita fu la Sicilia Meridionale, dove il terremoto interessò una superficie di circa 5.600 km2, raggiungendo un’intensità di almeno il IX grado MCS. L’area che risentì dei massimi effetti ebbe una superficie di circa 550 km2 e mostra una direzione di allungamento verso nord-est e verso sud-ovest, cioè verso Messina e verso Malta: in entrambe le località (site a circa 180 km e, rispettivamente, 110 km dall’area epicentrale) l’intensità del sisma fu dell’VIII grado MCS. Invece, nella direttrice perpendicolare, si ebbe una forte attenuazione della sua intensità e l’VIII grado MCS fu raggiunto fra i 20 ed i 40 km dall’epicentro: ciò spiega, ad esempio, perché, alle isole Eolie, che si trovano proprio sulla direttrice verticale, l’intensità del sisma fu solo del VI grado MCS, cioè di ben due gradi inferiore rispetto a Messina“.
“Il terremoto dell’11 gennaio provocò la distruzione totale di oltre 45 centri abitati (70 furono quelli nei quali si verificarono danni maggiori od uguali a quelli corrispondenti al IX grado MCS), causando un numero complessivo di almeno 60.000 vittime (secondo alcune stime fino a 93.000), ed innescò pure un maremoto, con onde di altezza massima stimata pari ad 15 metri (ad Augusta). Il maremoto colpì le coste ioniche della Sicilia, lo Stretto di Messina e, probabilmente (secondo alcune simulazioni), interessò anche le Isole Eolie. Le scosse di assestamento furono numerosissime (circa 1.500) e si protrassero per circa due anni; alcune di esse (come quella del 1° aprile) furono forti e provocarono altri danni. Secondo le fonti, in gennaio 1693, a Catania morirono 16.000 dei 20.000 abitanti che contava allora la città. Per quanto riguarda altri centri abitati, a Ragusa le vittime risultano essere state 5.000 su 9.950 abitanti, a Lentini 4.000 su 10.000, a Siracusa 4.000 su 15.339, a Modica 3.400 su 18.200, a Militello circa 3.000 su quasi 10.000, a Mineo 1.355 su 6.723, a Licodia Eubea 258 su 4.000 e ad Acireale 2.000 su 12.000. Ad Occhiolà (l’antica Grammichele) perì il 52% dei 2.910 abitanti e gli altri centri abitati ebbero dal 15% al 35% di morti rispetto alla popolazione residente: più di 1.000 furono le vittime a Caltagirone (anch’essa in gran parte rasa al suolo), su una popolazione di circa 20.000 persone e Palazzolo Acreide e Buscemi lamentarono la scomparsa del 41% degli abitanti“.
“In conclusione, ricordo, per l’ennesima volta (a chi non lo avesse ancora fatto), di FIRMARE la mia PETIZIONE al Governo, ai Governatori Regionali ed ai Segretari dei partiti politici perché siano finalmente attivate corrette politiche di PREVENZIONE DAI RISCHI NATURALI e di FARLA FIRMARE ad altri:
Ribadisco, infatti, che, quanto più elevato sarà il numero dei firmatari, tanto maggiore sarà la probabilità che i destinatari della petizione vi prestino attenzione, quando sarò finalmente riuscito a farla giungere in Parlamento”, conclude l’ing. Martelli.